98 ANNI DALLA FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA
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ANNI DALLA FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA
In
questa occasione riguardante il doveroso ricordo dei 98 anni trascorsi dalla
fondazione del Partito Comunista si è pensato di non ricorrere ad una delle consuete analisi storiche ma di
ripercorrere, principalmente attraverso i numeri, le tappe fondamentali
dell’impegno e del sacrificio dei comunisti nella costruzione della democrazia
repubblicana arrestandoci al punto di svolta nella sua affermazione (ancora
incompleta e successivamente in forte arretramento come stiamo costatando
nell’attualità) fissato con i moti del Luglio’60.
Dunque andando per ordine:
1) TRIBUNALE SPECIALE
FASCISTA
Dalla sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la
caduta del regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello
stato processò 5.619 imputati - condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione
inflitti furono 27. 735, 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli
ergastoli. 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le
categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i
contadini, 221 liberi professionisti.
Furono 4596 i condannati del Tribunale speciale, molti dai nomi oscuri,
operai, artigiani, originari di diverse regioni del nostro Paese che con il loro
coraggioso comportamento davanti agli arroganti militari che usurpavano il
titolo di giudici hanno riscattato il titolo d'Italia, allora compromesso dalla
sua classe dirigente, dall'indifferenza dei più.
Dei 4596 condannati circa 3.800 erano
iscritti al Partito Comunista, a partire dalla gran parte del gruppo
dirigente con il “processone” del ’28 furono condannati a ventidue anni e nove
mesi Umberto Terracini; a vent'anni e quattro mesi Antonio Gramsci e Mauro
Scoccimarro; e nello stesso anno anche Giancarlo Pajetta, subì, ad appena
diciassette anni, la sua prima condanna a due anni di carcere, (altra ben più
dura a ventun'anni seguì poi); e nell'anno seguente tocca al socialista Sandro
Pertini essere condannato per attività sovversiva a dieci anni e nove mesi; e
nel 1930, l'anno delle quattro condanne a morte mediante fucilazione degli
irredentisti triestini e delle due condanne all'impiccagione di resistenti
libici, è la volta di Camilla Ravera, condannata a quindici anni e sei mesi per
costituzione del partito comunista, di Manlio Rossi Doria, di Emilio Sereni,
condannati a quindici anni per lo stesso delitto.
2) RESISTENZA
I comunisti diedero vita alle Brigate Garibaldi che pur formare in
maniera pluralista erano composte in gran parte dai partigiani comunisti e
esponenti del PCI formavano il comando generale.
Associati alle Brigate Garibaldi erano i Gruppi di azione patriottica (GAP), che nelle città operavano azioni di
sabotaggio e attentati contro gli occupanti nazifascisti. In totale esse
rappresentavano circa il 50% delle forze della Resistenza partigiana. Al momento
dell'insurrezione finale dell'aprile 1945, i garibaldini attivamente combattenti
erano circa 51.000 divisi in 23 "divisioni", su un totale effettivo di circa
100.000 partigiani. In dettaglio il comando generale delle Brigate
Garibaldi disponeva, alla data del 15 aprile 1945, di nove divisioni in Piemonte
(15.000 donne e uomini); tre divisioni
in Lombardia (4.000 donne e uomini);
quattro divisioni in Veneto (10.000 donne e uomini); tre divisioni in Emilia (12.000 donne
e uomini); quattro divisioni (10.000 donne e uomini) in Liguria.
Nell'ambito delle forze militari della resistenza, le Brigate Garibaldi costituirono il gruppo più numeroso e organizzato
con 575 formazioni organiche, tra squadre, gruppi, battaglioni, brigate e
divisioni; parteciparono alla maggior parte dei combattimenti e subirono le
perdite più pesanti, oltre 42.000 morti in combattimento o per rappresaglia
.
Da ricordare ancora come le grandi città nelle
quali era presente la classe operaia legata al Partito Comunista, si liberarono
da sole ben prima dell’arrivo delle truppe alleate e questo fu il fattore
decisivo che consentì al nostro Paese di riassumere immediatamente la propria
dignità di autogoverno: Napoli, Genova, Milano,
Torino.
