Sulle condizioni attuali...


www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 30-03-20 - n. 744
Colmare il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale

di Tiziano Tussi

È un funereo, tragico nero tormentone ma ci tocca. Occorre ritornare sulle tematiche della pandemia, stavolta legate a quelle politiche del dopo, del tempo a venire. Ed anche se pare così svalutante, così disumano, di nullo interesse, trattare di Conte e Draghi nei giorni in cui continuano a morire migliaia di persone per una malattia, non prevenibile, poco curabile e peggio trattata, dal punto di vista istituzionale, organizzativo, burocratico, dovremmo attrezzarci ora che siamo ancora nel pieno della mortalità pandemica, in vista del dopo, quando saremo sempre, ancora una vota, nel pieno della mortalità politica nazionale ed internazionale.

L'editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica di domenica 29 marzo dice che occorre ci prendiamo cura del dopo. E, come già scritto su resitenze.org (19 marzo), la certezza che il dopo sarà come il prima: capitalismo sfrenato-deficienza sociale- imbecillità politica
Due punti: il primo sulle questioni meramente politiche che si stanno solidificando; il secondo sulla pandemia ed alcune considerazioni strutturali, ma guarda un po', anche politiche, ad esso legate.

Partiamo quindi da Eugenio Scalfari, classe 1924. Nel suo fondo ci dice che "il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha rotto totalmente con Matteo Salvini e sta perseguendo una politica che tende a creare una maggioranza più profilata verso una sinistra liberale." Il Conte politico ha chiuso a destra ed ha aperto a sinistra, come se fosse possibile in pochissimo tempo chiudere il rubinetto di acqua fredda ed aprire subito dopo quello dell'acqua calda. Freddo-caldo-caldo-freddo.

Troppo tempo fa in una rete televisiva Fininvest, di Berlusconi, fine anni '80, un programma Colpo grosso, guidata da Umberto Smaila, uomo di spettacolo rotto a tutti gli spettacoli pur di rimanere in sella. L'unico motivo per guardarlo risedeva in alcune discinte ragazze che sventolavano i loro corpetti lasciando il seno libero, alla vista di chi guardava e dicevano in contemporanea ed alternativa, le une con le altre: caldo, caldo, freddo, freddo.

Logicamente la citazione è molto prima dei tempi nei quali Harvey Weinstein, produttore cinematografico di Hollywood, con il quale hanno lavorato molti grandi registi, non aveva neppure in mente cosa gli sarebbe successo quarant'anni dopo. Bene così come due rubinetti Conti apre e chiude, come gli pare la destra e la sinistra, così come le intendiamo adesso, con il massimo dell'edulcorazione.

Continuiamo: "è ovvio che Conte svolga una politica italiana di sinistra liberale che fu quella adottata da Aldo Moro ai tempi in cui si profilava l'alleanza tra Lui ed Enrico Berlinguer che era uscito dal comunismo sovietico ed era entrato appunto in una sorta di socialismo liberale."

Anche qui, pillolone da trangugiare sia per Moro sia per Berlinguer. Sarà l'età per Scalfari? Non credo. Ma veniamo alla chiusa, veramente geniale e funerea, lui inconscio di tanto aspetto, naturaliter: "Moro e Berlinguer avrebbero dovuto allearsi per un paio d'anni: questo era il pensiero di Moro e anche di Berlinguer ma morirono più o meno contemporaneamente: Berlinguer era ammalato, Moro fu ucciso dai suoi rapitori dopo 53 giorni di prigionia in mano alle Brigate." E subito dopo: "Le due politiche attuali, quella di Giuseppe Conte e quella europeista di Mario Draghi, coincidono, sia pure con teatri e palcoscenici diversi." Qui sembra proprio che gliela tiri. Quelli sono morti poco dopo aver pensato di lavorare assieme, questi ultimi vogliono, almeno per lui, lavorare assieme, e perciò, seguendo il suo discorso, sono morituri. Sfiga solenne.

E finisce così: "Draghi vuole un'Europa moderna e praticamente rivolta verso l'unità; Conte vuole un'Italia socialdemocratica. Sono un'Italia e un'Europa come le quattro gambe di una sedia, due gambe ciascuna e la sedia sta in piedi benissimo e porta lontani verso un obiettivo comune: Italia-Europa. Per quel poco che posso fare io li appoggerò entrambi." Speriamo Scalfari viva a lungo!

Ora, al di là di Conte che mai avrebbe pensato una fortuna di questo grosso calibro, con un'epidemia che politicamente lo sorregge a livello impensabile, Mario Draghi è atteso da molti, Cacciari in testa e via a seguire, qua e là inviti palesi a rivestire ruoli governativi più solidi, elevati. Nell'edizione di domenica 29 marzo de Il sole 24 ore viene pubblicata una lettera firmata da diciotto imprenditori del Nord-Ovest che richiedono "subito la cura Draghi".

