Manifestazione a Pisa in difesa della salute pubblica - CUB e studenti no green pass

 

Il tasso di mortalità per infezione, tasso di letalità, ha una variabilità enorme che dipende dall’età, dal sesso, dalle malattie concomitanti e dalla classe sociale a cui si appartiene.

Durante la prima ondata in Italia, tra febbraio e aprile 2020, l'IFR medio è stato stimato attorno al 10% per gli individui di 70 anni e più, e allo 0,5% per quelli più giovani di 70 anni. Nessun decesso è stato registrato tra gli individui di età inferiore ai 50 anni. L'IFR è stato trovato più alto negli uomini che nelle donne: 14% rispetto a 8% nei soggetti di 70 anni e più, e 0,6% contro 0,3% nei soggetti più giovani. L'IFR era notevolmente più basso per i pazienti associati a cluster identificati dopo il 16 marzo 2020, soprattutto tra le infezioni in persone di 80 anni e più: 4% contro 28% nelle donne, e 16% contro 33% negli uomini.

Questa variabilità mostra come sia impossibile fare ragionamenti uguali per tutti e anche come varia la situazione nel giro di qualche mese, indicando quanto al di là del virus siano fondamentali le condizioni sottostanti a determinare la letalità, sia personali che del sistema sanitario.

Per mettere i rischi in prospettiva, per l'intera stagione di mortalità per la maggior parte dei focolai, il rischio di morte è più o meno lo stesso di quello di morire per un incidente d'auto durante il pendolarismo quotidiano.

Anche se le stime di letalità sono relativamente ridotte bisogna tenere in contro che la Covid-19 ha creato sovraccarico ospedaliero (come è accaduto in Lombardia o nel Bronx), quindi specialmente in contesti in cui gli ospedali funzionano vicino alla capacità massima anche in circostanze normali, e quando servono popolazioni ad alto rischio in città con alta densità di popolazione e grandi congregazioni in eventi di massa. Pertanto, la preparazione degli ospedali è essenziale, indipendentemente dal fatto che il rischio di morte sia molto basso nella popolazione generale. Ben prima della pandemia, si stimava che 5 milioni di morti all'anno in tutto il mondo fossero dovuti a un'assistenza sanitaria di bassa qualità.

Un altro elemento importante è dato dal fatto che la crisi del sistema sanitario in sovraccarico è aumentata anche per la comunicazione allarmistica e il panico che ne è derivato: ad esempio, persone sono stati osservati aumenti di attacchi di cuore in persone che hanno avuto paura di andare in ospedale.

Inoltre bisogna ricordare che il rischio è notevolmente più alto nei residenti nelle case di cura rispetto agli anziani della stessa età che vivono in comunità. Infatti i dati dei paesi europei mostrano che una quota compresa tra il 24 ed il 57% di tutti i decessi sono avvenuti in case di cura. Le case di cura e i pazienti ospedalizzati rappresentano la stragrande maggioranza della mortalità da Covid-19.

Senza il supporto di evidenze scientifiche chiare, all’inizio dell’emergenza furono prese alcune decisioni, come la chiusura delle scuole. Si sapeva poco del virus, e quindi occorreva decidere e fare in fretta. Ma questo schema di comportamento si è ripetuto anche nell’autunno 2020, con la seconda ondata. Hanno ricominciato a chiudere le scuole sostenendo che non ci fossero dati sufficienti o affidabili per mantenerle aperte, estrapolando analisi da dati del passato nonostante ci fossero già dati disponibili: ma con il passare del tempo, non avere dati ha iniziato ad essere un alibi perfetto.

