Ma sara' tutto colpa del '68? La parola dell'altro Papa

riceviamo e pubblichiamo

Ma sara' tutto colpa del '68? Parola dell'altro papa


Tiziano Tussi da www.resistenze.org


Benedetto XVI è lo specchio della chiesa che permane. Forse il senso più profondo della chiesa, la sua permanenza, il dogma. Certo posizioni come le sue sono in qualche modo parte fuori dalla sensibilità storica contemporanea. E il Papa emerito lo sa. Ed è per questo che non manca, seguendo i tempi lunghi della chiesa, di intervenire su tematiche scottanti che corrono il rischio, per lui, di portare la direzione chiesastica verso derive troppo moderniste.

L'ultimo suo scritto, sulla chiesa e gli abusi sessuali al suo interno, ne è testimonianza. Uno scritto pubblicato in una rivista tedesca, Klerusblatt, rivista mensile del clero bavarese. Possiamo pensare a quanto più di conservatore vi sia in Germania, pensando alla Baviera, e pensando a quello che Benedetto XVI ha scritto l'11 aprile scorso. Testo raccolto da numerose altre pubblicazioni in tutto il mondo. In Italiano è stato dato al Corriere della Sera.

Vediamo di analizzare lo scritto seguendo la sua stesura.

Si parte con il chiamare in causa Papa Francesco, dato che, come scrive Benedetto, Francesco è stato informato del suo atto. Questo è ovvio, ma dobbiamo leggere in modi multipli gli scritti chiesastici. Papa Francesco doveva essere informato, ma ora lui sapeva di questo scritto e di ciò che veniva detto. È una specie di chiamata in corresponsabilità, molto raffinata, sia all'inizio che alla fine dell'articolo. All'inizio, diciamo pagina 1 della versione del Corriere, Benedetto scrive: "A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su «Klerusblatt» il testo così concepito.» Ed alla fine dell'elaborato scrive, ultima riga: «Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!» e così la polpetta avvelenata è servita calda calda.

È notorio che Francesco ha posizioni che cercano di destreggiarsi tra la tradizione e i problemi contemporanei, cercando una difficile medietà che possa trovarsi nel mezzo, nel pieno, di questo mondo. Non così Benedetto XVI. Ma vediamone i passaggi. La partenza, a pagina 2, è contro l'educazione sessuale dei giovani con esempi difficilmente riscontrabili, sue personali esperienze, "un giorno (?) andando a Ratisbona … il Venerdì santo del 1970…vidi…manifesti pubblicitari che presentavano due persone completamente nude che si abbracciavano strettamente." Vai a verificare! Ma subito dopo, stessa pagina, e stiamo parlando del primo dei tre punti in cui lo scritto è diviso, si parte all'attacco del '68, dell'amore libero e gioioso che porta naturalmente, per lui, alla pederastia ed all'omosessualità.

Non è inutile richiamare qui alla tragedia che il senso cristiano della vita ha prodotto nel mondo, dove è potuto arrivare. Benedetto XVI difende il cattolicesimo, ovviamente, come unica religione per arrivare a sentire Dio, ma all'inizio dell'era cristiana possiamo parlare di cristianesimo e non di cattolicesimo. La gioiosità della sessualità e delle sue manifestazioni è stata ancorata ad una mortificazione della carne e ad una negativizzazione della donna, della femmina, in quanto direttamente carne e direttamente peccato.

Basti qualche esempio maledetto da questo rivolgimento al negativo. I bassorilievi erotici a Khajuraho, luogo sacro dell'induismo, nell'India centrale. Gli dei si divertono fra loro e si accoppiano gioiosamente in tutti i modi possibili. Possiamo anche fare riferimento al Simposio di Platone. E possiamo ricordare le scrizioni sulle case di Pompei che comunicano la possibilità di soddisfare le proprie voglie erotiche, e a quale prezzo, in quella città? Nulla di perverso e nascosto. Tutto vissuto con pienezza di vita e di piacere umano. Prima dell'avvento culturale egemonico del cristianesimo, l'uomo era molto più libero dal senso di colpa che la religione cristiana ha messo in carica alla sessualità.

Poi è stato difficile, ed a volte impossibile, godere del proprio e dell'altrui corpo senza incorrere nelle invettive, e nei roghi della chiesa cristiana-cattolica, non solo di essa in verità, così come sfuggire alle ombre psicologiche di colpe nate proprio con i dettami bacchettoni dei Padri della chiesa. Ma non è questo il punto cui ci dobbiamo fermare.

