Le clausole sociali non valgono per le attività intellettuali. Il paradosso avanza

 La giungla degli appalti non è solo assimilabile a molteplici forme di esternalizzazioni dei servizi con ricorso a variegati appalti e subappalti nei quali l'inquadramento in contratti sfavorevoli e il perenne ricorso del part time determinano la riduzione del costo del lavoro e il sostanziale abbattimento delle tutele collettive ed individuali

Fa scalpore, o  meglio rabbia  la sentenza del Consiglio di Stato secondo la quale, una prestazione professionale basata su servizi intellettuali, non  debba prevedere clausole sociali.  Il Consiglio di Stato stabilisce la distinzione tra attività materiali destinati alla erogazione di servizi e appalti nei quali ci sia una sorta di natura intellettuale, eccezion fatta per quelli che prevedono attività ripetitive e standardizzate. Distinzione bizzarra utile a escludere nell'affidamento dei servizi di natura intellettuale la presenza della clausola sociale a tutela dei posti di lavoro

La clausola sociale in teoria, sovente non nella pratica, comporta la conservazione degli stessi livelli occupazionali del precedente gestore dell'appalto. Ma in nome della libertà e autonomia organizzativa di impresa le clausole risultano facilmente raggirabili anche se dovrebbero incidere sulla offerta e determinare un costo non eludibile alla base dell'appalto stesso. Senza clausola sociale l'offerta economica può determinare un sostanziale abbassamento del costo del lavoro tenuto conto anche della liberalizzazione del subappalto 

Non si tratta di assicurare autonomia alla impresa ma di salvaguardare interessi e diritti collettivi, e non solo individuali, se escludiamo le attività intellettuali dalle clausole sociali si considera le stesse prive di ogni fondato interesse determinando così il mancato riconoscimento di queste prestazioni lavorative.

Le attività intellettuali nella attuale organizzazione del lavoro non possono essere ridotte a prestazioni professionali di tipo individuale a meno che non si considerino le stesse alla stessa stregua di una partita iva.

Questo parere del Consiglio di Stato stride con quanto avviene in numerose realtà produttive pubbliche e private e al contempo non si considerano i lavoratori intellettuali come lavoratori veri e propri lasciando la azienda libera di attingere sul mercato, a proprio piacimento per attività impropriamente definite di ingegno e così abbassando ulteriormente il costo del lavoro per tutte le attività intellettuali.


Commenti