Le giornate di Genova 1960
ALLORA COME ALLORA: RICORDANDO IL TRENTA GIUGNO 1960
di Franco Astengo
Mai
come quest’anno è necessario tenere viva la memoria dei fatti del
Luglio ’60 partendo dallo sciopero generale di Genova svoltosi il 30
giugno di quell’anno
Il
ricordo del 30 Giugno 1960 genovese e i susseguenti fatti del luglio
successivo verificatasi in tutta Italia ( si registrarono morti nelle
strade di Licata, Reggio Emilia, Palermo, Catania) appare così di grande
importanza proprio nel momento in cui sarebbe indispensabile ritrovare
tutta la nostra capacità d’impegno e di vigilanza democratica proprio
perché si cerca di negare non solo l’evidenza della storia ma gli stessi
i valori di democrazia e di antifascismo che ne sono direttamente collegati sul piano politico ed etico.
Ribadendo che continuiamo a considerare l’antifascismo un valore in sé assolutamente non negoziabile riportiamo di seguito, ancora una volta, un
testo attraverso il quale si cerca di riproporre la memoria di quei
fatti fornendo una interpretazione storica oltre ad una cronologia degli
avvenimenti di quei giorni.
30 GIUGNO 1960: LA RIVOLTA DI GENOVA E LA VITTORIA DELLA DEMOCRA
Era
l'Italia del 1960. Il Paese si trovava in pieno miracolo economico, ma
il benessere nascondeva profonde lacerazioni socio-politiche.
Si stava provando, con fatica, a uscire dagli anni'50 e a far nascere il centrosinistra.
Un
giovane democristiano, Fernando Tambroni esponente della corrente del
presidente della Repubblica Gronchi, assumeva la Presidenza del
Consiglio sostenuto da una maggioranza comprendente il partito
neofascista, il MSI.
Quell'MSI
che stava tornando alla ribalta con la sua ideologia e la sua
iniziativa: quell'MSI che decise, alla fine del mese di Giugno, di
tenere il suo congresso a Genova, Città medaglia d'oro della Resistenza.
L'antifascismo, vecchio e nuovo, disse di no.
Comparvero sulle piazze i giovani dalle magliette a strisce, i portuali, i partigiani.
La Resistenza riuscì a sconfiggere il rigurgito fascista.
Ma si trattò di una vittoria amara, a Reggio Emilia e in altre città la polizia sparò sulla folla causando numerose vittime.
Questi i fatti, descritti più nel dettaglio attraverso la cronologia che troverete in calce a questo articolo.
Fatti
accaduti in quell'intenso e drammatico inizio d'estate di
cinquantasette anni fa: è necessario, però, tornarvi sopra per
riflettere, partendo da un dato.
Non
si trattò semplicemente di un moto di piazza, di opposizione alla
scelta provocatoria di una forza politica come quella compiuta dall'MSI
di convocare il proprio congresso a Genova e di annunciare anche come
quelle assise sarebbero state presiedute da Basile, soltanto quindici
anni prima, protagonista nella stessa Città di torture e massacri verso i
partigiani e la popolazione.
Si trattò, invece, di un punto di vero e proprio snodo della storia sociale e politica d'Italia.
Erano
ancora vivi e attivi quasi tutti i protagonisti della vicenda che era
parsa chiudersi nel 1945, ed è sempre necessario considerare come quei
fatti si inserissero dentro una crisi gravissima degli equilibri
politici: una crisi inserita anche in un mutamento profondo dello
scenario internazionale, nei quali si muovevano i primi passi del
processo di distensione ed era in atto il fenomeno della
"decolonizzazione", in particolare, in Africa, con la nascita del
movimento dei "non allineati".
Prima
ancora, però, dovrebbe essere valutato un elemento, a nostro avviso, di
fondamentale importanza: abbiamo già accennato all'entrata in scena di
quella che fu definita la generazione "dalle magliette a strisce", i
giovani che per motivi d'età non avevano fatto la Resistenza, ma ne
avevano respirata l'aria entrando in fabbrica o studiando all'Università
accanto ai fratelli maggiori; giovani che avevano vissuto il passaggio
dall'Italia arretrata degli anni'40-'50 all'Italia del boom, della
modernizzazione, del consumismo, delle migrazioni bibliche dal Sud al
Nord, di una difficile integrazione sociale e culturale.