Gente di peso, nel mondo imprenditoriale, Gian Maria-Gros Pietro (Intesa Sanpaolo), Dario Gallina (presidente industriali di Torino) Oscar Farinetti (Eataly), tra gli altri. Un passaggio: "Occorre assicurare la liquidità a tutti i settori e a tutte le attività affinché le imprese di ogni dimensione possano sopravviver e l'occupazione venga adeguatamente difesa."

Un po' ridicolo detto da gente, come classe economica, che appena può trasloca l'azienda all'estero per pagare di meno la mano d'opera. Ma ora dice essere preoccupata per l'occupazione. Sarà senz'altro vero!

Draghi ha scritto sul Financial Times, il 25 marzo, che "le banche devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo essi si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sottoforma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi."

Pare di leggere passaggi keynesiani, che invitavano lo stato appunto a ripianare quanto di più sconnesso c'era nella crisi del 1929. Una piccola citazione da un suo articolo sul giornale parigino L'Information del 15 marzo 1931: "La disoccupazione esiste perché i datori di lavoro si sono trovati privi di utili. A meno di ricorrere al comunismo, non vi è altro rimedio alla disoccupazione che quello di restituire ai datori di lavoro la possibilità di lavorare con equo margine di utili."

Così Keynes diceva che se non vi era più profitto lo stato doveva intervenire per far sì che lo stesso ritornasse ai datori di lavoro e si sarebbe risolta anche la questione della disoccupazione. Draghi ora ci dice che basta pompare soldi nel sistema e tutto si riaggiusta in termini capitalistici, naturalmente. Il piccolo accenno di Keynes, "a meno di non ricorrere al comunismo" è in verità il disvelamento dell'intero arcano. Ma anche fra capitalisti e uomini del sistema i rancori e le rivendicazioni non sono cosa da poco.

Intanto gira in rete un piccolo audio di Francesco Cossiga, il picconatore, uomo doppio e pericoloso, ma che almeno alcune considerazioni le esternava chiaramente, potendosi basare sul suo ruolo di Presidente emerito della Repubblica. Siamo nel 2008, IV governo Berlusconi. In una trasmissione mattutina, in Rai, uno mattina, conduttore Luca Giurato, Cossiga dice testualmente, parlando di Draghi: "Un vile affarista non si può nominare presidente del Consiglio dei ministri." Ed elenca tutte le nefandezze di Draghi al soldo del capitalismo internazionale. E le dice lui, Cossiga, che lo aveva caldamente raccomandato a Berlusconi per il posto di Governatore della Banca d'Italia, raccomandazione, è sempre Cossiga che lo esplicita, di cui ora, in quell'audio, si pente. Aspettiamo un altro messia quindi!

Quanti di noi saranno ancora vivi dopo questo funereo periodo saranno di fronte, ancora una volta, alla nullità di uomini e donne che cercheranno di rianimare, riuscendovi un qualche misura, il capitalismo come lo abbiamo conosciuto sino a prima della crisi sanitaria, inadatto a momenti critici a livello sociale, e adattissimo però in ogni momento ad assommare profitti ovunque si possano produrre.

Certo ci sarà bisogno di una faccia accettabile in cui trovare fiducia e conforto - oggi il Papa ha chiesto che si fermino tutte le guerre!?! Naturalmente Draghi è cattolico e devoto a San Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti e saldissimo uomo di fede, poi santo. Da parte del nuovo leader vi sarà bisogno di molta capacità di riuscire affidabile dopo un periodo in cui un virus ha messo in luce, alla superficie sociale, tutti i nostri buchi.

L'Italia, anche altri Paesi per carità, è come una gruviera di mille buchi. Quel che ci fa proseguire in vita, quello che regge, sono le persone che si danno da fare l'impossibile, in questo marasma, per cercare di mettere pezze, dove occorrerebbero ben altre forze strutturali.

Ora lo stato viene tirato da ogni parte come doveroso salvatore di ogni cosa: debiti, acquisti di strumenti, trasporti di cose e persone, ricerca scientifica, scuole sempre più funzionanti. Ma sino a poco fa era il privato, l'eccellenza che regnava. Dove sono questi atout ora? Il risveglio dall'epidemia sarà pesante e ci farà capire come poco accorti simo stati in troppi decenni di vita normale, normalmente stupida.

"Gli italiani sono un popolo fiacco, profondamente corrotto dalla sua storia recente, sempre sul punto di cedere a una viltà o a una debolezza. Ma essi continuano ad esprimere minoranze rivoluzionarie di prim'ordine: filosofi e operai che sono all'avanguardia d'Europa. L'Italia è nata dal pensiero di pochi intellettuali: il Risorgimento, unico episodio della nostra storia politica, è stato lo sforzo di altre minoranze per restituire all'Europa un popolo di africani e di levantini. Oggi in nessuna nazione civile il distacco fra le possibilità vitali e la condizione attuale è così grande: tocca a noi di colmare questo distacco e di dichiarare lo stato di emergenza."

Questo, ed altro, è scritto nell'ultima lettera di Giaime Pintor al fratello Luigi, prima di saltare in aria su una mina tedesca nel 1943 in Molise, sul fiume Volturno. Pintor cercava di raggiungere la Resistenza

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