I rapporti tra università e guerra

Pubblichiamo l'intervento alla assemblea cittadina del 26 Maggio alla casa del Popolo di Pisanello organizzata dal comitato No Camp Darby, intervento del Fronte della Gioventu' comunista




Per capire a fondo i rapporti tra università e guerra è necessario un piccolo approfondimento sulla natura dell’università itaiana. Col ’68 l’Italia ha creduto di aver ottenuto la cosiddetta “università di massa”. Vediamo gli studenti iscritti passare da 230000 negli anni ’50 a 20000000 nel 2000. Pierangeli cantava “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, un’idea che poteva sembrare rivoluzionaria ma che in realtà non è molto diversa dall’ideale borghese dell’uomo che si fa da solo, che riesce a emergere nella società grazie ai propri sforzi e contro ogni avversità. Può sembrare strano, ma spero di riuscire a convincervi della cosa con qualche dato: se gli iscritti all’università erano diventati 2 milioni diciott’anni fa, già nel 2016 si erano ridotti, grazie ai tagli massacranti all’università e all’istruzione che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno fatto, a 1,7 milioni. Questo perché la borghesia utilizza l’università per formare la manodopera specializzata di cui ha bisogno, o i quadri dirigenziali di aziende e società. Proprio per questo la scolarizzazione di massa è segnata dalla contraddizione fra la conoscenza in sé e il suo implemento nel modo di produzione capitalistico. Il capitale vorrebbe ridurre l’istruzione a un apprendimento nozionistico di un sapere relativamente specializzato. Quindi negli anni ’70 il capitale pensò bene di riconvertire milioni di diplomati senza lavoro in universitari, per evitare le frizioni sociali, molto forti in quel periodo, dovute alla disoccupazione di giovani intellettuali. Quello che succede poi è che quando il sistema si inceppa ed è saturo, perché al capitale non serve altra manovalanza specializzata e nel frattempo la disoccupazione intellettuale non produce più moti e rivolte sociali, il capitale decide che l’università deve avere meno iscritti. Un'altra prova di questa cosa sta nel fatto che sebbene oggi molta gente possa accedere all’università, solo la metà di chi consegue una laurea triennale prosegue con la magistrale, che sarebbe l’equivalente della vecchia laurea a ciclo unico, regalando quindi alle università anni di tasse di questa gente (che spesso va anche fuori corso, perché in Italia non si tiene conto adeguatamente degli studenti lavoratori o comunque non si fa nulla per superare questo problema, che ad esempio qui a Pisa rappresenta una vera emergenza, con il 43% degli iscritti che sono fuori corso) mentre invece i titoli davvero utili sono la laurea magistrale o, sempre più spesso, dottorati e master. I primi in Italia sono davvero appannaggio di pochi, i secondi sono esageratamente costosi, nonostante spessissimo organizzati dalle stesse università e con gli stessi professori dove uno ha preso la laurea.
Per questo, prima di vedere come tutto ciò è fortemente collegato all’industria bellica, quello che noi del FGC chiediamo non è un’università di massa ad uso e consumo del capitale e della borghesia (con le aziende che sono entrate addirittura a far parte dei consigli di amministrazione degli atenei), ma che si superi il modello di università del capitalismo, nonché slogan come quello della “liberazione dei saperi”: infatti un’università solo più aperta e accessibile non è sufficiente a modificare i rapporti di classe e di produzione all’interno della società. Ad esempio basti pensare che il numero chiuso esiste anche in stati socialisti come Cuba, e serve effettivamente a pianificare la società, ma la differenza col nostro sta nel fatto che tutti ricevono lo stesso livello di istruzione scolastico, e non come qui dove esistono licei di serie a e istituti di serie b, scuole del centro di alto livello e scuole di periferia che sono quasi dei “parcheggi” per i ragazzi.
Ora, il rapporto tra mondo universitario e apparato militare non è un fatto nuovo. Se la guerra diventa parte integrante della società democratica, l’Università assume il duplice ruolo di legittimare la presenza e la funzione dell’esercito e di fornire quel complesso di conoscenze e mezzi necessari a un sistema sempre più complesso di produzione degli armamenti. C’è un opuscolo che si chiama “L’Università in guerra” prodotto da dei compagni dell’università di Trento nel 2011, in cui denunciano cose come il fatto che un capitano dell’esercito fosse andato a parlare in università di “missioni di pace”, e questo rientra nel lavaggio del cervello che subiscono gli iscritti a facoltà umanistiche al fine di formare la classe di intellettuali che poi andrà a legittimare la guerra. Gli iscritti a facoltà scientifiche non sono più fortunati: se è vero che è difficile raccontare una versione di comodo della scienza, loro sono quelli che diventano la manodopera specializzata di cui parlavo prima, e non a caso: dal 2004 al 2014 gli immatricolati a facoltà scientifiche sono passati dal 28 al 34% del totale: ovviamente i giovani scelgono quelle facoltà universitarie che sembrano dare maggiori sbocchi lavorativi. E qui ritorno a Trento: la facoltà di ingegneria di quell’ateneo, denunciano i compagni, ha una partnership importante con le aziende controllate da Finmeccanica, il principale produttore di armi, e devono offrire il loro lavoro per la progettazione di armi. Nota curiosa: lo fanno addirittura gratis, perché in molte facoltà per laurearti ti costringono a fare una quantità allucinante di ore di tirocini non pagati (troppo alta per poter essere davvero formativa, è semplicemente lavoro non retribuito).
Ultima testimonianza: gli studenti di scienze internazionali e diplomatiche dell’Università di Trieste sono stati coinvolti dal 2010 in attività operative con compiti di consulenza per quanto riguarda l’analisi di aspetti politici e legali, con particolare riferimento ai rapporti con le Organizzazioni internazionali.
Insomma, l’università è di massa solo quando il capitale ne ha bisogno, mentre quando si raggiunge la saturazione hanno tutti i mezzi per far calare le iscrizioni. Come FGC denunciamo riteniamo che un’università piegata agli interessi dell’industria bellica non è altro che una manifestazione di un problema più generale che non è quasi mai stato messo a fuoco nelle lotte studentesche passate: noi non pensiamo che la garanzia di maggiore diritto allo studio sia sufficiente a trasformare la società, come non vogliamo attribuire agli studenti una funzione rivoluzionaria che di per se non hanno, ma vogliamo cercare di orientare il movimento studentesco dell’università in funzione rivoluzionaria.

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