L'angusto dibattito sul territorio e sul rapporto tra centro e periferia

Per taluni la contraddizione principale legata ai territori non sarebbe identificabile nell'antitesi tra modo di produzione e forze produttive ma dallo scontro tra libertà e consumo.

Nel suo interessante ultimo libro, edito da Derive Approdi, Massimo Ilardi parla del superamento della classica dicotomia tra centro e periferia con quest'ultima da tempo preda di grandi centri commerciali che hanno, ob torto collo, dato dimensione  caratteristica propria alle aree suburbane legandole alla sfera del consumo.

Una tesi che non ci convince  del tutto perchè da una parte è pur vero che le aree periferiche delle grandi città sono state urbanizzate senza una idea di città, spesso con pochi collegamenti pubblici e rari centri sociali (se non quelli occupati), un caos urbanistico frutto di progetti di 40 anni e passa fa, grandi strutture lasciate spesso nell'incuria senza manutenzione alcuna, dall'altra la tesi di Ilardi continua ad essere la classica fuga dalle contraddizioni sistemiche .

Un tempo nelle periferie si stabilivano i quartieri operai legati alle fabbriche, una volta delocalizzate  o chiuse le produzioni si è fatta strada una nuova classe proletaria operante nei servizi, nelle cooperative, nel terzo settore.

La prima aveva come punto di riferimento i centri intermedi come il sindacato, la seconda frammentata e divisa, sfruttata all'inverosimile dalla precarietà lavorativa e disumanizzante, non ha ancora acquisito una identità forte anche se le lotte nella logistica e in altri settori dimostrano la sua estrema conflittualità.

Il problema di molti intellettuali è la distanza tra le periferie e la politica, la vittoria nelle aree degradate di candidati di destra pur con percentuali di astensionismo elevato.

Al di là dei movimenti dell'abitare, le aree periferiche sono state ignorate per decenni da chi ormai, a sinistra, parla una lingua comprensibile solo nelle aree ztl, in assenza di un welfare adeguato la richiesta di servizi si è tradotta per lo più in uffici caf e patronati per la denuncia dei redditi, per acquisire i bonus e il reddito di cittadinanza.

La sinistra dei servizi è la stessa che ha ridotto il sindacato a un convitato di pietra a difesa del welfare aziendale, quando non muove foglia per difendere quello universale, o della sanità e previdenza integrativa, la logica dei servizi va in direzione opposta a una rappresentanza reale che possa legittimarsi dentro dinamiche conflittuali.

Il tempo che appartiene al lavoro si è dilatato nel corso del tempo, la precarietà ha diminuito le ore lavorate accrescendo al contempo i tempi non retribuiti ma ugualmente dedicati al lavoro, la perdita di potere di acquisto e di contrattazione, la criminalizzazione delle lotte sociali con i pacchetti Sicurezza e le norme sul degrado urbano hanno giocato un ruolo dirimente per affermare una società nella quale dominano paura, rassegnazione e repressione.

Quando si analizzano le dinamiche del territorio non si deve solo guardare alla gentrificazione o ai processi speculativi ma neppure sottovalutare le ragioni economiche degli ultimi decenni alla base dei piani urbanistici, delle relazioni tra centro e periferia.

Se poi invece ci si nasconde dietro alla critica all'estrattivismo (in Italia!) e a una cultura  che vorremmo presentare come vetero marxista si rischia di costruire una analisi della realtà solo funzionale al recupero di credibilità dei blocchi istituzionali senza costruire pratiche di interazione e solidarietà attiva che debbono necessariamente costruire coesione tra soggetti sociali parcellizzati e soggetti a profondi cambiamenti se non ostaggio della propaganda retriva delle destre.

Su un punto siamo invece concordi, quando alla fine del libro Ilardi parla di una nuova teoria del conflitto dentro un tempo che non è più quello del lavoro e uno spazio ormai senza politica ma anche questa osservazione va saputa leggere e contestualizzare  perchè la precarietà lavorativa ed esistenziale hanno avuto ripercussioni ancora poco studiate sulla composizione sociale delle periferie e i disegni urbanistici.

Paradossalmente negli anni del boom economico incontravamo illustri architetti incaricati di disegnare interi quartieri periferici, quei progetti sono stati abbandonati nel corso del tempo perchè risultavano troppo costosi, anche per la manutenzione, soprattutto quando a partire dalla fine degli anni settanta è iniziata la stagione dei sacrifici, dei tagli al salario, poi alle pensioni, per arrivare al ridimensionamento del welfare e degli interventi sociali. Anni di condoni edilizi, la soppressione dei contributi Gescal incamerati dallo Stato per far cassa, sono state scelte errate che hanno prodotto solo danni.

Quando si parla di rapporto tra centro e periferia, di territori, occorre avere una visione non angusta dei fenomeni sociali, politici ed urbanistici perchè ancora oggi manca una idea complessiva della città che poi è legata alla riappropriazione degli spazi urbani e degli spazi di potere.

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