Qualche riflessione per superare la debolezza del movimento contro la guerra

 Mai come oggi il movimento contro la guerra è stato così debole, sia lungi da noi attribuire ai pacifisti responsabilità ma qualche motivo di riflessione e di comune dibattito si rende comunque necessario.


Non entriamo nel merito delle cause e delle responsabilità della guerra in corso, partiremmo già con valutazioni tali da dividere il fronte contro la guerra e un suo ulteriore indebolimento sarebbe nocivo per tutti\e. Per questa ragione  ci auguriamo non sia motivo di divisione l'approccio delle singole realtà alla lettura della guerra, dalla critica alla società  patriarcale fino a quel punto di vista antimperialista che a nostro avviso è decisamente avanzato rispetto all'irenismo generico e aclassista o al  pacifismo che invoca quella Carta Costituzionale diventata da anni inutile per fermare l'escalation militare o per affermare i diritti ad esistenze dignitose con salari  adeguatamente retribuiti o che pensa di proporre dei referendum sostenuti da gruppi  dirigenti estremamente ristretti quando lo strumento referendario da sempre è invece occasione per mettere insieme differenti culture e aree sociali e politiche vaste come  accaduto su tematiche rilevanti come nucleare, acqua e i diritti civili.

La crisi dello strumento referendario imperversa da anni avendo lo stesso dei limiti (solo il carattere abrogativo) quando non diventa invece occasione di  autopromozione   politica,   per   cercare   una leadership nel movimento (“stile di lavoro” che più sbagliato e controproducente non può esservi per un progetto di costruzione di un movimento vasto e di popolo). Noi pensiamo, con la massima umiltà, che su tematiche rilevanti come guerra, lavoro, diritti sociali si debba sempre cercare di ampliare i soggetti coinvolti prima di dare inizio a una mobilitazione per altro complicata come quella referendaria, al contrario la raccolta di firme sui quesiti della guerra è iniziata​ senza confronto e mobilitazione alle spalle, senza dialogo con pezzi di movimento attivi contro la militarizzazione. 

Di conseguenza,  in virtù   di   queste   inclinazioni   fortemente autoreferenziali e forse strumentali , corriamo il  rischio di andare verso un esito frustrante del referendum   vanificando   lo   sforzo   dei firmatari e degli organizzatori e, in tal caso, le ripercussioni sul movimento contro la guerra sarebbero solo negative.

Da 30 anni dominano guerre pseudo umanitarie sotto l'egida Nato o dell'Onu ma innumerevoli conflitti a bassa intensità in aree sperdute e lontane dai riflettori mediatici dove si testano i nuovi sistemi di arma quando non troviamo i "nostri" militari presenti nel ruolo di addestratori o all'interno di missioni internazionali per difendere un ordine e una sicurezza che si traduce quasi sempre in salvaguardia degli interessi economici di multinazionali che saccheggiano le risorse locali.

L'assenza di un dibattito politico sulla guerra ha spinto molti\e a trincerarsi dietro alle proprie "certezze" perdendo di vista come i conflitti trasformino anche il nostro modo di pensare e di vivere, in ambito sindacale i soli scioperi sono stati quelli organizzati dal sindacalismo di base, tra i sindacati cosiddetti rappresentativi si ritrovano posizioni o allineate con l'invio delle armi all'Ucraina o ferme a slogans assai generici che non mostrano alla forza lavoro il nesso tra guerra e crescente impoverimento delle classi lavoratrici.

Va detto con estrema chiarezza che il rifiuto della guerra è diffuso ma ancor più forte è la passività verso le politiche di guerra e le decisioni assunte dai Governi europei.

Manca, e su questo pensiamo di non sbagliare, una lettura politica della guerra che tenga insieme le cause economiche, monetarie (la supremazia del dollaro), le conseguenze sociali e i processi in atto nei vari paesi dove simultaneamente prevalgono scelte scellerate di riduzione della spesa sociale, di aumento della spesa militare e  processi

La scarsa propensione a leggere i fatti economici non ci permette di cogliere ad esempio quanto accade in queste ore nel kosovo con gli Usa che soffiano sul fuoco di mai sopiti conflitti locali per attaccare direttamente la Serbia che riceve petrolio dalla Russia ed è il solo paese a dei Balcani a non accogliere basi militari Nato.

'Il tentativo statunitense di destabilizzare la Serbia indipendente, coincide con la proiezione geopolitica del Pentagono: portare la dottrina della ‘’guerra eterna’’ nel cuore d’Europa, trasformando la soprastruttura istituzionale dei paesi europei in una nuova Architettura di potere. L’aggressione imperialistica del ’99 coincide con la transizione definitiva dal Welfare State al War State e, cosa rimossa da diversi analisti, il passaggio della sinistra ‘’socialdemocratica’’ nel campo neoliberale; l’ultima tappa, pianificata dai tecnici del Pentagono, è quella d’utilizzare la biopolitica per imporre il capitalismo della ‘’sorveglianza globale’’ (in realtà limitato allo spazio geopolitico definito anglosfera). La guerra è una necessità esistenziale per Washington. 

