Sull'esame di maturità e sulle dichiarazioni del Ministro Bianchi

 riceviamo e pubblichiamo

Esami di maturità ed intervista al Ministro dell’Istruzione, che ha perso nell’intitolazione la specifica definizione di Pubblica, ora solo Istruzione (mah!), Patrizio Bianchi. Poche domande sul sito del Corriere della Sera (ultima modifica 22 giugno). Le risposte sono sconcertanti. Innanzi tutto, Bianchi ci tiene a farci sapere che questa è la prima “vera” maturità. Bello sapere, per i professori che hanno partecipato alle ultime due, che era una presa in giro per tutti, studenti ed insegnanti. La motivazione è che quelle erano solo orali. 


Come se a decidere la struttura fossero stati gli insegnanti e/o gli studenti. Le decisioni sono venute sempre dal Ministero con motivazioni sanitarie, pandemiche ecc. ecc. Ma anche ora il Covid-19 non è sparito! Ma non è questa la dichiarazione più sorprendente. Gli studenti, dice Bianchi “non è tanto importante che dimostrino di avere studiato, ma che sappiano argomentare il loro punto di vista…”. Una chicca di motivazione per un esame finale, di maturità, o di stato, come variamente si è chiamato. Lo studio non è la parte più significativa ma la capacità di dire con convinzione quello che si vuol dire. Anche l’insipiente, l’ignorante può essere convincente ed allora …promosso.


Ancora: “l’esame di maturità non è un test: serve a valutare il percorso svolto dai ragazzi in un periodo particolarmente difficile”. Ma allora perché fare l’esame se esame non deve essere. Basterebbe al riguardo la valutazione finale del Consiglio di classe. Dato che proprio il percorso scolastico quest’anno vale la metà del punteggio totale, 50 punti al massimo su 100. 15 punti il massimo per la prima prova, tema di italiano, 10 per la seconda e 25 per il colloquio. Il minimo per essere promossi è 60. 


Non c’è alcun essere raziocinante che non veda che gli studenti sono tutti promossi in partenza. E perciò perché mettere in piedi questo meccanismo d’esame se serve proprio più a nulla? Non è un esame, si valuta il percorso, crediti già salvifici; perché tenerlo ancora in piedi? Ed infatti gli intervistatori, due per l’occasione, continuano ad insistere sulla pochezza della cosa in sé e citano addirittura le prove INVALSI che arrivano a verificare la scarsa preparazione in italiano e matematica degli studenti, alla faccia dei voti stratosferici dell’esame. 


Abbiamo visto che i voti stratosferici sono raggiunti con il trucchetto dell’attribuzione dei crediti. Già promossi in partenza. Ma la sostanza della realtà della preparazione degli studenti ben si discosta. E capacità di scrittura, come ricorda anche Bianchi, stilare una lettera, ad esempio, siccome non viene più usata come un tempo, il suo tempo, da giovane, tanto vale non venga perseguita: “Io quand’ero ragazzo scrivevo lettere su lettere alla mia morosa. (termine desueto, n.d.r.) 


Oggi nessuno lo fa più". Perciò a che vale dare una responsabilità d’esame al bello scrivere se questo non serve. E, solo un esempio, perciò il povero Schopenhauer per quale motivo ha scritto lettere alla sua famiglia? Lettere raccolte, commentate e pubblicate, come studio di un percorso di vita e di storia del suo tempo? Tempo perso. Lui non lo sapeva, ma noi ora lo sappiamo e siamo pronti all’oblio.


Le capacità degli insegnanti ora si debbono indirizzare alla “progettazione didattica e al tutoraggio”. Questo determina il bravo professore. Il suo sapere non conta più. La sua capacità di trasmetterlo in quantità utile per la formazione del discente viene annullata. È dal basso dell’ignoranza di chi non sa che deve sgorgare l’autonomia del singolo, non dalla sua preparazione sudata a tavolino. Povero Alfieri, che pena mi fa, potrebbe dire Bianchi. E poi se vai a veder la sfilza delle pubblicazioni dello stesso rimani incanto dalla quantità dei titoli prodotti. 


Ma non servono, gli potremmo dire. Non servono a nessuno. L’ignoranza deve regnare sovrana. Altre sono le priorità, tanto che un ramo del Parlamento, la Camera dei deputati, ha licenziato da poco come legge, l’insegnamento delle competenze non cognitive. Esempio per capirci: la motivazione, la coscienziosità, la positività, l’essere estroversi, la proattività e la stabilità emotiva. Come si vede assolute evanescenze e difficilmente valutabili, ma solo accompagnabile verso …non si sa cosa. In questo scenario il sapere è considerato vetusto, come scrivere lettere, appunto.


Forse una volta messo in quel posto di Ministro, uomo o donna che sia, perde il lume della razionalità per rivestire quello dell’evanescenza e della modernità ad ogni costo. Poi fa niente se nelle nostre università gli studenti non sappiano scrivere una tesi di laurea, povero Umberto Eco; se gliela deve riscrivere il docente; se una volta uscito dalle facoltà ed avviato all’insegnamento quel singolo non faccia altro che ripetere le amenità che ha assorbito in decenni di scolarizzazione. 


Ogni tanto qualcuno ci prova a dire che le cose dovrebbero essere serie, e vengono in mente molti esempi. Ma non c’è nulla da fare. Il tutto viaggia verso l’indecenza più assoluta. E poi quando succede qualcosa di pesante – epidemie, guerre, siccità, povertà in aumento -, si dice che non saremo più come prima, che tutto è cambiato per sempre, che il futuro sarà diverso e via con altre simili banalità. Proprio come se esistesse il futuro e non vivessimo noi in un continuo presente (S. Agostino). È dal presente che decidiamo cosa sia il passato che il futuro. Storia ed attesa. Ma dobbiamo prepararlo ora, qui, il tempo che ci serve. E noi cosa stiamo preparando: le non cognitive skills.


Tiziano Tussi

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