Cattedre vacanti....

Un bullone statale da tempo regge sempre meno ed è sorprendente come riesca a tenere ancora qualcosa in piedi. Come al solito tutto ciò che tiene è nelle corde di chi singolarmente si spende per tamponare inutilmente, ma tampona in continuazione. Che altro può fare un lavoratore della scuola se non quello. Certo anche se lascia andare come la corrente indica non accade nulla di irreparabile. Tanto l’irreparabile è già avvenuto – il terribile è già accaduto. Ma l’impulso etico in alcuni ancora permane e così…

La notizia riguarda il numero totale di cattedre scoperte il prossimo anno scolastico, tra pensionamenti – 27.592 – e cattedre vacanti – 66.334 – sono più di 93mila le cattedre da coprire stabilmente. (Il Sole 24 ore, domenica 13 dicembre; riprende una tabella CISL scuola) Come fare? Parrebbe non così difficile. Se anche quest’anno le cattedre vacanti sono state coperte, resterebbero fuori solo i pensionamenti aggiuntivi. Ma attenzione. Coprire le cattedre non vuole dire stabilizzarle. Questo non è stato fatto. Ora, sempre, si parla di concorsi da fare, nel futuro prossimo. Ed intanto vai con il precariato, trattato peggio che i coolies birmani dell’epoca di George Orwell: appena si può li si licenzia per riassumerli; ferie estive, scordarsele; carriera scolastica, non esiste. Insomma, un usa e getta che può durare anni ed anni. Per di più con stipendi fermi al palo che sono un problema per la sopravvivenza mensile poco pagato al cospetto del livello alto di vita in alcune città in particolare – Milano ad esempio – rispetto ad altre situazioni, meno impegnative economicamente.

Ed intanto si ha una certa quantità di lavoratori del cosiddetto organico di potenziamento, o come diavolo si chiamano, che dalla buona scuola, in epoca Renzi, si è inserito come una cisti nelle scuole. Al di là dei distinguo sindacali, chi ha vissuto e vive il mondo scolastico vede questi colleghi come persone che prendono lo stipendio a fine mese, sono di ruolo, senza fare nulla o quasi. Lasciamo perdere i casi particolari. Sono circa 50mila uomini e donne che vagano per i plessi scolastici cercando qualcosa da fare, inventandosi progetti, che servono a nulla. Bevendo caffè al bar e parlando di amenità per tirare la fine della mattinata. Questo non appaia blasfemo. Poi si possono certamente far distinguo – io conosco uno che è riuscito…. Ma serve a poco. 50mila lavoratori che dovrebbero essere messi in classe, sulle cattedre scoperte. Stabilizzare queta massa di quasi lavoratori, dato che sono già di ruolo, poco serve alla bisogna. Poi vi sono tutti i precari che da anni lavorano nella scuola. Stabilizziamoli! Insomma, anche se i numeri e degli insegnanti e quello delle cattedre non sono perfettamente sovrapponibili, per ovvie ragioni di specializzazioni richieste e necessarie, potrebbe, con queste due stabilizzazioni possibili, essere fatto un bel passo avanti per non avere più la consueta giostra di inizio anno che riguarda supplenti che si susseguono nella speranza di un posto di lavoro decente, studenti che vedono arrivare e sparire insegnanti ed un insegnamento che resta così poco serio.

Tornare alla sana ed unica necessità del fare lezione? Si possono poi usare tutti gli strumenti che servono o che sono utili al docente, computer e social e ferri da stiro, ma la lezione deve essere impartita, altrimenti anche Socrate è morto invano. La nostra scuola ha un impianto storicistico, almeno laddove è sempre stato uso tenerlo. Manteniamolo ed allarghiamolo, se possibile. Questo vorrebbe anche dire ristrutturare l’università, verso una condizione meno carnevalesca del tre+due=zero (citazione dal titolo di un libro del 2004).

Insomma, lavoro da fare ce n’è ma le difficoltà non sono insuperabili. Certo occorrerebbe lasciare perdere la deriva fanatico mediatica, la fantasia che bastino pochi giorni l’anno presso l’azienda del salumiere sotto casa, portando il caffè al direttore della stessa, per dire di avere avuto accesso ad un’esperienza lavorativa, e la pretesa di ritagliare sulla pelle di ognuno, per ognuno differentemente, un percorso scolastico. Tanto non vi si riesce, anche volendolo e non ha senso.

La Cina delle dinastie, durata sino all’altro ieri si è mantenuta in piedi con percorsi di studio ed esami per la burocrazia di stato, i Mandarini, che erano per tutti gli stessi. E quello che rimane ora, una dinastia sotto altre spoglie, non ha certo scelto una via diversa. Se i cinesi – 1milardo e 400milioni, hanno scelto questa via, forse un senso profondo la scuola in questione l’ha. L’esempio cinese è fatto apposta per non andare ancora una volta a scuotere la compostezza teutonica o la capacità funzionale delle democrazie del nord dell’Europa. Potremmo anche prendere in considerazione la scuola giapponese o coreana, del sud, naturally. Insomma, serietà e buon funzionamento.

Capacità che devono rientrare a scuola a partire dal ministro in carica. Altrimenti tutto continuerà a decadere. Il tempo per la completa scomparsa del senso culturale a scuola è indubbiamente lungo. Abbiamo ancora tanto da soffrire. Se piace così?

Tiziano Tussi

 

 

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