Il comportamento prosociale contro ogni razzismo
Il comportamento prosociale contro ogni razzismo
di Laura Tussi
Gli studi sul comportamento prosociale comprendono
ricerche sull’altruismo, sul comportamento d’aiuto, di cooperazione e di riguardo verso gli altri; tutti
comportamenti intesi come azioni volte al fine di proteggere, favorire o
mantenere il benessere di un determinato soggetto sociale.
Implicito in tale descrizione è un ulteriore uso del termine “prosociale”
inteso come capacità cognitiva nei confronti dell’altro: tendenza, cioè, a
percepire i bisogni dell’altro, ad assumerne le prospettive, a viverne le
emozioni e a reagire emotivamente in congruenza con la situazione.
La categoria “prosociale” può quindi essere applicata non soltanto a
comportamenti singoli, ma anche a forme stabili di relazione nel contesto sociale.
E’ apparso subito chiaro agli studiosi che hanno
tentato in tempi recenti dei lavori di sintesi sui molti contributi della
letteratura in proposito, che con il termine “prosociale” si coprono
praticamente tutti i comportamenti che non siano di antagonismo, o di
danneggiamento, aggressivi o distruttivi addirittura.
E’ alla luce di questa considerazione che Staub preferisce chiamare il
comportamento prosociale: comportamento sociale positivo. Inoltre la
vastità del campo di studio rende praticamente impossibile trovare delle
variabili che non siano, più o meno direttamente correlate al fenomeno
prosociale. Come osserva Reykowski, il comportamento prosociale, in quanto
forma di comportamento sociale, è controllato da un complesso sistema
regolatore nel quale l’intervento di qualsiasi fattore che possa mutare lo
stato del sistema può influenzare le sue funzioni regolatrici, compreso,
quindi, il comportamento prosociale (Reykowski, 1982).
L’insegnamento delle tecniche mediative, in forma
prettamente esperienziale, contribuisce al generarsi di una cultura della
mediazione che possa intendersi come spazio per comprendere le ragioni
dell’altro e mettersi nei panni dell’altro in termini cognitivi ed
emotivi.
Il comportamento prosociale può essere sollecitato da fattori interni e in
particolare dall’empatia come elemento motivante. L’empatia ha un ruolo
centrale nel comportamento prosociale in quanto precursore e segnale della
capacità di percepire e sentire i bisogni e le esigenze altrui.
L’empatia come “capacità di sintonizzarsi
cognitivamente ed emotivamente (con la mente e con il cuore) con gli altri”,
con ciò che stanno vivendo, favorisce la conoscenza dell’altro e la buona
qualità della relazione di aiuto.
Numerose ricerche hanno trovato proprio nell’empatia uno dei fattori
motivazionali più importanti del comportamento prosociale.
Batson sostiene che sussiste uno stretto collegamento
tra empatia e altruismo.
Evitare l’empatia porta al disinteresse per i bisogni degli altri. Esiste
un’empatia centrata sull’altro e un’empatia focalizzata su se stessi. Si
richiede uno sviluppo notevole della propria capacità cognitiva ed un esame
accurato di quella persona in difficoltà che rifiuta l’aiuto, perché lo
considera come una minaccia alla propria autostima, specie quando non è
nella possibilità di ricambiare, può vedere l’aiuto come un segno di
inferiorità dentro un rapporto che crea e mantiene dipendenza, da qualcuno definito
“prosociale” o anche comportamento di aiuto. Due studiosi, Latané e Darley,
descrivono il comportamento di aiuto come un processo che comporta alcuni
passaggi fondamentali: notare una persona, un evento, o una situazione che
possono richiedere aiuto; interpretare il bisogno; assumersi le responsabilità
di agire; decidere la forma di assistenza da offrire e il tipo di implicazione
personale; realizzare l’azione.
Uno dei principali fattori di sviluppo della
psicosocialità è l’esperienza di una sicurezza affettiva, la presenza di
modelli positivi (di amore altruistico) con i quali, già da bambini, ci si
possa gradualmente identificare. Nell’aiutare il prossimo, si ricevono
dei benefici a livello oltre che morale e/o materiale, anche fisico.
L’importanza della reciprocità nelle relazioni
altruistiche è notevole.
La professionalità del terapeuta consiste anche nel ricordare che lo scopo
dell’empatia è comprendere il paziente per poterlo aiutare. Ralph Greenson
afferma: "Essenziale per lo sviluppo della capacità ottimale di provare
empatia, pare la capacità del terapeuta di essere allo stesso tempo distaccato
e coinvolto, osservatore e partecipe, oggettivo e soggettivo nei confronti del
paziente. Soprattutto il terapeuta deve consentire che avvengano oscillazioni e
passaggi tra questi due tipi di posizioni. Freud descrisse l’attenzione
sospesa, liberamente fluttuante, che si richiede all’analista".
Secondo Hoffman l’empatia è intesa come un’attivazione affettiva o una
risposta affettiva vicaria più appropriata di un’altra alla situazione
dell’altro. Secondo Eisenberg l’empatia viene definita come percezione del
bisogno dell’altro che implica comprensione e simpatia. Essa si
differenzia da altri tipi di emozione. Il contagio emotivo, frequente nei
bambini, consiste nel sentire la stessa emozione dell’altro e nel rifletterla;
non è una risposta cognitiva e può presentarsi in bambini molto piccoli che non
differenziano chiaramente tra il proprio e altrui disagio.
La simpatia o comprensione dei sentimenti
altrui: quando si risponde all’emozione altrui con un’emozione che non è
identica ma congrua: è una preoccupazione simpatetica orientata verso l’altro,
che potrebbe motivare l’azione altruistica.
Preoccupazione personale: questo è un sentimento negativo, che nasce
in risposta al disagio altrui.
Hoffman si distanzia dalla tesi psicoanalitica classica che vede
l’altruismo come una forma di egoismo, ma sottolinea la natura impulsiva e
istintiva delle risposte altruistiche, che emergono indipendentemente dal
perseguimento di scopi egoistici e sono sostenute da emozioni e sentimenti
empatici. Con il progredire dell’età, le risposte empatiche si arricchiscono di
altri significati, oltre a riconoscere le emozioni e a reagirvi
istintivamente: sul piano dello sviluppo cognitivo identificare e comprendere
il significato delle emozioni altrui costituisce un’abilità complessa e discriminativa, che implica il superamento dell’egocentrismo.
Solo se i soggetti sono in grado di differenziare il
proprio stato emotivo da quello di un altro, possono sviluppare sentimenti di
compassione e compartecipazione emotiva, capaci di sollecitare tentativi di
aiuto adeguati ad alleviare lo stato di bisogno altrui.
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