Salario minimo, potere di acquisto e di contrattazione: tre questioni da tenere insieme

 Il lavoro povero è ormai una realtà diffusa che include anche quanti\e hanno un contratto a tempo indeterminato e full time, immaginiamoci allora quanti precari, a tempo determinato o partite iva possano annoverarsi nelle fila dei nuovi poveri che non arrivano a fine mese.



Un tema, quello del lavoro povero, già dibattuto, oltre 10 anni fa nacquero dei comitati per la quarta settimana a seguito della crisi economica e finanziaria del 2008 ma queste realtà si sono ben presto dissolte.

La questione non è da affrontare solo nell'ottica del salario minimo o di misure statali a sostegno dei salari, ad esempio pensiamo che l'accordo quadro sugli assetti contrattuali abbia palesato enormi limiti e contraddizioni , i contratti nazionali  vengono siglati con anni di ritardo applicando il codice Ipca per i rinnovi dei ccnl con aumenti irrisori, da anni inferiori al reale costo della vita decretando la continua erosione del potere di acquisto. Poi ci sono anni di ritardo nei rinnovi contrattuali e anche questo determina un danno economico e una autentica beffa, la miseria della indennità di vacanza contrattuale ha di fatto permesso i continui rinvii dei rinnovi e l'accordo del 2009 ha trovato soluzione dannose per la forza lavoro ma assai convenienti per le parti datoriali

La proposta di salario minimo non è certo rivoluzionaria, già nel 2014 era prevista dal jobs act l'approvazione di una legge delega per introdurlo nei settori non coperti dai contratti nazionali lasciando inalterata la centralità del modello di contrattazione gestito con i sindacati rappresentativi. E sta proprio qui il problema irrisolto ossia la inadeguatezza di questo modello risalente al 2009 da cui deriva perdita del potere di acquisto e di contrattazione sindacale.

I sindacati rappresentativi vedono la introduzione del salario come una minaccia al loro potere contrattuale, in realtà è proprio quel potere ad avere affossato il potere di acquisto e di contrattazione indebolendo il ruolo stesso del sindacato sminuendone l'antagonismo rispetto ai datori e al padronato in generale.

I richiami, giusti e legittimi, alla Costituzione lasciano il tempo che trovano perchè i principi guida si sono sempre scontrati con la facoltà del legislatore che nel corso degli anni si è mosso in maniera ostinata e contraria a determinati valori come quello della equa retribuzione. Anni di precarizzazione del lavoro e delle nostre esistenze sono un autentica offesa a quei principi costituzionali che rimangono lettera morta per volontà politica dell'arco parlamentare la cui maggioranza oggi mira per altro alla profonda e definitiva riscrittura della Carta.

Possiamo dire, senza smentita, che il richiamo alla Costituzione, suoni come una sorta di acclarata impotenza politica e da qui il richiamo a principi disattesi da decenni da una sorta di Carta materiale che si poggia sulla precarietà e sul precariato.

Non siamo in presenza di una contrattazione collettiva da difendere rispetto alle deroghe e alla contrattazione di secondo livello, oggi i contratti nazionali e quelli aziendali sono strettamente connessi, prevedono deroghe al ccnl e opportunità di accordarsi su intese peggiorative in termini salariali e contrattuali. Per questo continuiamo a pensare che una iniziativa sul salario minimo non possa eludere altre questioni come gli accordi del 2009 sulla rappresentanza, la indennità di vacanza contrattuale e l'insieme di regole che hanno affossato il potere di acquisto salariale.


a cura della Cub di Pisa




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