Allora
i moti del Luglio'60 non possono essere considerati semplicemente un
punto di saldatura tra le generazioni, anzi rappresentavano un momento
di conflitto, di richiesta di cambiamento profondo, non limitato agli
equilibri politici.
Un
punto di analisi, questo, non ricordato di frequente: al riguardo del
quale abbiamo pensato di presentare un testo, a nostro giudizio
illuminante, scritto da Raniero Panzieri e apparso, il 25 Luglio del
1960 proprio nel momento in cui i nuovi equilibri politici si andavano
formando (il governo Tambroni si era dimesso e Amintore Fanfani si
apprestava a varare quel ministero che Aldo Moro avrebbe definito delle
"convergenze parallele": per la prima volta, infatti, il PSI si sarebbe
astenuto, come i Monarchici, sull'altro versante. Si trattava del
prodromo del governo organico di centrosinistra che poi lo stesso Moro
avrebbe presieduto nel dicembre del 1963).
L'articolo
di Panzieri (che non aveva ancora aperto la serie dei "Quaderni Rossi")
uscì sulla rivista della federazione torinese del PSI, "La Città" e ne
riportiamo di seguito uno stralcio particolarmente significativo:
"
E' dunque necessario conquistare, al livello delle forze politiche
organizzate, una consapevolezza precisa e seria del movimento reale del
Paese. E per questo occorre, innanzi tutto, riconoscere i tratti del
processo democratico che da lungo tempo è andato maturando nella nostra
società, al di fuori, in gran parte, dalle linee e dagli obiettivi
perseguiti dai partiti di sinistra. Ciò che è caratteristico di questo
processo è che, nonostante la sua estraneità ai partiti, non ha per
nulla i connotati tipici della "spontaneità": il suo grado di coscienza è
fortemente sottolineato dalla capacità delle giovani leve operaie di
"servirsi" del sindacato unitario (soprattutto) e anche dei partiti di
classe, nella stretta misura in cui la partecipazione e il sostegno
delle organizzazioni operaie esistenti sono necessari all'affermazione
di uno schieramento unitario di classe. Perciò l'estraneità
organizzativa ai partiti di decine di migliaia di giovani operai, che
sono state la punta avanzata del movimento, deve essere valutata come un
rapporto di spinta, di azione critica esercitata da forze consapevoli,
ora in modo chiaro, ora in forme incerte e travagliate, di rappresentare
esigenze e scopi di lotta più complessi e più avanzati di quelli
offerti dalle organizzazioni e di dover esercitare con la loro autonomia
una pressione perché queste si adeguino ai rapporti di classe...
.....Ma
questi elementi possono prendere rilievo e consistenza durevole
soltanto in una prospettiva politica generale. E proprio questa
prospettiva è presente nell'azione dei partiti solo assai parzialmente e
in modo deformato. Essa dovrebbe concretarsi nella rivendicazione di un
mutamento profondo nelle strutture economiche e sociali, nella
individuazione dei processi totalitari del potere, che dalla grande
fabbrica si estendono a tutti i livelli del Paese, in un rifiuto del
divario che l'azione capitalistica provoca e aggrava di continuo tra la
realtà dei rapporti politici e le istituzioni..."
Fin
qui lo stralcio dell'articolo di Raniero Panzieri: un Panzieri quasi
profetico a indicare temi che poi sarebbero stati alla base delle lotte
operaie del decennio, fino a sfociare nell' "Autunno caldo" del 1969,
nell'unità e nel sindacato dei "Consigli" :stava già, forse dentro
quell’articolo citato quell'interrogativo poi suscitato da qualcuno,
proprio a proposito del Luglio'60: ultimo episodio della Resistenza o
primo vagito del '68?.
E,
ancora, quanto vale oggi il richiamo di Panzieri in un momento in cui
sono attaccati direttamente i diritti fondamentali strappati con le
lotte di quella stagione e che non appaiono difesi, se non soltanto da
minoranze apparentemente isolate, in un dato complessivo di
sfrangiamento sociale e di sostanziale atonia politica?
Interrogativi che rimandiamo all'attualità: una complessa e difficile attualità.
