Riflessione sul 25 Aprile




Tiziano Tussi

25/04/2018

Oggi, mentre scrivo, è il 25 aprile. Domani sarà il 26 aprile. Banale ma vero. La giornata di oggi è una specie di imbuto dell'oggi che si basa sullo ieri, ma che, come ogni momento storico, vive nel presente. Ed allora ecco che dalle piazze emergono scenari odierni che a volte poco o nulla hanno a che fare con il ricordo, oggi, dello ieri.

Questo misunderstanding, questo fraintendimento, agita le piazze e le motivazioni politiche, a volte sincere a volte strumentali. Tutto assieme, tutto inutile se non nel volere riaffermare, per ogni soggetto politico, posizioni e comportamenti che hanno ora, forse, un senso. È da decenni che nelle piazze d'Italia questa giornata si dispiega più o meo pigramente. Momenti di tensione, scontri, oppure passeggiate per le strade delle città.

Che cosa vuole dire ricordare un avvenimento che ogni anno si allontana sempre più dall'atto del ricordo. Ogni anno vi è qualcosa di diverso, in questo giorno, il 25 aprile, di ogni anno. Mentre il ricordo si indirizza ad un momento che fu quello che la storia ha deciso fosse. Ma a questo punto dobbiamo sempre ricordare che il passato cambia continuamente, agli occhi e con le azioni del presente, sempre diverse, sempre pronte a scavare, a cambiarlo, questo passato che non è mai definito una volta per tutte.

Ricordare il 25 aprile 1945, negli anni 60/70 del secolo scorso aveva senso complessivo diversissimo dall'oggi. Dovremmo forse assuefarci all'idea che oggi, il 25 aprile, è una specie di imbuto politico che sarà storia negli anni a venire? Un imbuto dove si versa il liquido, sempre più spesso, della nostra società incartapecorita ma ancora, sotto traccia, vitale e piena di contrasti? Quindi ognuno miscela come vuole: il PD, la Lega, associazioni di ogni tipo, Brigata ebraica, briciole di sinistra di classe, laici, fascisti. Ognuno grida all'altro la stessa offesa, gli stessi epiteti. Anche i fascisti gridano alla repressione subita. Anche chi non ha partecipato a quella Resistenza, come le associazioni palestinesi, gridano fascista alla Brigata ebraica, che replica allo stesso modo.

Ogni politico che può permetterselo, dal centro dello schieramento alla sinistra, che si definisce con qualche aggettivo più o meno fantasioso, va in piazza osannato da alcuni, schifato da altri. Fascisti e antifascisti tutti: un po' paradossale ed utile per ognuno in questa giornata, inutile per tutti il giorno dopo. Prendere slancio dall'oggi, dal ricordo dello ieri, potrebbe essere un punto di partenza, ma proprio perché così non è da decenni, la giornata passa con qualche strascico di polemiche, per poi fare ritornare tutti nel proprio ruolo, ripetitivo e non concludente, il giorno dopo.

Si vedono in piazza, a Milano, molte facce che sono lì per raccogliere un alloro, dell'oggi, che sarà già marcio la sera. Vedere una massa di uomini e donne, ma anche bambini, e molti giovani, sfilare, senza potere sperare di avere poi, da domani, una rappresentatività a livello politico, fa impressione. Moltissimi si danno da fare, nelle organizzazioni più disparate - e basterebbe un piccolo elenco, che non faccio, ma che ognuno ha potuto stilare partecipando ai cortei a Milano e nelle altre città - per arrivare a qualcosa di civile.

Difesa di diritti per gli uomini di questa Italia, per chi vi è nato, per chi vi arriva, per chi ci passa, per coloro che se ne vanno all'estero. Tutto di grande impatto e di alta civiltà ma a livello di popolo, inutile. Quanti in piazza a Milano? 100.000 o più. Quanti nelle altre città e paesi? Tantissimi. Una grande partecipazione di popolo, e poi il giorno dopo, chi vai a votare? Il PD. Penoso. L'alternativa unica presente sul terreno, i 5 stelle. Altrettanto penoso. Ma non c'è altro - e non sto parlando della destra che sta vivendo anch'essa in ambasce politiche irrisolte, anche se Salvini non sembra accorgersene. A sinistra, tra i progressisti, non c'è possibilità di essere rappresentati degnamente.

La civiltà dei nostri partiti politici maggiori è decisamente assente dalle loro file, nei loro discorsi, superficiali e solo politici. La politica è un vestito leggerissimo che copre le spalle di gruppi che non arrivano mai ad incidere sulle condizioni strutturali di vita del nostro popolo. E non basta certo un'accorata Bella ciao. Quindi lasciamo pure che si insultino o che si esaltino in piazza, tanto poi, alla prova dei fatti concreti, vi sarà sempre una elezione - primarie, amministrative, politiche - pronta a incanalarli verso una inutilità un poco organizzata, che permetta la sopravvivenza di quell'organizzazione, di quel partito, naturalmente solo come organismo politico partitico. Altro non c'è.

L'ideologia serve come collante di seconda mano, ma utile, per tenere un poco le fila di chi non crede a niente altro che a sé stesso - il leader, l'uomo carismatico. Nel profondo la società soffre e si dispera tra l'alternativa al massacro soffice ed il massacro crudele. Non è del resto possibile neppure una guerra di Resistenza, dato che il nemico si è tanto sciolto - va di monda pensare alla bontà dell'analisi liquida della società - da non sembrare nemmeno più nemico dell'umanità, ma anche lui ha un bicchiere in mano per l'ennesimo aperitivo ed un cellulare nell'altra per postare un selfie.

Lui è come noi. Stiamo naturalmente alludendo al capitalismo ed ai capitalisti in carne ed ossa. Il nemico di classe ha sciolto la sua classe nelle feste e negli intrugli informatici ed appare così tanto vicino che è possibile seguirlo su twitter. Dare la propria amicizia su facebook. Domani è il 26 aprile, la danza continua.
 

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