DEMOCRAZIA DIRETTA E CORPORATIVISMO
DEMOCRAZIA DIRETTA E CORPORATIVISMO
di Franco Astengo
L’intervento
svolto dal prof. Panebianco e pubblicato dal Corriere della Sera del 10
luglio sotto il titolo “ Il potere dello stato corporativo” va
segnalato all’attenzione di chi si sta misurando con l’analisi delle
trasformazioni imposte al sistema politico italiano dall’esito delle
elezioni del 4 marzo scorso e dalla formazione del governo Lega – M5S.
Ribadisco,
per introdurre il discorso, un dato già esaminato in altra sede e
relativo all’accettazione da parte delle due forze interessate delle
definizioni di “populista” e “antisistema”.
“Antisistema”
che nella visione in particolare del M5S, può essere tradotto nel
passaggio dalla democrazia rappresentativa, prevista dal nostro
ordinamento costituzionale, alla democrazia diretta.
Nel
suo intervento il prof. Panebianco sostiene che nelle democrazie
complesse l’alternativa alla democrazia rappresentativa non è la
democrazia diretta.
L’alternativa
(che lo stesso prof. Panebianco giudica comunque come “instabile”) è
invece, a suo giudizio, lo Stato Corporativo: lo Stato cioè dominato da
alcune (poche) potenti corporazioni.
Si
tratta, sempre secondo l’autore, di un’alternativa che cresce sulla
base di una debolezza della struttura dello Stato e delle sue forme
democratiche.
Un
pericolo quello del progressivo indebolimento della struttura dello
Stato, denunciato da tempo e snobbato non solo dai partiti ma anche
dagli stessi analisti che hanno sempre considerato - ad esempio –
l’abbassamento nel numero dei partecipanti al voto come un semplice
segnale di riallineamento del sistema italiano a quelli delle democrazie
mature (da ricordare sotto quest’aspetto giudizi espressi dal prof.
D’Alimonte, poi padre ispiratore dell’incostituzionale “Italikum”).
Un
sistema indebolitosi progressivamente perchè imperniato per decenni
sulla considerazione della governabilità quale fattore esaustivo
dell’agire politico.
In
questo modo si è così generata la reazione opposta: quella della
cosiddetta “democrazia diretta” (alimentata anche dall’illusione del
web) fino a sfociare –appunto – nel corporativismo.
Uno
Stato debole che, alla fine, resosi incapace di programmare e gestire i
grandi settori dell’economia e della produzione si riduce a cercare di
soddisfare gli appetiti di determinate categorie sociali al riguardo
delle quali agitare l’idea del consenso esercitata come “scambio
politico”.
Siamo
di fronte dunque alla possibilità concreta d’involuzione del sistema in
un quadro che prevede da un lato – come si è già più volte cercato di
ricordare - l’espressione di un “imperium” personalistico quale punto di
riferimento dell’azione politica e la risposta di tipo corporativo ai
bisogni espressi da segmenti della società complessa. Bisogni sempre più
spesso derivanti da “paure collettive” piuttosto che da esigenze reali.
Così
si formano i fenomeni più pericolosi di involuzione nel rapporto tra
società e politica che assumono la forma delle cosiddette “democrazie
illiberali”.
Nel
frattempo appaiono, all’interno di questo quadro, del tutto saltate le
intermediazioni possibili esprimibili ai diversi livelli in un quadro di
democrazia rappresentativa.
E’ il caso allora di soffermarci su tre questioni:
a) Il
corporativismo, in tempi moderni, si configura come l’elemento di
raccordo tra l’unità di un potere politico – statale considerato
trascendente (quindi incentrato su di un “dominus” individuale o
collettivo che sia) e il riconoscimento in esso, in forma totalitaria,
dei corpi organizzati attorno ad interessi, non soltanto riducibili alla
sfera prettamente economica o sociale. In questo senso la pluralità
delle corporazioni sostituisce la pluralità delle espressioni politiche;
b) Si
presenta, in questo senso, la possibilità di una vera e propria
“torsione” nei meccanismi di raccolta del consenso e di aggregazione
sociale (e di conseguenza della stessa possibilità di espressione di
voto). Una torsione realizzata proprio sulla base della costruzione di
soggetti rappresentativi delle diverse corporazioni praticando
l’obiettivo del” riconoscimento unico” nel potere dello Stato inteso
come demiurgo (si ricorda: “stato trascendente”, incarnato da un
“dominus” partito e /o persona che sia). Uno “stato trascendente” basato
sull’etica della superiorità di gruppo (in questo caso razziale) e
sulla capacità di elargizione diretta di incentivi di massa (verrebbero
in mente i “premi di natalità” del fascismo, ma anche gli 80 euro del PD
come omologhi del reddito di cittadinanza così come questo era stato
promesso in origine).
c) Tutto
questo dovrebbe avere riflessi anche sul piano della forma
istituzionale. Sotto quest’aspetto dal punto di vista storico andrebbe
analizzata con attenzione la fase preparatoria del plebiscito fascista
del 1929. Quel plebiscito che si svolse quando era ancora recente una
pur labile parvenza di pluralismo politico emerso dalle elezioni del
1924 (legge Acerbo). Andrebbe verificato come il lascito di quella
parvenza di pluralismo politico fosse stata incorporata dal Regime anche
dal punto di vista della formazione della “lista unica” sottoposta –
appunto –a Plebiscito (non tutto, infatti, era stato risolto dalle leggi
“fascistissime”).
In
conclusione: l’elemento di analisi sul quale concentrare la nostra
attenzione rimane quello della possibilità di saldatura tra M5S e Lega
in una sorta di “coalizione dominante” (terreno sul quale sta cercando
di muoversi il segretario della Lega, almeno a livello mediatico e
prendendo spunto dalla vicenda "migranti" assunta a contraddizione di
fase).
Se
questa prospettiva dovesse essere giudicata come potenzialmente
praticabile nella formazione di un vero e proprio “blocco” allora una
seria valutazione circa la trasformazione in senso autoritario /
corporativo del sistema dovrà pur essere compiuta anche perché la
“coalizione dominante” potrebbe essere tentata di trasformare la
prossima occasione elettorale proprio in un “plebiscito” (toccherà alle
Europee 2019 e in quell’occasione ci sarà anche l’aggancio
sovranazionale ai “sovranisti”). Da ricordare, sempre per cercare le
origini di questo stato di cose, come l’idea plebiscitaria abbia già
percorso la più recente vicenda del sistema politico italiano con il
referendum del 2016. Come andò a finire lo ricordano tutti.
I
risultati elettorali più recenti riguardanti le elezioni amministrative
indicherebbero l’ipotesi della saldatura della “coalizione
dominante”come molto problematica.
In
ogni caso l’analisi riguardante questa eventualità di formazione del
“blocco” (innervato dalle corporazioni e avendo alla testa il
riferimento filosofico dello stato “trascendente”) deve stare al centro
della riflessione che la sinistra ha l’obbligo di sviluppare per
costruire la propria soggettività e tornare a esprimere opposizione e
alternativa.
E’
sicuro che il tempo dell’alternanza sulla base del “bipolarismo
temperato”, del centrosinistra come del centrodestra si è concluso.
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