Il business della transizione ecologica

 Una pericolosa semplificazione è rappresentata dalla presunta disputa tra fautori dell'ambiente sano e pulito in nome della transizione ecologica e la lobby degli inquinatori legati alle energie non rinnovabili. E molto pesano i certificati verdi richiesti dalle aziende e attorno alle quali si muovono interessi finanziari e speculativi con titoli che scommettono sul prezzo dei metalli rari e hanno determinato in un anno il raddoppio dei prezzi. E con la impennata dei prezzi di alcuni metalli anche la riconversione diventa problematica, una situazione surreale che alimenta la spirale speculativa sull'interesse generale.

E lo stesso discorso vale anche per i prodotti agricoli con gli speculatori ad acquistare i prodotti finanziari denominati derivati che scommettono sul costo dei cereali e in questo modo i costi dei prodotti agricoli dipendono dalla speculazione finanziaria e non dal rapporto tra domanda ed offerta.

Se volessimo ridurre la fame nel mondo dovremmo porre fine a ogni speculazione finanziaria sul costo del grano ma facendo ciò crollerebbe l'intero sistema capitalistico. Se pensiamo alle Primavere arabe fu proprio la cosiddetta agro inflazione a determinare le proteste popolari, una inflazione costruita ad arte proprio dalla Finanza




Molte società e nazioni stanno puntando da tempo all'aumento dei prezzi dei combustibili fossili, dei beni agricoli e delle materie prime, così facendo aumenta la inflazione e numerosi paesi si troveranno alla canna del gas come le classi sociali meno abbienti delle nazioni a capitalismo avanzato.

Non è in discussione la necessità di energie pulite e non inquinanti, non saremo certo noi a rappresentare posizioni negazionistiche ma fare i conti con il variegato sistema di interessi attorno al green è diventato prioritario per non cadere in equivoci, inganni e alla fine non cogliere la natura capitalistica della transizione.

La finanza sta puntando molte carte sulla transizione verde, i fautori dell'inquinamento degli ultimi anni hanno fiutato l'affare e non lo molleranno.

Gli incentivi comunitari alle fonti rinnovabili sono da tempo presenti e i proventi delle aste verdi arrivano in parte al Fondo di ammortamento dei titoli di Stato contribuendo così alla riduzione del debito pubblico. Ma solo una parte delle entrate è destinata a finanziare i progetti di transizione ecologica, metà dei soldi arriva direttamente alla Finanza privata che da tempo ha deciso di investire proprio nei prodotti alternativi ai fossili con derivati e altre forme speculative.

Le banche prestano soldi a nazioni che vogliano sviluppare progetti ambientali, un mix tra prestiti e aiuti che alla fine condizionano le economie nazionali obbligando quei paesi, un domani, a pagare lauti interessi.

Se analizziamo le tasse ambientali vigenti in Italia si capisce che solo una minima parte deriva da imposte sugli inquinanti, tutto il resto è dato dalle accise sui carburanti e da imposte sull'autotrasporto. Le tasse ambientali dovrebbero essere indirizzate a progetti di riconversione ma finiscono invece in gran parte al pagamento del debito pubblico

E la emissione del debito verde diventa dirimente per finanziare parte dei progetti del PNRR, attorno a titoli verdi si muovono allora interessi che potrebbero anche essere in aperto contrasto con la transizione ecologica o utilizzarla per condannare al debito permanente paesi bisognosi di riconvertire le loro produzioni industriali, salvo poi strozzarli con alti tassi di interesse.

Il mercato finanziario delle obbligazioni verdi diventa predominante scatenando processi speculativi finalizzati ad utilizzare la leva ambientale per accrescere profitti azionari, insomma strategie ben diverse da quelle che dovrebbero arrivare dal settore pubblico per dare vita a progetti ecologici e di basso impatto ambientale e non destinate a processi speculativi finanziari.


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