Così insieme ad altri scienziati abbiamo deciso di studiare l’argomento, riunendo database provenienti da fonti differenti. Abbiamo lavorato partendo dagli scambi sui social, con aggregazioni spontanee di diversi studiosi, giuristi, sociologi, e abbiamo collaborato con parlamentari e ministri, per poter dissipare la cortina di fumo su quanto stava accadendo. Un lavoro volontario, enorme, di parecchi mesi di raccolta e analisi di dati che ci hanno condotto a una conclusione: le scuole erano e sono uno dei luoghi più sicuri e, soprattutto, il bilancio rischi/benefici era, ed è, tutto a favore della scuola in presenza. Questa attività scientifica ha avuto conseguenze giuridiche con diversi ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, tutti vinti. Siamo riusciti, dunque, a far riaprire le scuole, ma con il nuovo governo tutto si è nuovamente fermato: misteriosamente il nuovo esecutivo ha - ne ignoriamo la ragione - smesso di trasmetterci i dati dei contagi nelle scuole, fondamentali per le nostre analisi.

Dopo l’emergenza della prima e della seconda ondata di SARS-Cov-2, abbiamo avuto quella legata alla variante inglese (che, a detta di alcuni, vanificava tutte le nostre analisi), poi è arrivata la Delta: ora è il momento della Omicron, e la situazione sembra ripetersi. Ogni volta tutto il sapere acquisito viene rimesso in discussione, forse alla rincorsa del rischio zero. Attualmente i media enfatizzano l’aumento dei contagi tra i più giovani, meno vaccinati rispetto agli adulti, ma in Italia la malattia grave e la mortalità nei bambini sono rimaste estremamente basse, sia con la Delta che con la Omicron. Siamo in una continua, infinita conta di “casi” di cui non si sa il significato. Il tampone positivo, soprattutto dopo che si è vaccinati, è davvero preoccupante? Ha senso continuare a fare screening negli asintomatici? In uno studio condotto allo IEO in corso di pubblicazione abbiamo mostrato recentemente che se gli anticorpi sono elevati il rischio di essere contagiati e di contagiare  è significativamente più basso: perché non se ne tiene conto? A questo occorre aggiungere che “positività” non indica malattia, soprattutto nei giovani e nei vaccinati.

Aggiungo che la retorica della necessità di rendere la scuola “sicura”, che ha trovato terreno fertile e ampio spazio in tanta sinistra di governo, ha portato solo alla coercizione vaccinale senza produrre nessun altro cambiamento reale nelle scuole. Vaccino e ancora vaccino, ulteriore distanziamento, ulteriori mascherine, ulteriore screening sugli asintomatici, in una rincorsa verso il contagio zero che perde di vista i ragazzi, il diritto all’istruzione e che, addirittura, porta a discriminazioni e allontanamenti di insegnanti.

Pare che ogni volta ci si dimentichi che anche le misure di contenimento hanno dei costi significativi, ed effetti negativi sulla salute. Vari studi di coorte hanno mostrato aumenti significativi di depressione, ma anche tentativi di suicidio e suicidi, soprattutto negli adolescenti.

È proprio di questi giorni una pubblicazione della Società Italiana di Pediatria che lancia l’allarme sull’altra pandemia che sta colpendo in particolare i giovani e che è grave quanto la prima: sono infatti aumentati del 147% gli accessi ospedalieri per “ideazione suicidaria”, seguiti da quelli per depressione (+115%) e per disturbi della condotta alimentare (+78.4%).

A luglio 2021 OMS, UNICEF e UNESCO hanno lanciato un appello che non lasciava dubbi: la più grande interruzione della scuola nella storia, a causa delle misure di contrasto a Covid-19, non deve privare i bambini dell’istruzione e dello sviluppo. L’invito rivolto ai governi era di attrezzarsi perché non dovesse più accadere, e nell’appello veniva citato come unico studio proprio quello condotto da noi in Italia, che mostrava la scarsa incidenza dei contagi in ambito scolastico.

Eppure ancora oggi, alla fine del 2021, si ricorre ancora alla DAD, perché la scuola è in crisi per via delle infinite quarantene e alcuni presidi mettono intere classi in DAD con un solo caso di positività, “in via precauzionale”. Di più si ricattano le famiglie minacciando la DAD se non si vaccinano i minori. L’ennesimo intervento che sposta la responsabilità dei problemi della gestione della pandemia ribaltandola sul cittadino, in questo caso sui giovani.