3) OPERAI DEPORTATI
DOPO LO SCIOPERO DEL 1° MARZO 1944
Dopo lo sciopero delle fabbriche del Nord svoltosi
il 1°marzo del 1944 si calcola che circa 1.200 operai furono deportati nei campi
di lavoro e in quello di sterminio di
Mauthausen.
Il successivo 16 Giugno 1944 in adesione allo
stesso ordine emanato dal comando nazista dopo lo sciopero del 1° marzo, 1.488
operai genovesi furono deportati dopo essere stati rastrellati all’ingresso
delle fabbriche.
Si ritiene di non esagerare considerando la quasi
totalità dei deportati come appartenente al partito comunista.
4) LOTTE OPERAIE E CONTADINE NEL PRIMO
DOPOGUERRA
Mentre le sinistre erano impegnate nella elaborazione della Costituzione
Repubblicana le lotte operaie e contadine rivolte a reclamare migliori
condizioni di vita in situazioni veramente tragiche da punto di vista dei
diritti fondamentali e della stessa sopravvivenza furono compiute alcune stragi le cui vittime
furono in gran parte donne e uomini militanti nel Partito
Comunista.
Portella della Ginestra: 1 maggio 1947.
fu un eccidio commesso in località
Portella della
Ginestra, in provincia di
Palermo, il 1º
maggio 1947 da parte della banda
criminale di Salvatore
Giuliano che sparò contro la folla riunita per
celebrare la festa del
lavoro provocando undici morti e numerosi feriti. I
motivi per cui venne compiuto e, nei giorni successivi, vennero assaltate sedi
dei partiti di sinistra e delle camere del
lavoro della zona risiedono, oltre alla dichiarata
avversione del bandito nei confronti dei comunisti, anche nella volontà dei
poteri mafiosi, dell'autonomismo siciliano e delle forze reazionarie di
mantenere i vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo
la seconda guerra mondiale e, nonostante non siano mai stati individuati i
mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani
interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva
votato per il Blocco del
Popolo nelle elezioni del
1947.
Melissa: La strage di Melissa o
eccidio di Fragalà fu un episodio del 29
ottobre 1949 verificatosi a
Melissa nel quale persero la
vita Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina
Mauro. Nell'ottobre del 1949 i contadini calabresi
marciarono sui latifondi per chiedere con
forza il rispetto dei provvedimenti emanati nel dopoguerra dal ministro
dell'Agricoltura Fausto
Gullo e la concessione di parte delle terre lasciate
incolte dalla maggioranza dei proprietari terrieri. Interi paesi parteciparono a
questa mobilitazione che vide circa 14 mila contadini dei comuni orientali delle
province di Cosenza e Catanzaro scendere in
pianura. Chi a piedi, chi a cavallo, con donne e bambini e gli attrezzi da
lavoro, quando giunsero sui latifondi segnarono i confini della terra e la
divisero, iniziando i lavori di preparazione della semina. Irritati per questa
ondata di occupazioni alcuni parlamentari calabresi della Democrazia
Cristiana si recarono a Roma per chiedere un
intervento della polizia al Ministro dell'Interno Mario
Scelba. I reparti della Celere si recarono quindi in Calabria e uno di loro si
stabilì a Melissa (oggi provincia di
Crotone) presso la proprietà del possidente del luogo, barone Berlingeri, del
quale i contadini avevano occupato il fondo detto Fragalà. Questo fondo era
stato assegnato dalla legislazione napoleonica del 1811 per metà al Comune, ma
la famiglia Berlingeri, nel tempo, lo aveva occupato abusivamente per intero. La
mattina del 30 ottobre 1949 la polizia entrò nella
tenuta e cercò di scacciare i contadini occupanti con la
forza.
Montescaglioso: 21 marzo 1950, data impressa nella memoria
storica di tutto il Vastese: Nicola Mattia e Cosmo Mangiocco furono uccisi dai
colpi di un appuntato dei carabinieri davanti al municipio. Tornavano, insieme a
tanti concittadini, dallo 'sciopero alla rovescia': al grido di 'pane e lavoro'
costruivano la strada di collegamento con la Statale Trignina sopperendo ai
ritardi del governo dell'epoca. Un evento drammatico che ebbe risonanza in tutta
Italia e che diede vita a imponenti manifestazioni di protesta da Nord a
Sud.