In
quel Luglio '60, da non considerare - ripetiamo - soltanto per i fatti
accaduti in quei giorni, ma nel complesso di una fase di cambiamento
della società e della politica, si aprì, ancora, a sinistra, una
discussione sulla natura della DC, fino a quel momento perno
fondamentale del sistema politico italiano.
Molti
si chiesero, a quel momento, se dentro la DC covasse il "vero fascismo"
italiano: non quello rumoroso e un poco patetico del MSI, ma quello
vero; quello che poteva considerarsi il reale referente dei ceti
dominanti, capace di portare al blocco sociale di potere l'apporto della
piccola e media borghesia.
Il
partito democristiano appariva, dunque, a una parte della sinistra,
soprattutto nei giorni infuocati della repressione, come il partito che
avrebbe potuto in qualunque momento rimettere in moto in Italia
(ricordiamolo ancora una volta: eravamo a soli quindici anni dalla
Liberazione) un meccanismo politico-sociale-repressivo-autoritario tale
da dar vita a nuove esperienze di tipo fascista.
L'analisi sviluppata dal PCI togliattiano fu diversa.
Nonostante
le asprezze della polemica quotidiana, il PCI aveva assunto come una
delle prospettive di fondo di tutta la sua strategia (assieme a quella,
prioritaria, della “legittimazione nazionale” del Partito) l'intesa con
le masse cattoliche, da sottrarre al predominio moderato prevalente dal
'47 in poi (grazie alla "guerra fredda") al vertice della DC.
Ma
la prospettiva non era così ingenua: essa comportava il proposito di
far emergere le forze presenti all'interno della DC, anche al vertice
del partito.
In
quel Luglio '60 il PCI cercò di operare in quella direzione, e il
successo dello sciopero generale, pur macchiato di sangue, si rivelò
efficace e significativo anche perché dall'interno della DC si aprì
finalmente un varco a quella parte del gruppo dirigente che, sulle
rovine dell'esperimento Tambroni, poté riproporre con maggiore efficacia
e speranza di esito positivo una soluzione diversa: quella che abbiamo
già richiamato delle "convergenze parallele" e, successivamente, del
centrosinistra "organico".
Oggi,
possiamo meglio valutare l'esito di quei fatti: le contraddizioni che
ne seguirono, il rattrappirsi progressivo della realtà riformatrice( a
partire dal "tintinnar di sciabole" dell'estate 1964, fino alla
disgraziata stagione del terrorismo, aperta nel 1969 dalle bombe di
Piazza della Fontana), l'assunzione, in particolare da parte del PSI
,via, via, di una vocazione "governista" sfociata nel decisionismo
craxiano, nello sviluppo abnorme della partitocrazia (con il contributo
di un complessivo "consociativismo" allargato all'intero arco
parlamentare) e, infine, nella "questione morale" che segnò, all'inizio
degli anni'90, lo sconquasso definitivo del quadro di governo.
Ebbene,
proprio in quella situazione, l'implosione della DC consentì di
verificare la giustezza di certe analisi: le masse DC, la gran parte
dell'elettorato democristiano, in quel momento di trasformazione del
sistema politico trovarono, infatti, sede politica e dirigenti in cui
affidarsi in Alleanza Nazionale (l'ex-MSI diventato ormai vero e proprio
soggetto di massa) e in Forza Italia (diventato subito il maggior
partito italiano, dal punto di vista dei risultati elettorali).
Alleanza
Nazionale e Forza Italia alleate con la regressione culturale e le
pulsioni razzistiche insite nella Lega Nord che oggi verifichiamo
essersi tragicamente imposte come egemoni nel “ventre molle” di un Paese
di cui Gobetti scrisse del “fascismo come autobiografia della Nazione”.
Proprio
oggi,allora e ricordando Luglio ’60 possiamo valutare meglio il ruolo
complessivo di tenuta democratica, di vero e proprio argine, svolto dal
sistema dei partiti ad integrazione di massa.
Sciolti
i partiti di massa, ridotti i loro presunti successori a un coacervo di
comitati elettorali l’alba del nuovo secolo registrò una pesante svolta
a destra dell’asse politico del Paese di cui non si ebbe piena
consapevolezza, inebriati i vertici della sinistra d’allora
dall’illusoria prospettiva dell’alternanza e del “finto” bipolarismo”,
realizzato artificiosamente modificando il sistema elettorale in senso
maggioritario.
