Lettera aperta a potere al popolo

riceviamo e pubblichiamo dalla Redazione pisana di LOtta Continua

Lettera aperta ai compagni di potere al popolo dopo l’assemblea popolare di Pontedera.

La nascita di una lista di sinistra come Potere al popolo per iniziativa dei compagni del centro sociale Je So Pazzo di Napoli è una delle poche iniziative degne di nota di una campagna elettorale che si presenta meno stimolante di un' intervista di Fabio Fazio.

Tuttavia le ottime premesse soggettive si scontrano con alcuni rischi oggettivi, come ovvio per chiunque decida di sporcarsi le mani attraverso la prassi politica. Di tali insidie, confermate dalle assemblee territoriali a cui abbiamo assistito, vorremmo parlare ai compagni di Potere al popolo, non come esercizio intellettuale fine a se stesso ma per stimolare una discussione che si possa tradurre in pratiche politiche.

Il primo rischio è quello di diventare le sentinelle in piedi della costituzione.

Nell’assemblea a cui abbiamo assistito la nostra carta è stata citata in ogni intervento. Nessuno vuole metterne in dubbio il valore, ma alcune domande ci vengono spontanee. Dove era la costituzione quando chiudevano le fabbriche? Dove era la costituzione quando il precariato diventava l’unico orizzonte esistenziale per vecchie e nuove generazioni? Dove era la costituzione quando a Genova la polizia ci massacrava? E dov'era quando, nonostante il Referendum del 4 dicembre 2016, sindacati e governo continuavano a smantellare la pubblica amministrazione con la Legge Del Rio? E dov'era quando precarizzavano le esistenze e delocalizzavano le produzioni o sfrattavano gli occupanti di casa?

Queste sono le domande che ci porrebbe un disoccupato, un proletario che vive nelle periferie abbandonate a se stesse, un giovane costretto ad emigrare per fare la il lavapiatti a Londra nonostante la laurea. Il rischio che corriamo è diventare dei corifei della Costituzione e di essere assimilati ai vari Benigni e Fazio, in grado solo di parlare a una sinistra radical chic e autoreferenziale. Il risultato del referendum dello scorso dicembre non è stato solo una dichiarazione di amore verso la Costituzione ma anche un rigurgito di odio verso un establishment (la famosa casta) schierata compatta per il sí.

Il secondo rischio è quello di farci rappresentare come la componente hipster della competizione elettorale. Abbiamo sentito la maggioranza degli interventi in assemblea vertere sui diritti civili, sull’importanza dell’associazionismo, su un antifascismo molto “democratico” e di palazzo. Sono temi sacrosanti ma se non li leghiamo all'esigibilità dei diritti sociali rischiamo ancora una volta l’autoreferenzialità.

Non basta allargare la sfera dei diritti individuali, bisogna pretendere cure ospedaliere gratuite, un'istruzione pubblica all’altezza, un lavoro che non sia servitù. Altrimenti rischiamo di essere percepiti come un stampella “folcloristica” del partito democratico, che mentre metteva in ginocchio l’Italia del lavoro poteva brandire le unioni civili come risultato storico. Si è trattato, invece, di una strumentalizzazione politica di temi “sensibili” al calcolo elettorale (basti pensare alla differenza tra i nuovi diritti riconosciuti alla Unioni Civili rispetto a quelli, ancora calpestati, per le Coppie di fatto) Temi giustamente sentiti da tutti come improrogabili, quanto meno per riscattare il nostro paese dal ritardo che gli deriva dalla subalternità all’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche. Tuttavia, se privi di un battaglia per la democrazia sostanziale e per i diritti sociali, si rivelano solo un paravento per il neo liberismo.

Per essere “popolari” occorre, come a Je so Pazzo sanno bene, stare nelle strade, ascoltare il rancore degli ultimi e attuare pratiche di lotta alla sopraffazione e alla povertà. Il rischio dell’elettoralismo è quello di attivare dinamiche e derive partitiche non facili da gestire. Per questo le nostre osservazioni vogliono innestarsi in un processo di costruzione di percorsi conflittuali ed anticapitalisti che non nascano in funzione esclusivamente elettorale.

Non si tratta di strappare un buon risultato alle elezioni politiche ma di creare un soggetto collettivo in grado in futuro di sovvertire l’esistente. Quindi usciamo dalla mera contrapposizione tra i fautori della presenza elettorale (spesso chi negli anni ha dilapidato consensi con scellerate politiche di subalternità alla sinistra liberista) e quanti invece vedono le elezioni come male assoluto, ma iniziamo ad affrontare i nodi salienti e le questioni reali, cosa che in Valdera non abbiamo ancora visto.

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