il palcoscenico della democrazia in crisi
VOTING TUESDAY USA - il palcoscenico della democrazia in crisi - di Michela Arricale
Siamo qui, dopo quattro anni di amministrazione Biden.
Ci troviamo in un contesto di guerra mondiale in corso e un genocidio che oggi entra nel suo 396esimo giorno, con le istituzioni democratiche in rovina e un'Europa – l'Italia manco la nomino – ridotta all'irrilevanza politica, consumata dalla decadenza dell'egemonia statunitense.
Biden ha impresso il suo marchio su questo presente e lascia un'eredità ingombrante per il nostro futuro, con cui saremo costretti a fare i conti a lungo.
Con il voto di oggi, comunque vada, sarà un disastro.
A parte le quintalate di pinkwashing che non so se sono pronta a subire, se dovesse vincere Kamala Harris non ci si aspettano grandi cambiamenti di postura.
Essa continuerà la missione ideologica cominciata da Biden, ovvero la guerra contro i “cattivi”, tutte le malvage autocrazie che osano non inginocchiarsi ai desiderata di Washington, Russia e Cina su tutte. Non esprime un pensiero politico autonomo, non è una leader.
Se Biden non fosse stato così evidentemente rimbambito, nemmeno sarebbe stata scelta. È capitata là per caso, in pratica, e – come si dice – se l’è accollata. Sarà di certo una brava front-woman a tutela di quegli stessi interessi attorno a cui si regge tutto l’apparato democratico degli Stati Uniti.
È fondamentale non cadere nella trappola del pregiudizio che, essendo donna e di colore, debba per forza essere considerata brava e santa.
Ricordiamo che, da procuratrice della California, lei è stata l’avversaria contro cui è nato il movimento Black Lives Matter.
È ancora oggi ricordata per il razzismo giurisdizionale che riuscì a esprimere e per la sua strenua lotta per i detenuti. Non per i diritti dei detenuti, chiariamoci, perché voleva tenerli dentro tutti, ad ogni costo, arrivando a un vero e proprio conflitto con la Corte Suprema degli Stati Uniti, che fu costretta a ordinare un rilascio massivo per riportare la situazione nei limiti della legalità costituzionale.
Se vincesse Trump, "ummadonna".
Certo, potrebbe mollare un po’ il fronte ucraino, ma per il resto... brrr, tremo per quello che potrebbe produrre in Medio Oriente. Le loro affinità sono molto maggiori delle divergenze: chiunque vinca, si rischia una guerra civile.
Si accuseranno l’un l’altro di brogli, con i democratici che daranno la colpa alla disinformazione russa e i repubblicani, invece, che non hanno bisogno di un nemico esterno, daranno la colpa al woke, al gender o semplicemente e direttamente all’apparato amministrativo a guida democratica. È già successo, in effetti, e ha dato vita all’assalto di Capitol Hill.
Quella situazione ha anche avviato la criminalizzazione del dissenso, la persecuzione dei giornalisti, la chiusura di testate e televisioni, e ha visto la NATO dichiarare che l’informazione è un dominio strategico e che gli stati devono controllarla. Esiste un gruppo di persone, gli oracoli, ovvero i fact-checker, che detengono il dono della verità e stabiliscono cosa è vero e cosa no, decidendo quindi cosa va cancellato.
Cosa è peggio? Perché continuano a chiamarlo “tentativo di colpo di stato” quello del 6 gennaio 2021? Non c’è mai stata alcuna possibilità reale che i manifestanti prendessero il potere.
Anche se fossero entrati dentro Capitol Hill e nel Congresso, impugnando il martelletto dello Speaker, erano un gruppo di scoppiati, fomentati e arrabbiati, ma non certo espressione di un’organizzazione tale da poter ledere alle istituzioni in modo formale.
Certo, erano armati come per andare in guerra... ma quello è un problema yankee. In un paese con 336 milioni di abitanti e 393 milioni di armi da fuoco private, è ovvio che qualsiasi manifestazione turbolenta rischi di trasformarsi in guerra civile.
Questo serve anche alla narrazione da fine del mondo che il marketing politico statunitense ha deciso di adottare.
I democratici, in particolare, hanno puntato tutta la propria campagna – e in realtà tutta l’amministrazione – sul “farò il contrario di Trump perché lui e i suoi sostenitori sono il male”.
È strano se pensiamo al fatto che sono l’amministrazione uscente; dovrebbero puntare a continuare il proprio lavoro, non a essere meramente oppositivi verso un soggetto che non governa più da quattro anni. Sembra essere il loro unico perno narrativo.
Chiunque vinca, si compie un altro passo avanti verso la teatralizzazione della democrazia: non un apparato partecipato e collettivo, ma un palcoscenico dove si muovono attori sempre più caratterizzati, sempre più simili a macchiette che a persone reali.
Attori che mantengono l’attenzione su di sé, mentre il grosso lavora dietro le quinte, non visto, e che quindi hanno bisogno di trovate sempre più estreme e sempre più “effetto WOW”.
Si insultano, fanno a gara a chi ha il sostenitore più famoso o più ricco, a chi fa il jingle più efficace o lo slogan più virale.
Qualunque sia il vincitore, vinceranno i sionisti e sarà un disastro per i palestinesi.
Le disuguaglianze cresceranno. I diritti civili e sociali verranno mortificati. Se vince Kamala, verrà compresso il diritto all’informazione e all’espressione sotto forma di guerra alle fake news. Se vince Trump, la comunità LGBT avrà di che preoccuparsi.
In entrambi i casi, diritti all’istruzione, sanità e abitazione non sono in cima ai loro pensieri, così come il principio di uguaglianza.
D’altronde, il mantra liberale per eccellenza è chiaro: se non ce la fai, è solo colpa tua.
Voglio chiudere ricordando i fondamentali: le elezioni, da sole, non fanno una democrazia.
Scegliersi i propri rappresentanti – in accordo a elezioni libere e trasparenti – è davvero il grado zero della democrazia.
Affinché non siano solo uno stanco teatrino del Capitale, è necessaria la democrazia politica, cioè la possibilità di chiunque di partecipare effettivamente alla vita politica (essere candidati, militare in un partito, informarsi ed esprimersi liberamente).
Ma affinché questo sia possibile, è necessaria la democrazia sociale, che implica l’emancipazione dal bisogno.
Non puoi partecipare alla vita pubblica se sei occupato a cercare di sopravvivere, se non sai dove dormire o come curarti.
E questo non è possibile senza democrazia economica, che prevede una diversa allocazione e distribuzione di risorse e la facoltà di intervenire in tutte le scelte economiche che hanno ricadute collettive.
L’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o recare danno alla sicurezza, alla libertà o alla persona umana.
Commenti
Posta un commento