Il nuovo assalto a Belgrado, utilizzando come Cavallo di Troia il nazionalismo etnico kosovaro, è una replica dell’aggressione atlantista all’Eurasia: proiettare nel ventunesimo secolo la geopolitica nazi/neocons della Lega Anti-Comunista Mondiale, creando una Internazionale nera di stati non riconosciuti dalle Nazioni Unite, da Pristina a Kiev/Tel Aviv e Taipei. La guerra ‘’di quarta generazione’’ contro Belgrado, in Europa e negli USA, rappresenta una operazione psicologica (psyop) che ha trasformato la sinistra post-modernista nell’estrema sinistra del neoconservatorismo: la lobby progressista, ideologicamente anti-marxista, ha abbracciato la dottrina della guerra eterna, demonizzando tutto ciò che non rientra nei canoni (geo)politici occidentali.''

Della Bussola europea e dei suoi disegni strategici si è parlato assai poco , eppure quanto accade oggi è il frutto di quel progetto della Ue sinergico in buona parte con le politiche Usa e Nato.

Se la Ue utilizza i soldi per produrre munizioni ed armi, se i fondi del Ricovery sono destinati a uso militare qualche riflessione sulla Bussola Europea andrebbe fatta come anche quando si parla di militarizzazione della società, delle scuole e degli atenei.

Nel primo anno di guerra, l' Unione europea (UE) ha del stanziato finanziamenti superiori ai 12 miliardi di euro in aiuti militari all’Ucraina, ai quali aggiungere  i 3,5 miliardi della European Peace Facility (EPF), il fondo ad hoc creato nel 2021 e finanziato dai 27  paesi al di fuori del bilancio comunitario

Nei paesi europei si stanno potenziando le basi militari Usa e Nato destinando loro ingenti risorse sottratte al sociale, alla manutenzione dei territori tanto che la soluzione prospettata è quella di favorire una grande speculazione finanziaria per assicurare famiglie e aziende contro i disastri ambientali.

La militarizzazione dei territori si alimenta con la cultura della guerra che si afferma anche attraverso narrazioni di stampo revisionismo sulla storia passata e con giornate di falsa solidarietà costruite con le scuole e università dove la scarsa propensione al finanziamento della ricerca finisce con il regalare alle multinazionali d'armi il ruolo di mecenati disinteressati nel finanziare corsi di laurea e borse di studio funzionali a progetti di ricerca a fini militari.

E' ormai palese la presenza dell'apparato militare nella società, nelle scuole e negli atenei proprio a causa del venir meno del ruolo dello Stato e nella penuria di fondi pubblici per garantire il reale diritto allo studio.

Prima di arrivare a proposte concrete vorremmo segnalare il grande ritorno di un nuovo estrattivismo riguardante materie  materie prime e come litio, cobalto, nickel e rame  la cui domanda  è destinata a crescere in un’economia che diventerà sempre più elettrificata e decarbonizzata.

E non è casuale trovare multinazionali di armi e paesi in guerra nel ruolo di fautori di svolte energetiche non inquinanti visto che l'inquinamento lo producono nei paesi del terzo mondo con la devastazione di intere aree del globo per avere materie indispensabili per il modo di produzione capitalistico.

Chiudiamo con le proposte

Noi pensiamo che quanto accade in Italia avvenga anche in altre nazioni, in aree dove le servitù militari sono più forti a trionfare alle elezioni sono coalizioni guerra fondaie, le opere di compensazione proposte a livello locale e nazionale finiscono con il guadagnare consensi trasversali , una sorta di riduzione del danno (derivante dalla militarizzazione dei territori) che accontenta ampi settori della popolazione e alla fine mette d'accordo centro sinistra e centro destra che rispetto alla Bussola Europea hanno una visione pressochè identica differenziandosi solo sul maggiore o minore asservimento ai dettami Usa e Nato.

 Una campagna nazionale contro la militarizzazione dovrà affrontare nodi economici e sociali, le conseguenze sui territori derivanti dalla servitu' militare consapevoli che allo stato attuale non ci saranno battaglie di massa ma solo di minoranza, una minoranza da rafforzare con argomentazioni e pratiche comuni. 

Pensiamo che potenziare il lavoro dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole sia un impegno comune per quanti vogliono affermare anche una semplice cultura di pace e una idea della società dove l'elemento militare non la faccia da padrone. Resta il nodo sociale e sindacale, in anni lontani il movimento operaio era consapevole che ogni conflitto determinava l'arretramento dei salari e il deterioramento delle condizioni di vita, ancora oggi accade anche se in termini diversi dal passato. 

E lavorare a una proposta politica contro la Nato non ci parrebbe un retaggio ideologico del passato ma una scelta indispensabile alla luce di quanto sta accadendo.

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