Seguirono
poi i diversi attacchi alla Costituzione, i tentativi di deformarla:
riusciti per quel che riguarda la modifica del titolo V sulle autonomie,
e l’introduzione del pareggio di bilancio nell’art.81, ma respinti due
volte dal voto popolare sul piano di modificazioni più complessive: una
volta presentate dal centro – destra (2006) e una seconda presentate dal
PD (2016).
La degenerazione del quadro politico è però proseguita fino al presentarsi della situazione di oggi.
L’Italia sembra stretta nella morsa tra “antipolitica” e “populismo”,
micidiale miscela che ha composto il propellente destinato alla
formazione del governo in carica.
Ne
è sortito un clima pesante, quasi di odio individualistico, di rifiuto
degli altri e non solo dei “diversi”, quasi una fotografia di una
società italiana esausta e sfrangiata pronta ad abbandonarsi nell’idea
della forza, magari esercitata in forme di vera e propria limitazione
della democrazia.
Nel
frattempo si sono smarriti, per la gran parte, i valori fondativi non
solo della Resistenza e della Costituzione ma della stessa convivenza
civile e democratica, mentre si sono innalzati gli indici di
disuguaglianza, sfruttamento, sopraffazione.
A
questo stato di cose è necessario pensare anche nel momento in cui
possiamo affermare con intatto orgoglio che nel Luglio ’60 vinse la
democrazia.
CRONOLOGIA DEI FATTI
CRONOLOGIA DEI FATTI DEL LUGLIO '60
24 Febbraio
Il Presidente del Consiglio, Antonio Segni rassegna le dimissioni
20 Marzo
Segni
rinuncia all'incarico di formare un governo con l'astensione dei
socialisti per l'opposizione di settori democristiani, che minacciano la
formazione di un secondo partito cattolico. Con una iniziativa
personale il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, affida
l'incarico a Fernando Tambroni.
26 Marzo
Il governo Tambroni giura nelle mani del Capo dello Stato. Si tratta di un monocolore democristiano.
8 Aprile
Il
governo Tambroni ottiene la fiducia della Camera con 300 sì e 293 no.
Votano a favore DC, MSI e 4 ex monarchici, contro i deputati di tutti
gli altri partiti.
I
ministri Pastore e Bo e i sottosegretari Antonio Pecoraro, Nullo Biaggi
e Lorenzo Spallino, tutti appartenenti alla sinistra della DC, si
dimettono immediatamente per protesta, seguiti immediatamente anche dal
ministro Sullo, della corrente di “base”.
13 Aprile
Fanfani
che aveva ricevuto l'incarico il 14 per la formazione di un tripartito
con l'appoggio del PSI, rinuncia per l'opposizione degli andreottiani e
degli scelbiani, dei seguaci di Paolo Bonomi (Coldiretti) e di settori
dorotei.
23 Aprile
Gronchi
respinge le dimissioni di Tambroni anche su sollecitazione del
segretario della DC Aldo Moro e lo invita a ripresentare il governo al
Senato per completare la procedura del voto di fiducia.
29 Aprile
Tambroni
ottiene la fiducia del Senato con 128 sì (DC, MSI, 1 monarchico,
Raffaele Cadorna e Giuseppe Paratore formalmente indipendenti) e 110 no.
La direzione della DC aveva, il giorno precedente, stabilito che il
governo rimanesse in carica fino al 31 Ottobre per consentire
l'approvazione dei bilanci, limitandosi quindi all'ordinaria
amministrazione.
21 Maggio
Un
comizio del deputato del PCI Giancarlo Pajetta è interrotto a Bologna
da un commissario di polizia, provocando la protesta degli intervenuti.
La “celere” ferisce il deputato comunista Giovanni
Bottonelli. Pajetta aveva criticato la politica estera del governo ed il
commissario lo aveva interrotto e aveva ingiunto di sciogliere la
riunione.
25 Giugno
A
Genova si tiene un comizio contro il congresso del MSI, autorizzato da
tempo dal governo, che dovrebbe cominciare il 2 Luglio al Teatro
Margherita, a pochi metri dal sacrario dei caduti partigiani di via XX
Settembre.
La
decisione del MSI di tenere il congresso a Genova è ritenuta
provocatoria, anche perché se ne vuole affidare la presidenza a Carlo
Emanuele Basile, prefetto della Città nel periodo della Repubblica
Sociale Italiana e responsabile di arresti e torture di partigiani.
