Lavorare meno per lavorare tutti? La realtà è ben altra: si lavora in pochi e guadagnando sempre meno
Lavorare meno e in pochi
Ricordate lo slogan lavorare meno per lavorare tutti?
Dimenticatelo,
del resto non sarete i soli a farlo perchè la riduzione dell'orario di
lavoro a parità di salario da anni è stata rimossa dai programmi
sindacali e politici, non rappresenta piu' un obiettivo da perseguire e
per il quale valga la pena di mobilitarsi.
Non
solo alcuni contratti nazionali hanno aumentato l'orario di lavoro ma
anche le ore straordinarie esigibili nell'arco dell'anno sono divenute
prassi ricorrente.
Eppure
in anni non lontani la riduzione dell’orario di lavoro a parità di
salario alimentava suggestioni di vario genere, rappresentava per molti
moderati una prospettiva seria e credibile per redistribuire la
ricchezza e al contempo accrescere l’occupazione, a parlarne in tempi
recenti anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico.
La
riduzione oraria a parità di salario, nel corso del tempo, è stata
dimenticata e poi rimossa nell'immaginario collettivo tanto da
scomparire perfino nelle rivendicazioni sindacali. Negli anni
successivi alla crisi del 2008, la riduzione oraria è diventata ben
altro, non conquista ma imposizione, parliamo infatti di riduzione anche
salariale. Molte aziende hanno spinto numerosi lavoratori ad accettare
contratti part time oppure è avvenuta una sorta di autoriduzione delle
ore e del salario, una necessità imposta dalla inadeguatezza del welfare
che ha spinto molti, per lo piu' donne, a questa scelta per accudire
anziani o figli.
Abbiamo
impiegato dieci anni per ritornare ai livelli occupazionali del 2008
pari a 23 milioni di occupati ma le statistiche sono ingenerose e non
dicono che i posti di lavoro sono spesso precari e part time, la bassa
intensità lavorativa vede l'Italia tra i primi paesi dell'Ue a
dimostrare che i livelli occupazionali odierni non sono paragonabili a
quelli di 10 o 20 anni fa, se il parametro di confronto è quello non dei
posti di lavoro ma delle ore lavorate, ad oggi , per l'Istat, mancano
ancora 1,8 miliardi di ore.
Questi
pochi dati fotografano l' asfittico mercato del lavoro italiano, la
natura precaria dei posti di lavoro, la bassa intensità lavorativa che
caratterizza l'occupazione, forse le ragioni del mercato hanno avuto la
meglio sulle rivendicazioni sociali, a nessuno verrebbe in mente di
chiedere la riduzione oraria a parità di salario perchè la realtà
odierna vede invece il crollo del potere di acquisto delle buste paga,
l'avvento dei lavoretti e di contratti a meno ore.
E' avvenuto insomma
un feroce processo di ristrutturazione capitalistica che ha portato alla
precarietà del lavoro, precarietà che si manifesta con la natura dei
contratti, la loro durata temporanea e un impiego sensibilmente ridotto
della forza lavoro. Se poi guardiamo alle ore lavorate ci accorgiamo non
solo che aumentano infortuni, malattie e morti sul lavoro ma anche la
crescita di quel part time involontario che ormai è diventato il
contratto di riferimento in tanti comparti e situazioni lavorative.
Tanto
nel terziario quanto nel commercio e nel turismo , tra le basse
qualifiche la riduzione oraria e salariale è diventata una costante,
anzi la prevalente offerta di posti vede trionfare il par time. In dieci
anni abbiamo perduto il 5% delle ore lavorate , questi sono i dati
reali che non vengono sciorinati dai media.
Allo
stesso tempo anche il ricorso agli ammortizzatori sociali diventa
sempre piu' forte, all'inizio della crisi hanno diminuito gli
straordinari scegliendo la cassa integrazione o l'esodo incentivato come
strumenti per diminuire il numero della forza lavoro e la sua incidenza
.Ma anche queste scelte non sono state sufficienti per salvaguardare
l'occupazione, anzi con il tempo gli ammortizzatori sociali sono stati
ridotti proprio per abbattere la spesa pubblica salvo poi accorgersi di
avere operato scelte sbagliate e in piccola parte tornare indietro dopo
forti pressioni delle stesse imprese.
