Chi ricorda il 25 Luglio?
RICORDO DEL 25 LUGLIO 1943
di Franco Astengo
Il
25 Luglio 1943, settanta cinque anni or sono, cadde il regime fascista.
E' necessario ricordare questa data (come altre della nostra storia più
recente) perché la memoria non può essere smarrita, ma coltivata per
avere sempre presente, noi che abbiamo già raggiunto quella che si
definiva “una certa età” e soprattutto per i giovani, le motivazioni di
fondo su cui è sorta la nostra democrazia repubblicana.
Democrazia
repubblicana al riguardo della quale è necessario nuovamente lanciare
segnali di pericolo circa la sua tenuta nell’ambito della Costituzione:
respinto un ennesimo assalto grazie all’esito del voto popolare il 4
dicembre 2016, adesso siamo addirittura – da parte di esponenti di un
partito di governo – ai proclami di “inutilità del Parlamento”.
Per
questo motivo ogni richiamo possibile alla lotta antifascista e per la
democrazia deve essere tenuto in gran conto, coltivato, espresso ogni
qualvolta possa essere possibile.
Un
resoconto schematico, quello compilato per l'occasione, che principia
ricordando come, tra la fine del 1942 e gli inizi del 1943, quando le
sorti della guerra fascista apparivano ormai definitivamente
compromesse, gli antifascisti fossero ancora troppo deboli per
rappresentare una concreta alternativa politica.
I
partiti democratici (PCI, PSI, DC, Democrazia del Lavoro, Partito
d’Azione, PLI) ancora in clandestinità in Italia in quei mesi erano
privi di strutture organizzative, senza poter comunicare con il paese:
soltanto i comunisti avevano conservato una presenza organizzata, in
particolare nelle grandi fabbriche del triangolo industriale, dove nel
mese di Marzo 1943 erano riusciti a organizzare scioperi basati,
essenzialmente, sul grande malcontento scatenato dalla guerra, che aveva
ridotto in miseria e portato nel pericolo, per via delle incursioni
aeree, le grandi masse popolari.
Gran parte dei quadri dirigenti delle formazioni politiche si trovavano ancora in galera, al confino o in esilio.
La
monarchia godeva, invece, di maggiore libertà d'azione, avendo
conservato per tutto il ventennio il suo potere legittimo grazie ad una
totale compromissione con la dittatura.
Quando il carro del dittatore si fece traballante, il Re disponeva ancora dell'autorità e della forza per abbatterlo.
Soprattutto,
all'interno di casa Savoia (in particolare da parte della principessa
ereditaria Maria Josè del Belgio) si sentiva l'urgenza di distaccarsi
dal fascismo, nel timore che un suo crollo rovinoso trascinasse nel
medesimo destino anche la dinastia regnante.
Era
stato Vittorio Emanuele III, infatti, nel lontano 1922, al momento
della Marcia su Roma, a nominare Capo del Governo il Duce; era stato
lui, nel 1924, a respingere l'appello degli antifascisti che chiedevano
le dimissioni di Mussolini dopo la scoperta del delitto Matteotti; e
sempre lui, non aveva elevato alcuna protesta, allorquando nel 1925 – 26
il fascismo aveva compiuto la distruzione delle fondamenta dello Stato
liberale.
Per
tutti gli anni seguenti il Re aveva avallato ogni scelta del regime,
comprese le leggi razziali nel 1938, dopo aver accettato il titolo di
Imperatore d’Etiopia dopo la banditesca impresa (con tanto di uso dei
gas asfissianti) tra il 1935 e il 1936.
Si
arrivò così all'alleanza con la Germania, fino alla precipitazione
dell'Italia nel secondo conflitto mondiale (10 Giugno 1940).
Vittorio
Emanuele III si mosse, allora, soltanto nel 1943, quando la sconfitta
bellica appariva ormai ineluttabile, rischiando di trascinare la
monarchia nel crollo della dittatura fascista.
Il
crescente distacco del Paese dal Regime, l'opposizione sempre più
evidente della Chiesa che, a partire dalla svolta razzista del '38 aveva
preso le distanze dal dittatore dopo aver stipulato con esso il
Concordato del 1929, il formarsi, all'interno delle gerarchie fasciste,
di un consistente movimento di fronda da parte di un gruppo di gerarchi
deciso a garantirsi un futuro anche senza Mussolini, infusero al Re il
coraggio necessario per arrivare alla resa dei conti.
Lo sbarco in Sicilia degli anglo – americani e il primo bombardamento di Roma, il 19 Luglio 1943, fecero rompere gli indugi.
Nella
notte tra il 24 e il 25 Luglio, al Gran Consiglio del Fascismo, passò a
maggioranza l'ordine del giorno Grandi contro Mussolini che, il
pomeriggio seguente, fu fatto arrestare dal Re nel cortile di Villa
Savoia.
A
poche ore di distanza (l'annuncio fu dato alla radio alle 10,45 del 26
Luglio) l'intera popolazione scese per le strade plaudendo al colpo di
Stato della Monarchia e cancellando i simboli del Regime, dalle strade e
dai palazzi.
Il
Re, dunque, sembrava uscire vincitore da questo primo rimescolamento di
carte: aveva abbattuto il dittatore e formato un governo di militati e
tecnici fedeli alla Monarchia, presieduto dal maresciallo Badoglio.
Il
nuovo Governo si preparò, così, nonostante gli annunci formali (la
guerra continua...) a trattare la resa, con gli anglo – americani.