Arriviamo alla demonizzazione del '68: "La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale." (p. 2) Vi sono anche curiosi contorni esplicativi, come quello che dice che: "… negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comunità di passeggeri scoppiava la violenza." (p. 2) Ma ciò che è ancora più grave è che Benedetto XVI sembra dare al '68 una esclusiva nel campo della liberalizzazione sessuale-violenza-pederastia che parte proprio dallo scioglimento sociale della sessualità, un portato del '68. Come se nel 1900 non vi fossero stati altri e ben più gravi momenti di violenza - due guerre mondiali, guerre civili, stragi e genocidi.

La pedofilia comunque, per Benedetto è diventata allora "permessa e conveniente" (p. 2). Si capisce poco, ma avanti! Poi si infila in una dissertazione che porta, stando alle sue premesse, ad una sola affermazione: la vita degna è una vita di fede e basta. Qui pone distinzioni tra le basi giusnaturalistiche - leggi naturali - della teologia e l'esegesi delle Sacre scritture - Bibbia in primis - che può allontanare da quella radicale semplicità della fede; insomma la vita viene da Dio, la vita naturale quindi è la prova più certa dell'esistenza di Dio e della sua Grazia verso di noi.

Il Concilio Vaticano II ha sostituito alla naturalità della fede la sacralità dell'interpretazione delle sacre scritture, che certo sono fondamentali per un credente, ma sono soggette ad interpretazione e perciò possono essere discusse. Invece la fede è salda, è sacra, è unica, è natura. Non certo nel modo in cui Giulio Cesare Vanini osservava. Il pensiero dei libertini è distante da quello di Benedetto, ma la critica alla naturalità libertina è stata fatta, fra l'altro, da Hegel: "Al Vanini, il quale diceva bastare un fil di paglia a far conoscere l'essere di Dio, bisogna rispondere che ogni rappresentazione dello spirito, la più bassa delle sue immaginazioni, il giuoco del suo accidentale capriccio, ogni qualsiasi parola, è fondamento più eccellente a conoscere l'essere di Dio di qualsiasi oggetto naturale …" (Enciclopedia delle Scienze filosofiche, 1817). Qui la razionalità vince sull'istinto, sulla naturalità. Non certo questo è il controcanto di Benedetto XVI.

Quindi il ritorno alla sponda naturaliter risulta necessaria per il Papa emerito. L'esegesi è utile e confortante ma la fede semplice e radicale lo è di più. Il campione del ritorno ad una fede naturale e pura, scevra da interpretazioni di sorta, nella recente storia della chiesa, è per Benedetto XVI, Giovanni Paolo II di cui si richiamano (p. 3) alcune encicliche e libri. Ratzinger era suo importante e vicinissimo collaboratore. Lo scontro all'interno della Chiesa da allora, anni novanta del secolo scorso, ha fatto leva sulle sponde del dogma - azioni sempre malvagie, azioni sempre buone: dice la chiesa quali - ed a quelle di teologi che meditavano su questo senso del dogma ma cercavano scappatoie per un'uscita verso la modernità. Un esempio solo: la teologia della liberazione, avversata decisamente da Giovanni Paolo II.

Un curioso esempio che porta Benedetto è quello di Franz Bockle, importante uomo di chiesa tedesco, rettore dell'università di Bonn, aperto ai problemi contemporanei, che aveva dichiarato, Benedetto non dice esattamente quando, che avrebbe reagito alle posizioni assolutamente dogmatiche di Papa Wojtyla dell'imminente enciclica Veritatis splendor: "Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Bockle morì l'8 giungo 1991. L'enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993..." Insomma, la chiesa deve dire la parola definitiva anche in campo morale e riportare il fedele alla "fede nell'unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e che ha vissuto come uomo" (p. 3).

Il cerchio è stretto: Dio- Gesù-uomo-stile di vita umana di Gesù; Dio quindi esempio per tutti. La sessualità non è contemplata nella vita di Cristo e quindi anche di quella del fedele. Un ritorno, esemplificando, a san Cesario, V/VI° secolo d.c. "La moglie si prende non per libidine ma per la procreazione dei figli" Così Benedetto rende noto che nei seminari vigevano club di omosessuali, seminaristi che vivevano assieme a laici, uomini e donne, "Un vescovo (ma chi sarà? n.d.r.) aveva mostrato ai seminaristi film pornografici …presumibilmente con l'intento di renderli capaci di resistere [alle tentazioni]!" Naturalmente in questo dilagare della liberalità "… i miei libri venivano letti sottobanco". (p. 4) Il punto forte della pagina 5 è un richiamo ad un versetto di Marco nel quale Gesù dice che chi scandalizza i puri di cuore, ingenui e semplici "i piccoli" è considerato nemico della Chiesa in modo imperdonabile. Costoro sono degni di essere uccisi "pietra al collo e gettati nel mare".

