Kazakistan: farsa tragica o tragedia farsesca?

 Kazakistan: farsa tragica o tragedia farsesca?

      Rodrigo Andrea Rivas - 31 Gennaio 2022

 

Non contento di avere governato il Kazakistan per oltre 30 anni, Nursultan Nazarbayev si è tenuto le leve del potere finché la popolazione è esplosa.
L’esplosione è avvenuta agli inizi di gennaio 2022 pur se c’erano state molte avvisaglie precedenti.
Come avviene ormai in tutti i continenti, la popolazione ha iniziato abbattendo le statue del autoproclamato “padre della nazione”.

Negli Anni ‘80 del secolo scorso ho assistito a Port-au-Prince a quel che a mia conoscenza è stato il primo atto di questa tendenza in epoca moderna: dopo essere riusciti a cacciare “Baby Doc”, erede idiota ma altrettanto sanguinario e ladro di “Papa Doc”, gli haitiani hanno abbattuto la statua di Colombo.
Chiesi allora perché lo facevano, cosa c’entrava Colombo con la dittatura.
La risposta che mi hanno dato i manifestanti di Cité Soleil è stata: “Colombo è il capostipite di una stirpe che ci ha buttato addosso quasi 5 secoli di sofferenze”.

Qualche settimana più tardi chiesi a degli amici dominicani (nell’altra metà dell’isola), cosa diceva la popolazione quando Rafael Leónidas Trujillo, prototipo del dittatore delle “Repubbliche delle banane”, aveva cambiato il nome alla vecchia capitale, Santo Domingo, chiamandola “Ciudad Trujillo”.
La risposta è stata:
“Nell’ottobre 1937 una sera Trujillo era nella sede del Senato che allora funzionava regolarmente come una “casa chiusa”.
Ciacolando con l’amministratrice della casa – nonché presidentessa del Senato – Trujillo venne a sapere che gli immigrati haitiani disturbavano la quiete del luogo.
Fece allora chiamare il capo della guardia nazionale per dettare un ordine esecutivo che diede origine al massacro di 20.000-30.000 haitiani nei successivi cinque giorni (Richard Lee Turtis, “A World Destroyed, A Nation Imposed: The 1937 Haitian Massacre in the Dominican Republic”, in “Hispanic American Historical Review”, vol. 82, n. 3, 2002, pp. 589–635 e R. A. Rivas, “Messico, Istmo, Antille”, CESPI-CGIL-CISL-UIL 1982).
L’episodio, noto fuori dall’isola come il “Massacro del prezzemolo”, è chiamato nella Repubblica Dominicana “El corte”” (letteralmente, “il taglio”) e ad Haiti “Kouto-a” (letteralmente, “coltello”).
Il nome deriva dal fatto che Trujillo ed i suoi ragazzi fecero ricorso ad un metodo infallibile per attuare la selezione precedente la pulizia etnica: verificare la pronuncia della lingua spagnola, parlata poco fluentemente dalla maggior parte dei vicini haitiani prevalentemente francofoni.


A tale effetto, i soldati dovevano girare con un rametto di prezzemolo (“perejil” in spagnolo), e chiedere cosa fosse ai tipi sospetti trovati per strada: chi non fosse riuscito a proferire perfettamente la parola sarebbe stato certamente di origine haitiana, quindi da eliminare.


E allora, cosa vuoi che dicessero i dominicani quando la capitale, diversi quartieri, molti club sportivi, la maggior parte delle scuole … passarono a chiamarsi Trujillo e le città si riempirono di statue inneggianti il condottiero?”

Torniamo al Kazakistan, riempito di statue del locale padre della patria il cui nome era stato dato anche alla capitale (sulla sede del Senato kazako non circolano notizie).
Ai primi di gennaio migliaia di persone occupavano le strade per protestare contro un ingiustificato aumento dei prezzi destinato a favorire esclusivamente le principali imprese del settore energetico, due delle quali dirette dal genero dell’autocrate.
La protesta è derivata in un cruento tentativo di golpe ispirato non da agenti esterni, come ha sostenuto il governo, ma dalla cerchia intima del vecchio leader scontenta da Kasim-Yomart Tokayev, nominato due anni prima come figura decorativa della transizione.
Per realizzare questa pantomima i servizi segreti hanno usato gruppi paramilitari per seminare il caos.
Il loro guaio è che non sono riusciti ad occupare la residenza dell’attuale presidente.

