POTERI FORTI
POTERI FORTI di Franco Astengo
L’attuale situazione di vero e proprio degrado nel quale versa
il sistema politico italiano ha origini lontane nel tempo, diverse, complesse e
collegate prima di tutte a fatti accaduti nella fase definita della “Repubblica
dei Partiti”.
La memorialistica contribuisce, a volte, a far capire meglio
ciò che era successo nel passato fornendo utili chiavi di lettura per il
presente.
E’ il caso dei “diari” (riferiti al periodo compreso tra il
1985 e il 1989) tenuti da un grand commìs dello Stato, passato tranquillamente –
all’epoca – nel giro di poco tempo dai vertici dall’amministrazione al cuore
del “salotto buono” della finanza fino a incarichi ministeriali: un iter, all’epoca,
compiuto di slancio senza alcuna soluzione di continuità.
Questi “diari” molto meticolosamente redatti sulla base
della consultazione dell’agenda quotidiana comprensiva degli appuntamenti
mondani e salottieri, sono stati recentemente pubblicati e la loro lettura
risulta sicuramente assai istruttiva per chi cerca di capire meglio lo stato
dell’arte.
Da quei “diari” esce un intreccio tra politica, finanza, bel
mondo.
Un bel mondo impegnato in continue riunioni (probabilmente
molto stressanti) destinate esclusivamente a formare accordi per spostare
pedine oppure per favorire, in diverse situazioni, incontri sulla base di una
trama molto complessa comprendente tutto lo “demi – monde” della politica,
della cultura, dello spettacolo, del denaro: l’impressione è davvero quella del
“tutti insieme appassionatamente”.
Le sorti dei governi, dei partiti, dell’economia, della
finanza si risolvono in un gioco interno a qualche sigla, tra Billdeberg, le
cene dei “10” che poi diventano “12”, i pranzi quindicinali dei banchieri al Savini:
uno scenario quasi irreale, immaginato soltanto pallidamente nei film di Scola,
e invece tragicamente vero, all’epoca.
In tutto il corposo volume che – appunto – registra il
giorno per giorno di questo agitato muoversi “per” e “verso” il potere, non si
ravvede un accenno al conflitto sociale, che pure all’epoca aveva fatto
registrare punte molto elevate di acutezza.
Le giornate, che so,
storicamente segnate da grandi manifestazioni sindacali, scioperi, agitazioni
sono invece segnalate per questa o quella cena, questo o questo o quell’incontro
riservato, dal muoversi della tal corrente democristiana oppure dal palesarsi
di una nuova cordato pro o anti – Craxi.
Nessun accenno alla povertà crescente, alla disoccupazione
indotta dalla logica delle privatizzazioni, all’esplosione dei conflitti a
livello globale. Nulla di nulla del “mondo reale” e della sua contraddizioni
stridenti.
Tutto si muove nell’ovatta di quel potere lontano, ben oltre
l’affermazione della “autonomia del politico” in una visione il cui paragone
più calzante sembra essere quello della Versaglia di Luigi XIV o del Balzac
della “Commedia Umana”.
I protagonisti appaiono tutti indissolubilmente legati fra
loro dalla comune appartenenza a un principio generale di ferocia
individualistica nella gestione dei loro destini (l’autore poi spicca
particolarmente da questo punto di vista e non sarà mai sfiorato da alcun
sospetto nell’epoca delle grandi turbolenze) e tutto il resto assume la
dimensione del “comprimario” compromesso in una consociazione di tipo “laterale”.
I comunisti si trovano così collocati in una dimensione di
vera e propria subalternità culturale e morale e consultati soltanto per far
sentire qualcuno tra loro “interno” al sistema, ma sempre lontano da qualsiasi
possibilità d’incidenza propositiva.
I detentori del potere vero, invece, tutti assieme
appassionatamente come si diceva alla Camera, al Ministero, al ristorante, nel
salotto della contessa, allo stadio, in barca. Con grande attenzione all’assegnazione
dei posti a tavola come in tribuna d’onore.
Naturalmente nel testo non si evince alcun accenno, alcun
segno premonitore, alcuna avvisaglia rispetto a ciò che stava accadendo e
sarebbe poi esploso nel giro di poco tempo sul terreno della moralità politica
con l’esplosione di Tangentopoli.
Tutti i politici e i finanzieri che, nel giro di qualche
anno, si sarebbe trovati pesantemente chiamati in causa nello scandalo che
avrebbe segnato il destino di un’intera fase del sistema sono segnalati in
questo testo per il loro attivismo nel determinare equilibri, senza che si
rilevi un alcun minimo sentore di ciò che stava accadendo proprio in quelle
stanze nelle quali il protagonista e sui comprimari si stavano muovendo con
grande disinvoltura.
Leggendo cresce via via la sensazione che quella pentola
alla fine avrebbe dovuto esplodere: così non fu come ben sappiamo perché l’abilità
del “generone” che presiedeva a quello stato di cose seppe attuare una delle
operazioni più trasformistiche che mai si sono verificate nella storia d’Italia
all’insegna di “picconate” che mai si sono abbattute sul sistema e scambiando
la formula elettorale come il nuovo feticcio del cambiamento con lo “sblocco
del sistema politico” e “l’alternanza” intese come panacea di tutti i mali.
Formule usate come altissime cortine fumogene.
L’esplosione è arrivata più tardi, aperta da una davvero
incauta ipotesi gattopardesca di “rottamazione” gestita dal centro di sistema.
Operazione di “rottamazione” per la quale non esistevano più
le condizioni sociali e dal cui fallimento si sono aperte le cataratte del
pressapochismo, dell’incultura, di un ulteriore rinnovamento nella ferocia
della gestione del potere rivolto verso una società segmentata, sfrangiata,
incattivita, percorsa da un “individualismo della paura “ e apparentemente
governata da una “partitocrazia qualunquista”.
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