Quindi per Benedetto è bene usare accortezza verso la fede in sé, non si deve difendere e perdonare solo chi pecca o sbaglia. Anche la fede deve essere difesa per legge "Un diritto canonico … giusto [deve dare] protezione giuridica anche [alla fede] (p. 5), per arrivare al risultato di sradicare tutte le false posizioni che ho prima ricordato, ecco cosa deve fare il credente: lasciarsi andare completamente all'amore di Dio.

Certo si pensa subito a Kierkegaard e alla sua esaltazione di Abramo, che accetta l'ordine datogli da Dio di uccidere l'unico suo figlio Isacco, avuto in tarda età, unico figlio maschio. E l'uccisione sarebbe avvenuta così come doveva avvenire. ubbidienza integrale come a qualsiasi altro ordine di Dio. Qui di Abramo, che Kierkegaard ci dice essere come "stella che guida" non possiamo dimenticarci che in "130 anni di vita non sei mai andato al di là della fede." (Timore e tremore, 1843) Il nostro non essere credenti poggia sull'incapacità di amare Dio, così come fece Abramo, che Benedetto XVI cita a p. 6. "Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini." (pp. 5/6) Dio esiste e quindi solo lui può essere oggetto d'amore. Naturalmente il Papa emerito prende di mira la "morte di Dio", e siamo a Nietzsche, assurda.

L'unicità dell'esistenza di Dio ci deve indicare la via. Nessuna pratica sessuale ci può distogliere da questa santa direzione. La presenza di Dio nel mondo è stata varia e chiara. Benedetto ricorre ad Abramo come esempio "decisivo" di rapporto dell'uomo con Dio, la chiamata di Dio "… diede all'uomo quell'orientamento [] che supera ogni attesa: Dio... parla a noi uomini come uomo" (p. 6). Ora Abramo si situa in una temporalità un poco distante dalla nostra, ma resta in ogni caso "una stella che guida". La sua storicità, naturalmente dubbia, la si può situare attorno al 2000 avanti cristo. Ma per l'analisi di Benedetto va bene anche così.

Quindi, siamo alla fine del discorso, la pedofilia è diventata talmente un problema per la chiesa, per l'assenza dell'amore verso Dio. E a rinforzo aggiunge una citazione del teologo Hans Urs von Balthasar: "Il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo: non presupporlo ma anteporlo!" (p. 6) Ed ancora un esempio su questa china finale. La sbagliata mondanità dei comportamenti sacramentali, quali l'Eucarestia, che viene vissuta come simbolo e non come vera transustanziazione. Un dogma che regge tutta l'impalcatura chiesastica sacramentale. Il corpo ed il sangue, dell'ostia e del vino, non sono veramente tali ma sono proprio il corpo ed il sangue di Gesù nell'ultima cena, anche se sembrano solo ostie, consacrate, ovvio, e vino, da bere.

Viene alla mente il processo a Galileo Galilei che pare si sia aggirato anche per queste questioni essendo Galileo atomista, teoria che fa saltare quel dogma e perciò tutta l'impalcatura sacramentale dell'eucarestia, nel trasporto della transustanziazione. Gli atomi sono atomi di quella cosa di cui fanno parte e non possono essere atomi di qualche altra cosa. Perciò gli atomi della farina di frumento, con la quale si fanno le ostie, sono solo atomi di frumento, e non possono che essere questi, non possono essere di un'altra sostanza, il copro di Cristo.

Ma mettiamo da parte anche Galileo e la sua teoria atomistica, essendo l'atomismo teoria di filosofi empi. Quali appunto Epicuro. Nella rete del Dio pescatore ci sono pesci buoni e cattivi. Solo la chiesa, e la fede in essa, ci definiscono la loro qualità da accettare o da rifiutare: "…ma il campo resta dunque campo di Dio e la rete rimane rete da pesca di Dio." (p. 7) Non c'è bisogno d'altro che lasciarsi andare a Dio, che ascoltare il suo amore per noi: "La chiesa di Dio c'è anche oggi, e proprio anche oggi essa è strumento con il quale Dio ci salva." (p. 8)

Il campione di tutto questo è il martirio: "Gesù Cristo è il primo ed autentico martire, il primo martire." (p. 8) Così anche noi dobbiamo fare se vogliamo ascoltare l'amore di Dio e quindi non vi può essere spazio per omosessualità o altra libidine. Basta la fede.

Possiamo leggere:

* "Lettera ai vescovi" del 1986, Congregazione per la dottrina della fede, presieduta allora proprio dal cardinale Joseph Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI.

* All'enciclica Spe Salvi, del 2007, sempre di Benedetto XVI, che sviluppa tematiche nello stesso ordine teorico. (Vedi anche il mio scritto in proposito, nella rivista Marxismo Oggi, n° 3/2008)

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