Giustizia è fatta per i licenziati di Pomigliano? Nessuna sentenza restiuirà gli anni di vita perduti dagli operai di Pomigliano

 Partiamo da i loro nomi: Mimmo Mignano, Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore, sono ngli operai licenziati due anni dopo una manifestazione davanti alla fabbrica ove avevano inscenato il suicidio di Sergio Marchionne davanti . I giudici di Napoli hanno rovesciato l'esito della prima sentenza di Nola condannando l'ex Fiat «alla reintegrazione dei lavoratori nel pregresso posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno nella misura massima di dodici mensilità di retribuzione, calcolate sulla base dell’ultima retribuzione percepita, oltre ai versamenti contributivi, previdenziali e assistenziali». Ma i nostri 5 non torneranno in fabbrica perché la Fca farà ricorso in Cassazione. E' stata di fondamentale importanza la mobilitazione a sostegno dei licenziati, gli appelli e una campagna di stampa che prima era totalmente mancata. Molti intellettuali si sono apertamente schierati dimostrando che in gioco non era solo la riassunzione di operai licenziati ma anche la democrazia nei posti di lavoro e il principio che la militanza politica e sociale non puo' essere motivo per sanzionare sul lavoro il dipendente o addirittura per licenziarlo In questi 27 mesi gli operai hanno vissuto male e in una situazione economica a dir poco precaria, abbandonati dalla loro precedente organizzazione (la Confederazione Cobas) e non sempre sostenuti, come sarebbe stato logico, da tutte le aree conflittuali alcune delle quali hanno disertato presidi e manifestazioni Il contesto in cui maturo' la manifestazione va ulteriormente chiarito. Dal 2008 molti lavoratori sono in cassa integrazione, la loro militanza sindacale e politica ha significato l'allontanamento di fatto dalla fabbrica, qualcuno di loro era già stato licenziato nel passato. Da anni numerosi operai\e sono in cura per disturbi psichiatrici, alcuni si sono suicidati dopo il trasferimento nel reparto confino di Nola La clamorosa manifestazione di protesta avvenne pochi giorni dopo il funerale di Maria Baratto (operaia che si tolse la vita con tre coltellate), la sceneggiata aveva l'obiettivo di attirare l'attenzione verso i 316 «deportati» a Nola e la lunga sequela di morti, malattie che hanno accompagnato questi lavoratori Per Fca la dimostrazione avrebbe leso la dignità dell’amministratore delegato istigando anche alla violenza, dello stesso avviso il Tribunale di Nola per cui eravamo in presenza di «un illegittimo esercizio del diritto di critica, del tutto esorbitante sotto il profilo della continenza sostanziale e formale». Ma una volta tanto la giustizia ha fatto il suo corso e in appello la sentenza è stata favorevole agli operai «la - cui -condotta è stata volutamente posta in essere dai predetti, che hanno curato ogni dettaglio della rappresentazione scenica che hanno inteso mettere in atto, al fine di protestare contro le politiche aziendali in tema di lavoro». Ma questa sentenza sposa la tesi di quanti negli ultimi mesi si erano schierati a fianco dei licenziati rivendicando «il tema del legittimo esercizio del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro». Marchionne e Fca per la Corte di appello non hanno subito danno morale o materiale e infatti nella sentenza scrivono che «La diffusione mediatica non era idonea a creare grave nocumento morale all’azienda e all’amministratore delegato proprio perché si trattava di fatti già portati all’attenzione dell’opinione pubblica e comunque di tale danno nessuna prova è stata data da parte datoriale». Una volta tanto diritto di critica dei lavoratori non diventa motivo di repressione e di licenziamento proprio come volevamo noi tutti solidali, amici e compagni che hanno partecipato alla mobilitazione a sostegno dei 5 operai chiedendone la immediata riassunzione

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