27 GENNAIO: MEMORIA PER IL PRESENTE
27 GENNAIO: MEMORIA PER IL PRESENTE di Franco Astengo
In questi giorni si susseguono le cerimonie di ricordo per
quella che è stata definita “giornata della memoria”.
Si cerca così di ricordare la più grande tragedia collettiva
del ‘900 ricostruendo i termini nei quali avvenne; esorcizzando gli elementi di
pensiero e di azione sulla quale fu costruita la gigantesca macchina della
repressione e dell’eccidio di massa.
L’auspicio da pronunciare per questa occasione evitando
inutili passerelle retoriche riguarda la capacità di stilare un bilancio
complessivo di recupero della memoria non rivolto a guardare il passato limitandoci
a trarre da questa “visione” soltanto generici accenti di richiesta per
espressioni di “buona volontà”, come accade troppo spesso.
Serve una “memoria per il presente”.
E’ necessaria un’attualizzazione
senza riguardi; una riflessione su ciò che avviene oggi nell’era della
tecnologizzazione globalista.
Ci troviamo in una
situazione dove appare sempre più sottile il confine tra l’esclusione o l’inclusione
degli esseri umani dal contesto sociale. Un confine che sembra essere travolto
dal riproporsi dell’egemonia della logica di sopraffazione.
La rievocazione della più grande tragedia del ‘900 deve
dunque oltrepassare il ricordo dei fatti legati all’annientamento fisico di milioni di
persone.
Persone definite, a vario titolo, “indesiderabili” e per
questo motivo concentrati nei campi al fine di “proteggere” gli altri i “normali”
attraverso un trattamento preventivo eseguito come se si fosse trattato di una
misura di igiene e profilassi pubblica.
Un trattamento di reclusione fuori da qualsiasi canone
giudiziario: una misura eccezionale di prigionia dalla quale non poteva che
scaturire la realtà dell’eliminazione fisica.
Il rapporto tra la concentrazione coatta e lo sterminio di
massa si potrebbe definire quasi come un nesso obbligato. E’ questa la lezione
da ricordare.
Definito questo quadro del rapporto tra concentrazione
coatta e sterminio di massa ne discende un’immediata comparazione con l’attualità:
una comparazione assai facile da comprendere individuando con chiarezza anche
nomi e cognomi.
Claudio Vercelli disegna i contorni di questa comparazione
attraverso una sintesi efficace che si legge in un suo articolo (“Il Manifesto”
25 gennaio “ L’esilio sistematico di un’umanità considerata in eccesso”).
Sintesi che riprendo in pieno: “L’elemento fondamentale, in questo caso, è dato dal nesso,
indissolubile nell’età della “nazionalizzazione delle masse” tra politiche di
Stato, consenso generalizzato, bisogno di rassicurazione”.
Sembra proprio di leggere notizie di queste ore tra chiusura dei porti,
sgomberi coatti, rassicurante caccia all’indesiderabile: atti di violenza
intesi come piattaforma per una riassicurazione del “pubblico” che permetta di
raccogliere consenso con il minimo costo.
Attenzione però: tra “esilio di massa”, concentramento “extra
– lege” e sterminio il collegamento c’era e c’è e non si esaurisce nel passato
e nella retorica dell’espressione di buoni sentimenti.
Non si sta scrivendo che la storia potrebbe ripetersi.
Le forme del ripresentarsi del ciclo storico sono infinite e
si tratta di valutarne, di volta in volta, la realtà.
Si tratta di riflettere su come determinati aspetti di ciò
che è già tragicamente avvenuto tornino a presentarsi all’interno di una
società di massa sicuramente profondamente modificatasi nella sua essenza,
rispetto a quella che agiva nell’Europa degli anni trenta quaranta.
Alcuni elementi in questo senso devono essere visti,
analizzati, sottolineati senza colpevoli sottovalutazioni o peggio
strumentalizzazioni opportunistiche.
In una società dominata dall’incertezza si levano forti
imperativi rivolti alla soggettività, alla valorizzazione dell’individualismo,
alla raccolta degli eguali dentro il nostro recinto.
Un recinto magari contornato da muri.
Un recinto che segna
il confine di una “diversità” che si pensa di attribuire agli altri.
E’ questo il senso
profondo del rigurgito nazionalista in atto ed è su questo punto che la
sinistra sottoposta alla tentazione di una facile popolarità su questo terreno
dovrebbe cominciare a recuperare almeno il senso della propria direzione di
marcia.
Appare del tutto fragile un richiamo alla nazione destinato a
evocare un mondo di stranieri potenzialmente pericoloso.
Ne consegue, per la “Nazione” la necessità di un’opera di
purificazione permanente con lo scopo di liberare il proprio “corpus” di tutti
gli elementi di squilibrio dal razziale al sociale.
Si determinerebbe così uno stato di “sicurezza” che
deriverebbe dalla capacità dello Stato di assumersi un diritto assoluto e
primitivo di determinare chi può integrarsi e chi, invece, merita di essere
espulso dal consesso civile. Dall’espulsione “temporanea” a quella “definitiva”
(per usare un eufemismo) il passo è sempre stato breve.
Ci troviamo di fronte ad una delineazione di analogie da
dedicare a chi pensa che l’accoppiata fascismo/antifascismo sia superati e da
dimenticare.
La memoria per capire questo presente che incombe e ci
inquieta mentre quella che abbiamo sempre considerato la “nostra parte” oscilla
paurosamente verso la subalternità al presente.
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