A quel punto, Tokayev ha chiesto l’aiuto del blocco militare diretto dalla Russia, sostenendo che il Kazakistan era sottoposto all’attacco di 20mila radicali islamici.
Perché questa rappresentazione era insostenibile, Tokayev aggiungeva che le truppe straniere erano ormai allo sbando ma continuavano a sussistere seri rischi per la popolazione.
Mosca decideva di appoggiare la nuova elite kazaka in questa pugna intestina.

A riprova di quanto testé indicato, mentre le truppe russe hanno iniziato a lasciare il Paese, si può segnalare:

·        Karim Masimov, capo dei servizi segreti, intimo di Nazarbayev e capo della lobby pro-cinese in Kazakistan, si trova in galera con l’accusa di alto tradimento;

·        tutti i familiari di Nazarbayev hanno perso i loro incarichi di governo e negli enti statali;

·        figlie, generi nipoti, fratelli, cugini e amici sono fuggiti a Londra, Dubai, Zurigo ed altre città accoglienti con chi ha accumulato denaro saccheggiando i loro Paesi. Un saccheggio durato 30 anni, è un buon e consistente titolo di presentazione.

Il patriarca del clan si è mantenuto silenzioso durante tre settimane malgrado gli avessero tolto l’incarico vitalizio come presidente del Consiglio di Sicurezza e fosse stato destituito dall’incarico di capo del partito al governo. Si rumoreggia che abbia trattato per ritornare parte del bottino in suo possesso in cambio della sua libertà, ma di questo non ci sono prove. Tuttavia, il 28 gennaio la televisione kazaka ha diffuso un suo messaggio in cui si definisce un semplice pensionato e ammette che Tokayev è ormai il solo detentore del potere.

La defenestrazione di Nursultan Nazarbayev offre una quadruplice lezione.

·        La prima, la più importante, è che rappresenta un avvertimento per gli eredi dei governi post-sovietici per i quali Nazarbayev era l’esempio da seguire per perpetuarsi al potere. La ricetta del sultano funziona fin quando finisce la pazienza della popolazione oppure fin quando il successore designato non rompe con l’aspirante a leader eterno.

·        La seconda è che da queste parti – intendo in Italia ed in Europa – bisognerebbe informarsi prima di emettere giudizi.

·        La terza è che lo scatto automatico in difesa di Mosca non è giustificato.
Nello scenario ucraino, Putin ha ragione, nel Kazakistan no.
La Russia di Putin è una potenza nucleare con aspirazioni imperiali e comportamenti neocoloniali pur se meno stridenti di quelli statunitensi.

·        La quarta è constatare la straordinaria ripetizione dei fatti: Città Trujillo-Città Nursultan, aumento del combustibile–aumento del trasporto (Cile), e cioè dai “30 pesos” “alle 60 tenge”.

Funziona sempre con la stessa logica: “Cosa volete che sia”.
In Cile, nella prima fase della rivolta sociale iniziata nell’ottobre 2019, parenti e amici del presidente Sebastián Piñera parlavano di atti criminosi di “alienigeni”.
Nel Kazakistan, di radicali islamici.

In effetti, per le elite “30 pesos” e “60 tenge” sono roba da nulla, ma la loro è una logica scollegata dalla vita della gente comune.
I neoliberisti vivono fuori dalla realtà (purtroppo non sono gli unici).
Costituirebbero comunque un buon oggetto di studio per l’analisi della moderna alienazione.

Secondo Marx “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.
Forse sarà per un mio certo senso tragico della vita ma, confesso, non riesco a vederne la parte farsesca.

 

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