Pare oramai assodato che il GP non influenzi l’andamento epidemiologico del contagio, per il quale occorrerebbe finalmente guardare solo all’aumento delle terapie intensive, anche grazie all’efficacia dei vaccini rispetto alla malattia grave. Il Green Pass va contestato al di là della valutazione dell’efficacia dei vaccini, che è buona rispetto alla malattia grave e lo si vede per le categorie più a rischio, e per i quali il bilancio rischi benefici è tutto a favore del vaccino. Il green pass va contestato come una delle scelte politiche più cupe e pervasive determinatesi durante la pandemia: si basa sulla strumentalizzazione delle paure e si rinnova continuamente.

Il problema non è certo il vaccino. Ho sempre trovato miope la lotta di chi si danna per dimostrare che i vaccini sarebbero inutili o pericolosi, e tanto più chi è contro il vaccino a mRNA ma non avrebbe problemi ad accettare tutto questo se avessimo altri vaccini.

Il problema è la gestione della pandemia, modello italiano, fin dal primo istante. Dalle misure draconiane ai lockdown, con relativa chiusura della scuola come prima e unica misura, perdendo di vista che la salute della popolazione non può essere ridotta a rischio di contagio.

Il problema è l'impostazione autoritaria, paternalista, che punta sul controllo dei cittadini, che tratta i cittadini come bambini ignoranti e irresponsabili. È chiaro da tempo la politica istituzionale ha perso il contatto con i cittadini. Non essendo in grado di far leva sulla fiducia, i politici si buttano su una politica sterile fatta di obblighi, minacce e ricatti. Il super mega green pass e l'obbligo sono un simbolo, come l'imposizione della mascherina all'aperto. 

Fin dal primo istante questo è stato il problema e da lì non ci siamo spostati.
La filosofia del rischio zero, la comunicazione che punta sulla paura, sullo scontro, sulla logica della guerra e del nemico, la banalizzazione e la spettacolarizzazione delle posizioni scientifiche...

A due anni di distanza ancora si sente dire che dovremmo "mettere la scuola in sicurezza", dopo avere introdotto ricatti e obblighi con ricadute pesantissime!
Questa logica securitaria è figlia della logica del controllo.

Siamo di fronte ad un disastro politico che ha conseguenze gravissime ad ogni livello, democratico, economico, di salute e in generale di benessere della collettività, che pagheranno in modo pesantissimo i nostri figli prima di tutto. Ma che hanno pagato in modo sproporzionato pure gli anziani, spaventati e abbandonati.

Era ovvio fin dall'inizio che bisognava tenere conto delle differenze di rischi perché non siamo tutti uguali. E ancora adesso insisto che anche con la pandemia bisogna andare verso una prevenzione e una medicina personalizzata, che rimetta al centro la cura e la relazione medico paziente. E ricominciare a discutere di misure che non prescindano dalle evidenze scientifiche, dal rigore del metodo scientifico, da una sana discussione aperta tra scienziati, senza ricatti e scomuniche, senza banalizzazioni e scontri, senza talk show.

Ma è vero che noi veniamo da decenni di tagli e definanziamenti alla sanità e alla scuola. Mancano medici, mancano finanziamenti alla scuola, manca personale per fare tracciamento, tutto impiegato solo a vaccinare...

E puntare solo sul vaccino non è la soluzione. Come non lo è chiudere le scuole.

A due anni dalla pandemia affrontiamo ancora i problemi in modo emergenziale senza una visione di lungo periodo, senza riflettere su cosa stiamo lasciando alle nuove generazioni e che mondo stiamo costruendo.

Concludo citando Agamben, la necessità ora è: "creare una comunità di amici e vicini, in una società dell'inimicizia e della distanza".

 


 

 

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