Contro il misogenismo
La donna emancipata e pacifista nella cultura dell'Ottocento
Donna: l’impegno pacifista
di LAURA TUSSI
L’asprezza del misoginismo ottocentesco si scontra con
l’esperienza dei primi gruppi emancipazionisti. La donna emancipata e pacifista
diviene allora il bersaglio da colpire, l’emblema di disordine e della
sregolatezza morale.
Nella cultura dell’Ottocento, la rappresentazione ideale della figura
femminile esprime un’attesa di salvezza dal sapore religioso che impregna la
mentalità collettiva dell’epoca. La funzione pacificatrice della donna, motivo
ricorrente nei manuali di allora, è spesso legata all’enfatizzazione di una
naturale vocazione educativa e di una capacità di amore e di sacrificio carica
di implicazioni morali.
L’attenzione sociale e culturale nei confronti della donna assume
nell’Ottocento una dimensione molto ampia con un ricorso ad argomentazioni che
esprimono un fine ideologico prima di allora inedito.
La vastità del fenomeno è documentata tra l’altro dalla varietà delle voci
impegnate in una corale definizione dei caratteri della femminilità più
autentica. La discussione sulla missione sociale della donna, tratta da una
visione piena di pregiudizi della sua natura biologica, coinvolge infatti,
intellettuali di diverso orientamento, cattolici, laici, atei impegnati in
svariati settori della vita culturale, educatori, pedagogisti, politici,
teologi, letterati, medici e antropologi. Pestalozzi, Tommaseo, Mazzini,
Lombroso, Mantegazza e tanti altri si sono cimentati in una elaborazione
implicitamente prescrittiva delle caratteristiche culturali morali proprie del
genere femminile. La scoperta sociale, maturata in quegli anni pur tra molte
contraddizioni e zone d’ombra, sul valore dell’infanzia implica di per sé una
maggiore attenzione al ruolo della madre educatrice, ma non basta solo a
spiegare l’intensità di un’operazione pedagogica e culturale che, esaltando le
qualità morali della donna, ne sancisce l’esclusione da una partecipazione
attiva alla vita sociale.
Secondo il senso comune allora dominante, la donna, confinata non solo
simbolicamente alla cerchia delle mura domestiche, deve svolgere una funzione
di custode della moralità collettiva: è una dimensione che va oltre gli stretti
confini della sfera familiare e che investe i destini dell’intera umanità.
In questo ambito la sua funzione pacificatrice rappresenta dunque
un’estensione sociale di valori legati al ruolo materno.
Anche le professioni che generalmente vengono considerate più adatte alle
donne ripropongono i valori del sacrificio, dell’assistenzialismo, della
capacità di amore senza riserve.
Perfino il progresso e la pacifica convivenza fra gli uomini sembrano
dipendere dalla generosità di questa educatrice virtuosa. Questo tipo di
affermazioni è molto frequente nella vasta letteratura che tratta per tutto
l’Ottocento il tema dell’educazione della donna.
Certamente non è casuale che l’esaltazione della bontà femminile venga
predicata con toni sempre più accesi proprio negli ultimi decenni del secolo,
quando una nuova mobilità sociale consentirà una diversa partecipazione delle
donne al mondo del lavoro, degli studi e della politica.
La donna emancipata e pacifista diviene allora il bersaglio da colpire,
l’emblema di disordine e della sregolatezza morale.
L’asprezza del misoginismo Ottocentesco si scontra con l’esperienza dei
primi gruppi emancipazionisti e pacifisti al cui interno il maturare di un
concreto impegno per la pace comporta innanzitutto per le donne impegnate nel
movimento, un ribaltamento di quei valori che, proprio esaltando la funzione
pacificatrice del genere femminile, ne contrasta una partecipazione reale agli
eventi della società e della storia.
È impossibile scindere i motivi dell’impegno pacifista del movimento delle
donne dai contenuti delle battaglie emancipazionistiche nella seconda metà
dell’Ottocento. L’associazione internazionale delle Donne fondata a Berna nel
1866 è proprio la sezione femminile della Lega per la pace e la libertà che
aveva come organo di stampa il Periodico Stati Uniti d’Europa.
Sussiste dunque un preciso legame fra le questioni della pace e le vicende
dell’emancipazionismo femminile in Europa. Questo legame connesso anche con il
contrastato rapporto con l’associazione internazionale dei lavoratori, mette in
luce la specificità dell’interesse manifestato dalle donne del movimento per la
pace nei confronti del pacifismo considerato spesso come un punto qualificante
di un più vasto impegno verso una società egualitaria e non sessista.
Pace, giustizia e lotta contro l’oppressione femminile sono i temi che
appaiono insieme negli scritti e nei discorsi ufficiali delle più impegnate
emancipazioniste. Tuttavia la prima spinta psicologica a intervenire nelle
questioni della pace e della guerra esprime anche motivazioni che possono
apparire ambiguamente legate a una specificità femminile di tipo tradizionale
in cui ciò che domina è ancora la preoccupazione materna. Ma i frequenti
appelli in difesa degli uomini, mariti, figli, fidanzati, sottoposti al
pericolo bellico e la lotta per la vita contro la morte non sono destinate a
restare un richiamo solo emotivo e affettivo. Molte delle analisi di allora
contengono considerazioni legate a motivi più esplicitamente politici e
culturali.
Questa ideologia antifemminista e misogina è presente in modo particolare
nel sapere scolastico, come risulta da un’analisi dei programmi dei libri di
testo e dei modelli formativi destinati agli insegnanti a questi valori assai
diffusi nel senso comune di allora. Anna Maria Mozzoni oppone una proposta
culturale e politica coraggiosamente alternativa per sradicare lo stereotipo
della cosiddetta missione della donna basata su un equivoco sociale
scientifico.
In opposizione al clima risorgimentale Paola Shiff, una delle prime donne
laureate nell’Italia post unitaria, definisce nel corso di una manifestazione
pacifista tenutasi a Milano nel 1888, qualsiasi guerra “un avanzo di barbarie”.
Negli ultimi anni del secolo, l’interesse per i temi della pace trae un
nuovo impulso dalle questioni sollevate dalla guerra d’Africa, che spinge il
movimento di emancipazione delle donne insieme ad altri gruppi politici a una
forma alta di mobilitazione per la pace.
Sono numerose le leghe femminili per la pace impegnate in questa campagna.
Ne parla Franca Pieroni Bortolotti nei suoi scritti sull’emancipazionismo.
Le leghe femminili organizzano soprattutto nel nord molte manifestazioni
popolari contro la guerra coloniale, tentando anche di impedire la partenza dei
soldati.
La società per la donna si impegna a Roma in alcune iniziative pacifiste e
anticoloniali di cui dà notizia la rivista La vita femminile.
Commenti
Posta un commento