La militarizzazione nucleare del Nord-Est, in assenza di qualunque trasparenza democratica

 La militarizzazione nucleare del Nord-Est, in assenza di qualunque trasparenza democratica 

di Laura Tussi


L'assenza di trasparenza e di informazione pubblica sui piani di emergenza nucleare nelle aree che ospitano infrastrutture o transiti legati all’atomo militare sono denunciate in una recente interrogazione con richiesta di risposta scritta presentata dall’eurodeputata Cristina Guarda (Verts/ALE) alla Commissione europea. L’iniziativa riporta al centro del dibattito un nodo che in Italia viene sistematicamente eluso e la preoccupazione riguarda in particolare la base di Aviano, che conserva armamenti nucleari statunitensi, e i porti di Trieste e Koper-Capodistria, dove avviene il passaggio e la sosta di navi militari a propulsione nucleare.

Pur essendo obbligati dalla direttiva 2013/59/Euratom a rendere pubblici i piani di emergenza radiologica, gli Stati membri continuano a mantenere una cortina di silenzio su aspetti che riguardano la salute collettiva e la sicurezza dei territori. È questo il punto da cui parte l’interrogazione di Guarda, che ricorda come da anni associazioni civiche, sindaci e amministrazioni locali chiedano ai prefetti e ai ministeri competenti di conoscere protocolli e misure previste in caso di incidente nucleare. Una richiesta rimasta lettera morta.

Il Friuli Venezia Giulia è oggi una delle aree più esposte a rischi potenziali legati alla presenza militare nucleare. Da un lato, Aviano è uno dei principali hub dell’ombrello atomico della NATO in Europa. Dall’altro, l’Alto Adriatico è diventato un corridoio strategico per i movimenti navali degli Stati Uniti e dei loro alleati, in particolare nel contesto delle tensioni globali e del riarmo generalizzato. Si tratta di dinamiche che coinvolgono comunità, ecosistemi marini e territori densamente abitati, senza che chi vi vive sia messo in condizione di conoscere i protocolli da seguire in caso di emergenza.

Il tema non riguarda soltanto la prevenzione tecnica, ma anche una questione di democrazia. La popolazione ha diritto a essere informata, a maggior ragione quando l’opacità istituzionale si intreccia con un contesto geopolitico segnato da conflitti in corso, escalation militare e una nuova centralità del nucleare come deterrente. Mentre la guerra in Ucraina ha riportato la minaccia atomica al centro dello scenario internazionale, e mentre nuove crisi si affacciano nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, il silenzio sulle procedure di sicurezza appare ancora più inquietante.

L’interrogazione solleva tre questioni cruciali: l’effettiva applicazione della direttiva Euratom; la necessità di garantire l’accesso pubblico ai piani di emergenza, coinvolgendo anche la Slovenia; e infine la coerenza tra le normative di protezione civile e la presenza di ordigni nucleari nei territori europei. In altri termini, l’Europa può permettersi di chiedere rigore e trasparenza ai suoi cittadini mentre accetta che intere aree strategiche restino zone d’ombra?

Questo dibattito si intreccia con una riflessione più ampia sul modello di sicurezza perseguito dalle istituzioni euro-atlantiche. Il ritorno dei deterrenti nucleari, il rafforzamento delle basi militari e la normalizzazione del transito di mezzi atomici rappresentano una precisa scelta politica: quella di ancorare la stabilità del continente a una logica di potenza, anziché a un percorso di disarmo multilaterale. Ma ciò avviene senza che l’opinione pubblica sia coinvolta o informata, mentre le comunità locali continuano a essere chiamate a convivere con rischi che non hanno scelto.

In un momento storico in cui si parla sempre più di “autonomia strategica europea” e di “sicurezza collettiva”, la questione della trasparenza sul nucleare militare diventa simbolo della distanza tra decisioni geopolitiche e democrazia reale. Una distanza che può essere colmata solo con un cambio di paradigma: aprire alla partecipazione, rendere conoscibili i dati, costruire protocolli condivisi e soprattutto accelerare ogni iniziativa per la riduzione degli armamenti.
Perché non può esistere sicurezza senza informazione. E non può esistere Europa senza democrazia.

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