Le due attiviste italiane alla conferenza contro le armi nucleari
Le due attiviste italiane alla
conferenza contro le armi nucleari: la politica non ostacoli il disarmo
Intervista a Paola Paesano e Gisella Turtula
di Laura Tussi
Le
due attiviste Paola Paesano e Gisella Turtula hanno partecipato alla conferenza
del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari che si è tenuta a New York a
inizio marzo. Con loro abbiamo parlato di riarmo, tema cruciale in un momento
in cui anche l’Unione Europea ha rilanciato la corsa agli armamenti.
Come
ogni anno, il palazzo delle Nazioni Unite di New York ha ospitato l’incontro fra i paesi aderenti al TPAN, il Trattato
di Proibizione delle Armi Nucleari, tenutosi nella metropoli americana dal 3 al
7 marzo scorsi.
Anche
l’associazione Costituente Terra, presieduta da Luigi Ferrajoli, ha
partecipato a quella che può essere considerata la più grande manifestazione
della diplomazia globale per la pace, portando a conoscenza degli Stati Parte
del TPNW - erano presenti 86 Paesi, 163 organizzazioni della società civile e 9
organizzazioni internazionali - il suo progetto di un costituzionalismo
globale.
Ora due importanti
attiviste di pace Paola
Paesano e Gisella Turtula racconteranno questo fondamentale e
rivoluzionario evento universale più da vicino, avendo partecipato direttamente
ai lavori di New York.
Il processo di disarmo nucleare totale, per
quanto a lungo termine sia, deve ricercare i presupposti per un suo realistico avanzamento,
richiedendo la partecipazione degli stati nucleari per l’inverarsi del trattato
stesso.
In
questa prospettiva il documento congiunto di Costituente Terra e Disarmisti
Esigenti prova a individuare le vie per passare dalla proibizione alla
eliminazione effettiva delle armi nucleari. Puoi elencarle, Paola?
Occorre essere realisti.
Non esistono soluzioni, se non a lungo termine, scongiurando l’olocausto
nucleare, in grado di liberare la Terra da 13.000 testate nucleari, per giunta
in un momento in cui l’Europa torna ad affermare la necessità di aumentare la
sua “deterrenza nucleare”. Le soluzioni risiedono nella politica, nella
diplomazia, nella sensibilizzazione culturale. Si tratta di
uscire dalla logica amico/nemico di schmittiana memoria, alla base
dell’ideologia nazista dello stato. Per cui una riproposizione degli accordi di
Helsinki del 1975, configurabili in una Helsinki II, riaprirebbero il dialogo con la Russia e allontanerebbero il rischio di
una guerra estesa ai paesi baltici a minoranza russa e bielorussa. In questa
direzione merita grande attenzione e supporto la proposta di Olga Karatch, di “Our House”, di
lottare per la creazione di una zona demilitarizzata nell’area che interessa il
confine tra Russia, paesi Baltici, Bielorussia, Polonia e Ucraina. Così come
merita di essere integrata in un documento strategico comune anche la richiesta
di “Mondo senza guerre e senza violenza”, di fare del golfo di Trieste un’area
libera da armi nucleari sulla base del Trattato di pace con l'Italia del 1947 e
della risoluzione 16 del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite che aveva istituito il Territorio libero di
Trieste quale stato disarmato e neutrale. Un altro punto in grado di portare le
potenze nucleari a meditare sul Trattato (TPAN) potrebbe essere l’adozione del
No first use, una misura prudenziale di
un patto di non primo uso e di de-allertizzazione delle testate condiviso dalle
potenze nucleari.
L'eliminazione
totale delle armi nucleari, nella migliore delle ipotesi, senza dover passare
per l’olocausto nucleare, può ottenersi solo in un processo a lungo termine?