27 Maggio
A
Palermo 30 persone rimangono ferite in conseguenza dell'intervento
della “celere” contro lo sciopero generale proclamato da CGIL, CISL,UIL
per sollecitare misure a favore dell'economia cittadina.
Il 2 giugno il senatore comunista Umberto Terracini (che fu presidente dell'Assemblea costituente), durante un discorso tenuto a Pannesi, nel comune di Lumarzo (un comune della Val Fontanabuona, in provincia di Genova, luogo di stragi compiute dai nazisti), nella ricorrenza della Festa della Repubblica, invitò le forze che si rifacevano ai valori della Resistenza a organizzare una riunione contro il congresso del MSI, ritenuto una provocazione contro Genova.
Il 5 giugno l'Unità,
nella sua edizione genovese, pubblicò una lettera-appello scritta da un
operaio, in cui si chiedeva che la città prendesse posizione contro
l'annunciato congresso del MSI.
Il giorno successivo, il 6 giugno, su iniziativa della federazione del PSI, i rappresentanti locali dei partiti comunista, radicale, socialdemocratico, socialista e repubblicano,
dopo essersi riuniti per decidere una posizione comune sul congresso,
fecero stampare un manifesto in cui, denunciando il congresso missino
come una grave provocazione, lo additavano al disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del fascismo.
Il 13 giugno alla richiesta di non fare svolgere il congresso si aggiunse in maniera ufficiale la Camera del lavoro.
Due giorni dopo, il 15 giugno, una manifestazione indetta con lo scopo
di protestare contro lo svolgimento dello stesso, vide la partecipazione
stimata di 20.000 persone, e si registrarono i primi scontri (poi
sedati dai carabinieri), nella zona di via San Lorenzo (strada adiacente
all'omonima cattedrale), tra un gruppo di manifestanti e alcuni neofascisti.
Il
24 giugno un comizio di protesta contro il congresso, indetto dalla
Camera del lavoro, che si doveva svolgere nella zona del porto, fu
vietato dalla Questura, con la motivazione che l'autorizzazione non era
stata chiesta coi tre giorni di anticipo previsti dalla legge
Il 25 giugno, durante un nuovo corteo di protesta organizzato dalle federazioni giovanili del PCI, del PSI, del PSDI, del PRI e dei radicali,
a cui aderirono anche i portuali, vi furono nuovi scontri, questa volta
in via XX Settembre, tra manifestanti e polizia. Nel corso di quel
corteo si decise d'indire per il 2 luglio un comizio, nel quale sarebbe
intervenuto Ferruccio Parri.
28 Giugno
Una
grande manifestazione si tiene a Genova, organizzata da PCI, PSI, PSDI ,
PRI, PR e dalle associazioni partigiane per protestare contro il
congresso del MSI.
Parla
Sandro Pertini che chiede il rispetto della norma costituzionale che
vieta la riorganizzazione del disciolto Partito Fascista.
La
CGIL proclama lo sciopero generale, e si stabilisce che a partire dal
30 Giugno i capi delle formazioni partigiane, guidate dal Presidente
onorario della Corte di Cassazione Domenico Peretti Griva montino la
guardia al sacrario dei partigiani caduti.
30 Giugno
Un
corteo antifascista che percorre il centro di Genova è bloccato dalla
polizia con il lancio di bombe lacrimogene. Rimangono ferite 83 persone.
A Genova è proclamato lo sciopero generale.
Si verificano incidenti anche in altre città tra polizia e manifestanti antifascisti.
1 Luglio
La
questura di Genova, su sollecitazione del Governo, propone al MSI di
spostare la sede del Congresso a Nervi. Il MSI prima rifiuta, poi
accetta, infine rinuncia allo svolgimento del congresso. Viene sospeso
lo sciopero.
5 Luglio
Un
morto, il giovane Vincenzo Napoli e 24 feriti a Licata (AG) sono il
bilancio degli scontri tra polizia e dimostranti nel corso dello
sciopero generale contro la disoccupazione, guidato dal sindaco
democristiano della Città.
Il
Ministro dell'Interno Giuseppe Spataro intervenendo sul bilancio del
suo ministero, accusa i comunisti di aver fomentato le manifestazioni di
Genova e di aver scientemente perseguito una azione di forza contro il
Governo e le istituzioni dello Stato.
