LA GUERRA È PACE, LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ, L’IGNORANZA È FORZA (George Orwell, 1984)
LA GUERRA È PACE, LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ, L’IGNORANZA È FORZA (George Orwell, 1984)
Intestiamo a George Orwell ed al suo 1984 questo breve scritto. Ritorniamo sulle questioni scolastiche. La pandemia in corso non ha scalfito minimamente l’imbecillità (Cipolla docet) dell’organizzazione scolastica, anzi, prendiamo come avvio un fondo dell’AGESC, Associazione Genitori Scuole Cattoliche, pubblicato su Avvenire il 4 febbraio u.s. Anche questa associazione, che non si presume particolarmente rivoluzionaria, critica quello che recentemente è successo in Parlamento. L’inizio del fondo ci ricorda che “L’11 gennaio scorso la camera dei Deputati con una solida maggioranza (345 votanti, 340 si, 5 astenuti, e nessun no) ha approvato il progetto di legge 2372 Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche.”
L’analisi dell’AGESC termina, dopo avere concesso qualche cosa ai deputati votanti – un inciso 345 su 630. E gli altri dov’erano? – così, verso la fine del pezzo si legge: “In altre parole non si può pensare di insegnare le soft skills – un altro inciso: perché non usare la lingua italiana, “competenze non cognitive” sta bene lo stesso – in sé e per sé. Queste si imparano attraverso le discipline e non è necessario una legge perché questo avvenga.” E chiude ricordando le grida di Don Ferrante; anche questa indicazione, dice il pezzo, rimarrà lettera morta se….
Ricordo che circa dieci giorni dopo tutti i deputati più i senatori ed annessi, hanno intrapreso a votare il Presidente della Repubblica con il bel risultato che sappiamo. Ma avanti! Di ben altro piglio è un editoriale di Galli della Loggia (Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2022). Decisamente contrario a tanta insensatezza il professore ci dice che queste cose, la proposta di inezie scolastiche, accadono perché il ministro della Pubblica istruzione è succube della burocrazia ministeriale.
Ma ce l’immaginiamo altri ministri del passato, andiamo naturalmente al top, Croce e Gentile, proporre per la scuola dell’epoca, in quel periodo fascista o quasi, acqua fresca come queste? Certo la scuola deve essere un’accompagnatrice dello stato e siccome è possibile criticare la scuola fascista per molti motivi, credo sia possibile criticare l’inutilità dell’attuale scuola post risorgimentale, post liberale e post solidarietà nazionale. Ora la si potrebbe definire berlusconiana o priva di senso alcuno: le due ultime definizioni si tengono strette. Pensiamo a Don Milani, tanto per fare un esempio noto a molti, cosa avrebbe potuto dire di questa scuola del vuoto?
Ma ritorniamo a Galli della Loggia. In un passaggio successivo tira pure le orecchie alla destra parlamentare che ha trangugiato tanto poca virile inutilità, senza addurre alcun motivo conservatore di critica. Infatti, cosa si conserva nel nulla? Nulla, infatti. Le competenze non cognitive sono, e Galli ne fa un elenco: Autocontrollo, stabilità emotiva, empatia. fiducia in sé stessi, resilienza (pessimo termine e stucchevole, questo lo dico io), gestire le emozioni e lo stress, comunicare, prendere decisioni, risolvere problemi. Queste sono poi le idiozie che vengono richieste a troppi colloqui di lavoro in settori ora trainanti.
La domanda, scema, è “saprebbe lavorare in team? Oppure, se dovesse prendere una decisione si sentirebbe poi in grado di gestire la sua responsabilità?
Ma potemmo anche aggiungere: “quando deve attraversare un incrocio guarda che non sfreccino automobili che potrebbero investirla? Se mangia un gelato sta attento a che non si sporchi la sua camicia bianca della domenica?” Insomma, potremmo andare veramente oltre ad ogni forma di vergogna razionale. Ma evidentemente in Parlamento non se ne sono accorti. Della Loggia termina con: “Le competenze non cognitive sono lo strumento perché la scuola perda la sua natura antica e sempre nuova. Perché smetta cioè di essere il luogo dell’apprendimento e della formazione civile e culturale delle nuove generazioni. E si trasformi invece in una generica agenzia dell’accudimento sociale… “ In fondo, commento quanto mai civile ed educato.
Tra i tanti rilievi contrari a tanta grazia si trova anche quello di Enrico Galiano, che, in rete, leggiamo insegnare “in una scuola di periferia del Friuli”, indicazione ripetuta a dismisura. Poi cercando meglio, con insistenza veniamo a sapere che insegna italiano in una scuola media di primo grado in provincia di Pordenone. Nulla di male, ma almeno diciamo il livello di scuola. Evidentemente gli lascia tanto tempo libero per scrivere romanzi dal titolo zuccheroso quali: Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio, Basta un attimo per tornare bambini, Dormi stanotte sul mio cuore, Felici contro il mondo, sequel, pardon, seguito del suo romanzo più famoso, il primo della lista. Questo guru delle nuove generazioni, con siti social a rimorchio, naturalmente, cerca di fare il pelo a Della Loggia con domande tipo: “Da quanto tempo non entra in una scuola?”. Lui che ci va tutti i giorni vede studenti annoiati ed alienati. Logicamente, per lui, si dovrebbe risolvere il tutto se potessimo “…introdurre dei percorsi guidati da figure formate in modo specifico a questo scopo, e che formino a loro volta noi insegnanti. Che ci insegnino a insegnare meglio.” (La ricetta la si trova in rete, sul sito www.illibraio.it)
Certo che questa capacità di empatia verso gli indifferenti non so se farebbe risolvere molti problemi quali ad esempio anche quello del ragazzo morto per l’imbecillità della novità di questi ultimi anni, che chiamiamo, per brevità, percorso scuola-lavoro. Certo i momenti strutturali di inventive post modernità scolastiche lasciano poi sul terreno anche morti, ma noi siamo qua pronti a costruire empatia e resilienza. La serietà e la fatica del sapere sono veramente fuori moda per sensibilità garantite dal sistema di acquiescenza alle mode post moderne.
E ricorriamo ancora una volta ad Antonio Gramsci (chi era costui? con quel cognome difficile. Lui stesso ce lo dice, in una lettera del 1927: mi chiamano “ Gramasci, Granusci, Grámisci, Granìsci, Gramásci, fino a Garamáscon, con tutti gli intermedi più bizzarri.”)[1] ed alle suoi rilievi sulla fatica dello studio e sull’inutilità de latino. Inutilità, naturalmente al profitto immediato. Chissà in quale sezione di competenze non cognitive si potrebbe inserire tale obbrobrio? Naturalmente in nessuna, ma almeno la fatica inutile, di cui parla Gramsci serve per non fare la figura del fesso quando ad esempio, quisquilia, si deve eleggere il Presidente della Repubblica. Oppure, in situazione molto più importante, votare la canzone vincente del Festival di Sanremo. Ma forse a livello di importanza sarà il contrario? Non so – potrebbe rispondere l’empatico e resiliente studente - non ho studiato, ma solo annusato la scuola.
Tiziano Tussi
[1] Si trova, o almeno io l’ho trovata proprio ora, nella Prefazione di Francesco Giasi al libro In Movimento e in posa. Albo dei comunisti italiani, Marsilio, Venezia, 2021, p. 13.
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