Se la lotta di classe viene attenzionata dai Servizi segreti
Se la lotta di classe viene attenzionata dai Servizi segreti
La Relazione annuale sulla politica della informazione per la
sicurezza, redatta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e scaricabile
anche in rete, rappresenta una lettura utile a comprendere i cosiddetti nemici
individuati e analizzati dai dominanti.
110 pagine ricche di riferimenti agli scenari internazionali,
economici e finanziari e alla analisi dei fenomeni nazionali pericolosi per
l'ordine pubblico.
Ci soffermiamo solo un passaggio riguardante il mondo del lavoro
“Si è
confermata la strumentale attenzione nei confronti del mondo del lavoro, con
riferimento tanto a controversie salariali e occupazionali d’importanti realtà
produttive nazionali, quanto ai variegati settori del precariato lavorativo,
spesso a prevalente composizione immigrata, ritenuti, dalla propaganda d’area,
i nuovi terreni dello “scontro di classe”.
Detto in altri termini settori antagonisti e conflittuali,
nostalgici della lotta armata riserverebbero grande attenzione al mondo del
lavoro provando a inserirsi dentro vertenze locali e nazionali per generare una
escalation di violenza contro i poteri statali.
Non è la prima volta che ci imbattiamo in analisi del genere, il
mondo del lavoro è attraversato da profonde fratture e contraddizioni derivanti
anche dalla crisi economica e sociale, dalle crescenti disuguaglianze che
alimentano la ricchezza e i profitti di pochi a discapito del recupero del
potere di acquisto salariale.
Senza ripercorrere la storia degli ultimi 50 anni urge trarre
alcune considerazioni da questo documento e proveremo a farlo in estrema
sintesi
1.
Gli ultimi 40 anni neoliberisti hanno visto la sostanziale perdita
del potere di acquisto dei salari e la precarizzazione del mondo del lavoro. I
salari italiani sono diminuiti al contrario di quelli europei, e non parliamo
solo dei paesi UE a capitalismo avanzato. In ambito sindacale la concertazione
è stata funzionale a costruire quel sistema di relazioni tra sindacato e parti
datoriali che ha sancito l'arretramento delle condizioni di vita, di lavoro e
anche dei livelli contrattuali e retributivi. Allo stesso tempo la pace
sociale ha determinato il sostanziale arretramento del sindacato, la perdita
del potere contrattuale mentre crescenti ricchezze venivano indirizzate ai
profitti e ai dividendi tra azionisti.
2.
Il timore diffuso che i sindacati concertativi e rappresentativi
non riescano a rappresentare la forza lavoro è palese come anche la
consapevolezza che nella società e nei luoghi della produzione si stiano
organizzando percorsi caratterizzati da forte radicalità, da proposte
incompatibili con le politiche di austerità e con le forme tradizionali che
caratterizzano da decenni le relazioni tra datori e subordinati. La paura che
la lotta di classe torni a caratterizzare le vertenze nazionali e locali,
che non ci si accontenti delle briciole per avanzare invece rivendicazioni
materiali degne di nota e capaci di portare sensibili miglioramenti alle
condizioni lavorative e di vita dei subalterni è una delle preoccupazioni
palesate nella relazione ministeriale.
3.
Le
dinamiche proprie della crisi di accumulazione capitalistica alimentano
contraddizioni crescenti. A tal riguardo citiamo un passaggio eloquente. Il
dibattito economico ha così spostato il proprio focus dalla ricerca della
massimizzazione del profitto attraverso la minimizzazione dei costi di
produzione alla ricerca di una maggiore resilienza delle catene del valore. Non
a caso, malgrado i principali indicatori statistici non forniscano, ad oggi,
segnali inequivocabili di un raffreddamento del processo di integrazione
economica mondiale in termini di commercio e investimenti diretti esteri,
emergono al contempo indicatori di un possibile processo di riorganizzazione
dei sistemi produttivi globali. Se si alimentano i profitti a discapito dei
salari o delle pensioni, se gli utili vengono indirizzati a speculazioni
finanziarie e non ad ampliare il welfare, è logico pensare che una opposizione
a questo stato di cose possa alimentare il conflitto sociale e sindacale. Da
qui nasce la paura del conflitto di classe demonizzato come espressione di
violente contrapposizioni allo status quo.
4.
Come
leggere invece il seguente passaggio: Un generale impoverimento dei Paesi
emergenti geograficamente più prossimi all’Italia, in mancanza di dinamiche di
friendshoring/reshoring a sostegno del loro tessuto produttivo, potrebbe
alimentare l’instabilità politica e sociale e, dunque, anche il fenomeno
migratorio? Per noi non ci sono dubbi di sorta: descrivere la forza lavoro
immigrata come la più incline a subire il fascino del conflitto di classe
significa ammettere il crescente impoverimento dei paesi del Sud del mondo,
demonizzare i fenomeni migratori e al contempo tuonare contro la instabilità
sociale e politica derivante dai processi economici determinati dagli interessi
dei paesi a capitalismo avanzato e dei blocchi economici dei dominanti. E’
proprio la saldatura tra forza lavoro migrante ed autoctona, tra giovani
precari e salariati impoveriti a turbare il sonno dei dominanti, da qui la
necessità di costruire un immaginario di paura alimentando spinte alla
insurrezione contro i poteri statali, minacce all’ordine costituito da
demonizzare con qualche relazione dei Servizi e degli apparati antiterrorismo
Bibliografia
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