Il dogma della produttività, la trasformazione industriale e il PNRR
Il dogma della produttività architrave dello sfruttamento di classe
Il Pnrr rappresenta una occasione per rilanciare l’economia capitalista? Le
ricette neokeynesiane oggi non sono l’antidoto per salvare un sistema immodificabile
come quello capitalistico. Proviamo allora a ragionare in termini di classe per
restituire credibilità ad una proposta di cambiamento reale
La produttività non cresce se il capitale si investe in bar, ristoranti e
speculazione immobiliare, lo diceva Sylos Labini decenni fa per indirizzare gli
investimenti verso produzioni e tecnologie avanzate e non verso il
turismo, il piccolo commercio.
L'unica politica oggi in mano agli Stati è quella del lavoro e da tempo
avviene all'insegna della precarietà.
La politica monetaria e quella fiscale non
sono più nelle mani dello Stato o, meglio, la riduzione alle tre aliquote
fiscali oggi esistenti rappresenta pur sempre una scelta dei Governi e dello
Stato ma su imposizione del capitale europeo ed internazionale.
Una parte rilevante del Pil dalla quota
salari è stata spostata al capitale e alle rendite e serviva un sistema fiscale
di abbattimento delle tasse per i redditi elevati e i governi di centro
sinistra, tecnici e di destra hanno puntualmente obbedito.
Il salario non cresce, diminuisce la quota
salario del PIL, cancellare il reddito di cittadinanza era indispensabile per
imporre condizioni lavorative precarie e peggiorative.
Le grandi aziende che hanno fatturati
enorme e utilizzano tecnologie avanzate presentano margini di profitto sempre
maggiori, hanno sovente pochi lavoratori e quindi meno tasse e oneri fiscali,
negli ultimi 30 anni la aliquota sui capitali è stata dimezzata e questa
riduzione ha determinato minori fondi al welfare, ogni paese ha abbassato le
tasse proprio per attirare le multinazionali e assecondare le politiche della
BCE e del FMI.
Il potere contrattuale in Italia è eroso
dalla precarietà, il 65% dei giovani assunti hanno contratto precari, la media
dei paesi Ocse è attorno al 25%.
Precarietà, part time involontario sono i
mali che affliggono il lavoro e impoveriscono i salari reali.
Pensiamo a un lavoratore con 800 euro di
busta paga, tra 30 anni avrà una pensione inferiore alla soglia di povertà.
Spesso si parla di arricchimento delle
nazioni dell'Est europeo dopo il crollo del Muro di Berlino, ebbene se
guardiamo al potere di acquisto reale, alla fine degli anni novanta o nel
decennio successivo questi lavoratori stavano peggio di quanto esisteva il
socialismo reale.
Dagli anni Ottanta ad oggi non è scomparsa
la politica industriale italiana ma si è indirizzata verso politiche
orizzontali a favore di tutte le imprese senza alcuna selezione a monte degli
aiuti di stato che a livello Ue hanno per altro subito una forte contrazione.
Oggi, con il PNRR, la Ue sta rivedendo
queste politiche di aiuto pubblico alle imprese con politiche selettive al
posto di quelle orizzontali.
E su questo cambiamento si consuma lo
scontro politico in vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo.
L'Italia a livello innovativo è in grave
ritardo, le statistiche dicono che il pubblico in termini innovativi ha speso
sempre meno presentandosi come grande ammortizzatore sociale per tenere in
vista aziende progressivamente marginalizzate dai cicli produttivi.
Le imprese italiane fanno ricerca, solo
quelle più grandi ovviamente, ma in misura inferiore a quanto accade in altri
paesi Ue.
Negli ultimi 30 anni la situazione non è
cambiata e per alcuni paesi la sfida del PNRR potrebbe rappresentare
l'occasione per una svolta nelle politiche di ricerca, di sviluppo e di
produzione di tecnologie avanzate.
Chi sono "gli animali"
industriali italiani?
- Le grandi imprese legate alle
multinazionali che sfuggono ad ogni controllo statale
- le medie imprese verso le quali
hanno sempre guardato i governi per le politiche industriali. Ma ci sono
medie e piccole imprese ad alto potenziale di crescita ed altre in grande
affanno e destinate al fallimento
- le grandi aziende pubbliche
divenute ormai a tutti gli effetti private. Anche il vecchio confine tra
pubblico e privato andrebbe rivisto alla luce dei fatti.
Le politiche industriali andranno quindi
ripensate e soggette a una selettività dei finanziamenti sapendo che una
eventualità del genere potrebbe alimentare la spirale della disoccupazione. I
fondi destinati alle società di consulenza sono cresciuti ma questi soldi non
sono serviti alla ripresa occupazionale e produttiva.
Anche i finanziamenti destinati alla
ricerca andrebbero ripensati perché spesso finiscono con l'essere governate da
esigenze di natura politica e clientelare. Chi decide allora cosa produrre e
dove investire? E' una domanda dirimente alla quale rispondere.
Chiudiamo sulla necessità di ragionare in
termini di classe ogni qual volta si parla di economica, fiscalità, politica
industriale.
Non siamo certo noi a volere salvare il
capitalismo per affermare una economia diversa da quella del profitto, una
economia dei produttori che veda protagonista la forza lavoro. E la imposizione
del dogma della produttività è stata costruita per aumentare le prestazioni
lavorative a costo zero, accrescere lo sfruttamento, precarizzando il lavoro e
peggiorando le nostre condizioni di vita per rafforzare al contempo il potere
economico e politico del capitale.
La lotta di classe nasce nei luoghi di
lavoro, nella lotta sociale, queste lotte ci sono ma vengono o represse o
vilipese come resistenza di un vecchio mondo che non vuole capitolare.
La classica narrazione giustificazionista
dell'esistente. La partecipazione dello stato all'economia non è una analisi di
classe ma solo una prospettiva neokeynesiana che in certi contesti storici è
stata pensata come soluzione di sinistra per ricomporre le contraddizioni
capitaliste a vantaggio delle classi subalterne. Molte aziende oggi statali
sono a tutti gli effetti private, basta allora la proprietà pubblica o l’azionariato
pubblico? Noi pensiamo di no.
Urge aggredire il carattere regressivo del
sistema di tassazione, banalmente, ma fino ad un certo punto, potremmo asserire
che le tasse in Italia le pagano quanti hanno meno risorse. Da qui l'urgenza di
un sistema di tassazione antitetico a quello esistente e portato avanti
indistintamente dai governi di centro sinistra, tecnici e di destra. Abbiamo le
tasse sull'eredità e sui grandi capitali più bassi, una speculazione
immobiliare da aggredire con gli espropri pubblici.
Serve una nuova scala mobile, una
fiscalità che ripristini le vecchie aliquote fiscali, una ripubblicizzazione
della sanità privata a favore di quella pubblica, analogo discorso vale per
l'istruzione.
Parliamo di sogni irrealizzabili? Pensiamo
siano solo prospettive radicali di cambiamento
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