Recovery Plan o piano da ricovero?

Recovery Plan o piano da ricovero?

Marco Bersani

Senza parole

Leggendo il Recovery Plan predisposto dal Governo, non si può non rimanere sbigottiti.

Chi si aspettava che la messe di denaro in arrivo permettesse finalmente di avviarsi, dopo anni di scelte politiche dettate dal mercato e dentro una pandemia che ne ha disvelato le insuperabili contraddizioni, verso una nuova visione del mondo e della società, non può che rimanere senza parole.

Centoventicinque pagine di parole, dati, tabelle, comparazioni per dire nulla di nuovo.

Al contrario, per ribadire concetti che la pandemia avrebbe dovuto spazzare via.

Siamo ancora all'illusione della crescita economica come unico traino per aumentare il benessere della società e siamo ancora appesi a una visione del mondo dettata dalle imprese.

Come pazienti compulsivi, gli estensori del piano dedicano il 20% del rapporto a descrivere in ogni dettaglio gli aumenti di Pil (peraltro modesti) attesi da ogni singola misura proposta.

Giustizia climatica, diseguaglianza sociale, conversione ecologica, società della cura..nessuna di queste definizioni trova il benché minimo spazio, mentre tutto si incentra sull'idea di modernizzare il Paese, come se quello che sta succedendo non richiedesse alcun cambio di paradigma.

Promemoria: Recovery Fund, non Babbo Natale

Prima di entrare nel merito di quanto è scritto nel piano, appare doveroso ricordare di cosa stiamo parlando. Il Recovery Fund è un fondo di 750 miliardi, utilizzabili in parte sotto forma di sovvenzioni e in parte sotto forma di prestiti.

I soldi verrebbero raccolti attraverso obbligazioni emesse dalla Commissione Europea e garantite dal bilancio Ue, cui gli Stati concorrono, versando una quota corrispondente all'1% del Pil (12 miliardi per l'Italia).

Nell'ultima suddivisione -ancora non definitiva- all'Italia spetterebbero 193 miliardi (127,6 sotto forma di prestiti e circa 65,4 sotto forma di sovvenzioni).

Occorre qui ricordare che i prestiti vanno restituiti con gli interessi (per quanto probabilmente bassi) e che “l'insieme del dispositivo -prestiti e sovvenzioni- sarà integrato nel semestre europeo”, che, nel linguaggio tecnocratico dell'Unione Europea, significa che l'accesso a questi finanziamenti sarà subordinato “al rispetto delle regole che disciplinano il ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio nell'ambito dell'Ue”.

Poiché il lessico oligarchico è duro a morire, occorre un'ulteriore traduzione per capire su quali pilastri si fondino le regole da rispettare: a) prevenzione degli squilibri macroeconomici (ovvero, conti in ordine); b) bilancio sano (ovvero, avanzo primario, entrate dello Stato superiori alle uscite); c) riforme (che ormai sappiamo voler dire deregolamentazione del lavoro, tagli alla spesa pubblica e privatizzazioni).

Vero è che i vincoli finanziari imposti dall'Unione Europea sono temporaneamente sospesi, ma il telaio resta e la spada di Damocle è sempre pronta a colpire.

Il piano in pillole

Il piano presentato dal Governo, dopo una lunga premessa che riguarda la riforma della giustizia, è diviso in sei missioni.

 

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