Parlavamo
di forte incremento del part time involontario, basterebbe ricordare
che nei dieci anni di crisi abbiamo perso quasi 870 mila posti di lavoro
a tempo pieno con il mondo del lavoro in continua ristrutturazione, per
esempio la crisi della fabbrica e del settore edile non è stata
compensata dall'aumento delle richieste nel terziario, nel commercio,
nei servizi a domanda individuale e alle famiglie dove il contratto di
riferimento è ormai il part time .
E, allo stesso tempo, questa
situazione non fa che rendere sempre piu' debole il welfare. La
riduzione delle ore lavorate, dicevamo prima, corrisponde anche al
crollo del potere di acquisto, la paga oraria in molti casi è rimasta
invariata nei 10 anni di crisi, anzi il fantomatico codice Ipca con cui
vengono calcolati aumenti salariali e prezzi al consumo fotografa la
continua e inarrestabile perdita del potere di acquisto di salari e
pensioni, i costi a carico delle famiglie aumentano mentre i salari
rimangono fermi o aumentano meno di quanto cresca il costo della vita.
Ma
i segnali di ripresa, ammesso che ci siano, sono ancora assai deboli e
tali da non invertire la tendenza appena descritta. I dieci anni di
crisi vengono caratterizzati dalla perdita delle ore lavorate, dalla
riduzione del potere di acquisto, dalla sottoccupazione con il crollo
delle ore lavorate, il part time involontario e la tendenza a proporre
contratti settimanali inferiori a 20 ore.
Se
consideriamo la riduzione delle ore lavorate e proviamo a tramutarla in
posti di lavoro otteniamo un quadro preoccupante, la nuova occupazione è
precaria, a poche ore e sottopagata, quasi il 20% della odierna forza
lavoro è sottocupata e sotto pagata, una percentuale quasi raddoppiata
in soli dieci anni. E questa tendenza è particolarmente diffusa nelle
piccole aziende ma non loro esclusiva prerogativa.
La
riduzione delle ore di lavoro è stata quindi imposta dai padroni e dai
processi di ristrutturazione ma non a parità di salario, anzi la perdita
del potere di acquisto è stata forte e tale da avere ripercussioni
negative anche sulle famiglie italiane che in molti casi hanno
dilapidato i loro risparmi solo per fronteggiare le spese e le ordinarie
necessità. Chi oggi propone maggiore flessibilità contrattuale
dimentica che la riduzione delle ore è stata imposta dai padroni e
subita dalla forza lavoro, non esiste nel libero mercato possibilità di
scelta contrariamente a quanto viene detto da chi non conosce, o fa
finta di ignorare, le reali dinamiche dell'economia capitalistica e del
modello italiano basato sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro
ma con scarsi investimenti tecnologici ed innvoativi.
La
fantomatica ripresa dell’occupazione, annunciata dal Mov 5 Stelle e
dalla Lega, non ha prodotto l'aumento del volume di lavoro visto che
ormai i part time sono piu' numerosi dei full time . Allora la minore
intensità del lavoro, la perdita del potere di acquisto, l'aumento degli
infortuni e delle malattie contratte sul lavoro rientrano dentro un
quadro da analizzare in maniera non superficiale e senza cedere alle
suggestioni del mercato. Se 15 anni fa la media delle ore lavorate a
settimane era piu' o meno 38,5 ore oggi siamo sotto 37, sono calcoli
approssimativi ma abbastanza vicini alla realtà.
Lavorare
meno per lavorare in pochi è questa la fotografia della realtà idierna,
poi potremmo aprire un lungo ragionamento sul perchè a nessuno venga in
meno di rivendicare la parità salariale in presenza di riduzione
oraria, di contratti con meno ore. La ragione è semplice: la ricchezza
prodotta è sempre piu' destinata al capitale e non al lavoro, di
conseguenza si guarda piu' alle plusvalenze in Borsa che alla piena
occupazione o al benessere della forza lavoro stessa.
Nell'epoca
della produttività ridotta , ma in taluni casi stagnante, la riduzione
dell’orario a parità di salari porterebbe ad invertire ta tendenza degli
ultimi anni portando ricchezza al lavoro, per questo tale ipotesi viene
avversata da padroni e giornalisti economici che parlano del richio che
le nostre imprese perdano competitività sui mercati accrescendo i costi
a loro carico. In realtà vogliono solo salvaguardare i profitti
alimentando lo sfruttamento condannandoci a bassa intensità lavorativa
ed occupazionale che invece vengono ritenute dal capitale che conta tra
le cause della crisi di alcuni paesi come il nostro.
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