Neofascisti
incendiano a Ravenna l'abitazione del senatore Arrigo Boldrini (Bulow),
medaglia d'oro della Resistenza e presidente dell'ANPI.
A Milano è devastata la sede del Partito Radicale, mentre a Roma vengono lanciate bombe contro una sezione del PCI.
6 Luglio
A
Roma una manifestazione antifascista a Porta San Paolo, organizzata
dalle associazioni partigiane, in un primo momento autorizzata dalla
questura, è proibita all'ultimo momento.
La
manifestazione si tiene egualmente ed è duramente repressa dalla
polizia,c eh fa uso di idranti ed interviene con le jeep ed una carica a
c avallo, guidata dal futuro campione olimpico Raimondo D'Inzeo,
capitano dei carabinieri.
Sono
feriti diversi deputati, più gravemente il socialista Gian Guido
Borghese e i comunisti Walter Audisio , Ambrogio Donini e Pietro Ingrao
Sono fermati numerosi deputati del PCI e del PSI.
Giancarlo
Pajetta irrompe alla Camera gettando verso lo scranno del Presidente
dell’assemblea, Giovanni Leone, la giacca insanguinata di Ingrao.
La DC rivolge un appello al Paese e dichiara “la sua fedeltà agli ideali della Resistenza e ai valori della libertà”.
Sono proclamati scioperi a Bologna e a Roma.
7 Luglio
A Reggio Emilia, nel
corso della manifestazione di protesta che si svolge in contemporanea
con tutte le altre piazze d'Italia, per i fatti di Roma la polizia
uccide cinque dimostranti: Ovidio Franchi 19 anni, Lauro Ferioli 21
anni, Marino Serri 40, Emilio Reverberi 21, Afro Tondelli 20.
A Parma, Modena, Castellamare di Stabia e Napoli si registrano feriti.
Protagonisti
degli scontri sono ovunque giovani che rimarranno nella memoria del
Paese come “ i ragazzi delle magliette a strisce”.
La CGIL indice uno sciopero generale, al quale non aderiscono CISL e UIL.
La CGIL indice uno sciopero generale, al quale non aderiscono CISL e UIL.
8 Luglio
A
Palermo e Catania rimangono uccise quattro persone nelle manifestazioni
legate allo sciopero generale: sono Andrea Gangitano 20 anni, Francesco
Vella 45, Rosi La Barbera 54, Salvatore Novembre 22
9 Luglio
I
funerali delle vittime di Reggio Emilia si svolgono alla presenza del
senatore Ferruccio Parri e con la partecipazione di 80.000 persone, dopo
che per tutto il giorno e per tutta la notte la cittadinanza era
sfilata davanti alle salme, composte nell'atrio del Teatro Municipale.
Il
giorno dopo migliaia di persone presenzieranno a Palermo ai funerali
delle vittime dell'8, vi parteciperanno il segretario generale della
CGIL, Agostino Novella e il vicesegretario del PCI. Luigi Longo.
19 Luglio
Tambroni rassegna le dimissioni dopo un colloquio con il Presidente della Repubblica
27 Luglio
Fanfani
costituisce il suo III governo,che giura al Quirinale, aveva ricevuto
l'incarico il 23: si tratta di un monocolore democristiano.
3 Agosto
Il
governo Fanfani ottiene la fiducia dal Senato con 126 sì, 58 no e 36
astensioni. Votano a favore DC, PSDI, PLI, contro PCI e MSI, si
astengono monarchici e socialisti.
Alla
Camera si voterà la fiducia il 5, la maggioranza sarà composta anche
dal PRI e Comunità non presenti al Senato; il governo otterrà 310 voti a
favore, 156 contro, 96 astensioni.
L'astensione
dei monarchici a destra e del PSI a sinistra indurrà Aldo Moro a
definire quello di Fanfani il governo delle “convergenze parallele”
intendendo con ciò che i contributi di monarchici e PSI, entrambi
preziosi, sono tuttavia destinati a non incontrarsi, autonomi l'uno
dall'altro.
Si
apriva così la stagione che avrebbe portato nel dicembre 1963 al primo
governo organico di centro – sinistra presieduto da Aldo Moro.
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