La successione al fascismo si venne, però configurando come assai meno radicale del previsto.
Il
nuovo Regime, infatti, apparve incamminarsi sulla strada
dell'autoritarismo, non escludendo una volta patteggiata la resa alcune
caute aperture democratiche, ma sempre nell'ambito del patrimonio di
ordine, di pace sociale, di autorità centralizzata che, agli occhi della
Monarchia e degli esponenti del nuovo Governo, rimaneva in ogni caso il
maggior pregio del fascismo.
Insomma, la prospettiva della democrazia continuava a far paura nel 1943, come nel 1922.
La
tumultuosa ascesa delle classi subalterne nella vita dello Stato, che
aveva ripreso corpo con gli scioperi del Marzo 1943, terrorizzavano i
ceti dominanti.
L'obiettivo della monarchia restava , sostanzialmente, una volta usciti dalla guerra, quello di un fascismo senza Mussolini.
Un
disegno complicato da due variabili fondamentali: da un lato rimaneva
irrisolto il problema della pace; contemporaneamente il nuovo Governo
dichiara di voler continuare la guerra al fianco dei Tedeschi e apre
trattative per la resa agli alleati. Una situazione di ambiguità, che
causò danni enormi al Paese.
Dall'altro
lato l'antifascismo, ancora privo al 25 Luglio della forza necessaria
per abbattere il Regime, nei giorni immediatamente successivi compì un
vero e proprio balzo in avanti, rappresentando un punto di riferimento
per le manifestazioni di protesta che si succedettero in tutto il Paese,
maledicendo i fascisti e chiedendo con forza la pace.
Il
piano di successione al fascismo, così come casa Savoia lo aveva
progettato nel luglio del 1943, durò soltanto quarantacinque giorni.
Di
fronte alla mobilitazione delle masse, Badoglio fu, nei fatti,
costretto al dialogo con le opposizioni antifasciste, cercando di
convincerli a un atteggiamento più benevolo verso la Monarchia,
impegnata nella delicatissima questione della resa: un argomento che
trovò i capi dell'antifascismo sensibili, ben consapevoli che la fine
della guerra doveva avere la priorità assoluta.
Terrorizzato
dalle possibili rappresaglie tedesche Vittorio Emanuele III trascinò il
dialogo con gli alleati, nella speranza di chiudere in tutta sicurezza
il patteggiamento, dopo uno sbarco degli anglo - americani a Sud di
Roma.
Fermato
però lo sbarco ad Anzio da una forte resistenza dei tedeschi gli
Alleati (il cui fronte era fermo alla Linea Gustav) non riuscirono a
marciare immediatamente verso la Capitale.
Per
il governo Badoglio svanita la speranza di trovare uno scudo negli
alleati, fu firmato l'armistizio (dal generale Castellano, a Cassibile
in Sicilia, l'8 Settembre 1943).
In
preda al terrore delle rappresaglie da parte dei nazisti, il Re, la
famiglia reale, il Governo e lo Stato maggiore abbandonarono Roma in
gran fretta, per cercare rifugio a Brindisi, dove gli eserciti inglese e
americano disponevano del pieno controllo della situazione.
In
questa fuga indecorosa la Monarchia apparve dimentica del suo ruolo e
dei suoi doveri verso la Nazione, lasciata indifesa nelle mani dei
tedeschi, senza che l'esercito italiano ricevesse neppure
le istruzioni su come affrontare il nemico in casa .
Il
peso di questa viltà, sommato alle vecchie e più recenti complicità del
Sovrano con la dittatura fascista, cancellarono il merito del colpo di
Stato del 25 Luglio, facendo pendere il piatto della bilancia nettamente
a sfavore della continuità monarchica.
In
quel tragico momento furono, invece, i partiti antifascisti a farsi
carico dei destini del Paese, con l'appello alla lotta armata contro i
nazisti, che li legittimò come i protagonisti della Liberazione
nazionale.
Trasformato
il Comitato delle Opposizioni in Comitato di Liberazione Nazionale
(CLN) fin dal 9 settembre 1943 il giorno dopo l’annuncio
dell’armistizio, gli antifascisti si sforzarono di organizzare qualche
forma di difesa contro i nazisti, ormai padroni d'Italia.
Era
però troppo tardi: i pochi fuochi di Resistenza che si riuscirono ad
accendere, in quel momento in qualche città italiana (si pensi alla
difesa di Roma, tentata a Porta San Paolo: primo episodio di
partecipazione di civili volontari a eventi bellici), furono
immediatamente spenti dagli invasori, mentre l'esercito italiano,
abbandonato dai generali monarchici, si rese protagonista di un
drammatico sbandamento generale.
Ma
la sconfitta subita non significò rinuncia: segnò, anzi, l'inizio di
una lunga e sanguinosa fase di Resistenza, che dal settembre 1943 fino
all'aprile del 1945, divenne l'imperativo categorico e l'impegno
prioritario delle forze antifasciste, decise a battersi per
l'indipendenza dell'Italia e per la pace fino alla conclusione
vittoriosa del 25 aprile quando i partigiani liberarono finalmente le
grandi città del Nord.
La guerra si concluse il 7 maggio 1945 con la resa incondizionata dei nazisti.
Si
apriva così, per l’Italia, la strada alla stagione della Repubblica
scelta come forma dello stato con il voto popolare del 2 giugno 1946,
della Costituente, della Costituzione.
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