Modena: 9
gennaio 1950. Verso le dieci del mattino del 9 gennaio una decina di
operai giunse ai cancelli delle Fonderie Riunite, le quali erano circondate di
carabinieri armati. All'improvviso un carabiniere sparò un colpo di pistola in
pieno petto al trentenne Angelo Appiani, che morì sul colpo. Subito dopo, dal
tetto della fabbrica i carabinieri aprirono il fuoco con le mitragliatrici verso
via Ciro
Menotti contro un altro gruppo di lavoratori, che si
trovavano al di là del passaggio a livello sbarrato in attesa dell'arrivo di un
treno, uccidendo Arturo Chiappelli e Arturo Malagoli e ferendo molte altre
persone, alcune in maniera molto grave.
Dopo circa trenta minuti, in via Santa Caterina
l'operaio Roberto Rovatti, che portava al collo una sciarpa rossa, venne
circondato da una squadra di carabinieri, buttato dentro ad un fossato e
linciato a morte con i calci dei fucili.
Infine, giunse in via Ciro Menotti un blindato T17
che iniziò a sparare sulla folla, uccidendo Ennio Garagnani.
Appena appresa la notizia della strage, i
sindacalisti della Cgil iniziarono ad avvisare, con gli altoparlanti montati su
un'automobile, i manifestanti di spostarsi verso piazza Roma. Tuttavia, verso
mezzogiorno, un carabiniere uccise con il fucile Renzo Bersani, il quale stava
attraversando a piedi l'incrocio posto alla fine di via Menotti, posto a oltre
100 metri dalla fabbrica.
Il bilancio
della giornata fu di 6 morti tutti iscritti al Partito
Comunista, 200 feriti e 34 arrestati
con l'accusa di resistenza a pubblico
ufficiale, radunata
sediziosa e attentato alle libere
istituzioni.
Il bilancio di quegli anni, tra il 1947 e il 1950,
segnati dalle lotte operaie e contadine e dalla feroce repressione poliziesca
è il seguente: furono condannati 15.249
comunisti per un totale di 7.598 anni di carcere.
Si è ormai persa la memoria dei lutti, dei
sacrifici, dell’impegno posto dalla classe operaia, dai contadini e dalle loro
famiglie che vivevano in condizioni oggi inimmaginabili nel periodo della
riconversione dell’industria bellica, dell’attuazione della debole riforma
agraria, della ricostruzione del Paese dalle macerie della
guerra.
Lutti, sacrifici, privazioni affrontati sempre con
grande dignità “di classe” con il PCI che seppe rappresentare sul piano
politico, dar loro voce e presenza proprio quei lutti, quei sacrifici, quelle
indescrivibili privazioni materiali in una Italia povera,senza strade e
ferrovie, con le case bombardate e distrutte.
5) LUGLIO
‘60
La strage di Reggio Emilia è un fatto di
sangue avvenuto il 7 luglio 1960
nel corso di una manifestazione sindacale durante la quale cinque operai
reggiani, i cosiddetti morti di Reggio Emilia, Lauro Farioli, Ovidio
Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI, furono uccisi
dalle forze dell'ordine.
La strage fu l'apice di un periodo di alta tensione
in tutta l'Italia, in cui avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni, monocolore democristiano con il determinante appoggio esterno del MSI, e
l'avallo della scelta di Genova
(città "partigiana", già medaglia d'oro della Resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d'indignazione furono molteplici e la
tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare.
L'allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in "situazioni
di emergenza" e alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici
morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto
alle dimissioni il governo Tambroni aprendo la strada al governo Fanfani “delle
convergenze parallele” e successivamente al centro – sinistra. Al momento del
varo del primo governo organico di centro – sinistra Nenni titolò sull’Avanti “
Da oggi l’Italia è più libera”. E’ il caso di ricordare su quanti lutti e
sacrifici della classe operaia, dei contadini, delle donne e degli uomini che
trassero fuori l’Italia dalla macerie del dopoguerra fosse costruito quel “più
libera”.
Ci fermiamo a questo punto
pensando di aver semplicemente onorato la memoria del Partito Comunista e il
contributo di sacrifici e di sangue fornito dai suoi militanti per la Repubblica
e la Costituzione
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