Questa necessaria
gradualità non significa sottrarre radicalità al TPAN, così come il TPAN, a sua
volta, non diminuisce la forza del piano per un disarmo totale e per
l'eliminazione delle guerre, che è la vera ragione d’essere delle Nazioni Unite
e che, nel progetto della Costituzione della Terra trova
espressione negli articoli 52: con il divieto di produzione di commercio e di
detenzione dei beni micidiali; nell’art. 53: con la messa al bando delle armi e
il monopolio pubblico della forza; nell’art. 77: con il superamento degli
eserciti nazionali. Si tratta della terza e più radicale via che abbiamo
indicato nel working paper allegato agli atti della Conferenza ONU e la cui
sostanza ha precedenti storici, come del resto la proposta di una Helsinki
II sulla base della quale si era
arrivati a negoziare l’ingresso della Russia nell’alleanza atlantica. Il
precedente è in una dichiarazione del presidente degli Stati Uniti Kennedy
pronunciata nella sede delle Nazioni Unite dopo l'assassinio del Segretario
Generale dell’ONU Dag Hammarskjöld, in cui prospettava «un disarmo generale e
completo … fino ad abolire tutti gli eserciti e tutte le armi, tranne quelle
necessarie per l'ordine interno e una nuova Forza di Pace delle Nazioni Unite».
Al
meeting degli stati parte, senz’altro il raduno istituzionale di maggior
respiro delle istanze pacifiste globali, con la presenza dolente degli
hibakusha e delle vittime sopravvissute ai test nucleari, si risente in qualche
modo dell’energia proveniente dalla “seconda potenza mondiale”, come il “New
York Times” ebbe a definire il movimento pacifista. Ovvero?
Considerata la
normalizzazione del clima bellico, la dichiarata ricerca di un’economia di
guerra per dare incremento alla produttività industriale europea,
- con
somme sottratte alla sanità, alla scuola, all’università, ai servizi sociali -
non possiamo che affidarci al risveglio, se mai avverrà, di questa “seconda
potenza mondiale”, dal basso e a partecipazione globale, se non altro come
contro-narrazione della sempre più armata propaganda bellicista e della
militarizzazione della cultura e delle coscienze. Una militarizzazione delle
coscienze e un estetismo guerriero che abbiamo visto in azione finanche nella
piazza per l’Europa del 15 marzo cui si sono accodate perfino formazioni
tradizionalmente rispettose della carta costituzionale.
Va
detto qualcosa anche a proposito di almeno un paio di proteste svoltesi durante
la settimana di svolgimento della Conferenza, non all’interno, ma davanti al
Palazzo di Vetro.
Sì. Una, il 5 marzo, da
parte dei manifestanti della War Resisters League, quasi tutti arrestati
mentre, bloccando il traffico, concludevano la loro marcia sulla First Avenue.
L’altra, il giorno dopo, condotta da un gruppo di giovani ebrei ortodossi
compostamente in fila sul marciapiede mentre esibivano cartelli di dissenso nei
confronti dello stato di Israele (che non riconoscono), e di obiezione di
coscienza rispetto al reclutamento nell’esercito da loro definito “sionista”.
Gisella
Turtula cosa hai provato e notato entrando nella sede Onu di New York?
Entrando al Palazzo di
Vetro delle Nazioni Unite a New York, la prima figura che cattura lo sguardo di
chi varca le sue soglie è quella di Nelson Mandela, immortalato con le mani
alzate in un gesto di vittoria e speranza. Un simbolo potente, che evoca la
lotta per la libertà e la pace, lontano
da conflitti e oppressioni. Un gesto che
in maniera del tutto casuale ci ha connesso alla performance che il Comitato
Pagoda per la Pace di Comiso aveva programmato per il side event del 2 [in realtà il 3] Marzo all’Onu,
dove l’alzarsi delle mani è stato il nostro modo di esprimere un arrendevole
gesto d'amore, per edificare e nutrire il nostro pensiero di pace, con
l'auspicio di un futuro in cui non ci siano più guerre, ma solo dialogo.
La
tua partecipazione alla conferenza del Trattato di Proibizione delle Armi
Nucleari (TPNW) a New York ha rappresentato un momento significativo, non solo
per la sua valenza istituzionale, ma anche per la riflessione che porta sul
futuro delle politiche di sicurezza internazionale.
Cosa puoi dirci ancora?
Come cittadina e
professionista, che negli anni '80 ha vissuto in prima persona le marce
pacifiste a Comiso contro l’installazione dei missili nucleari, oggi ritengo
che il Trattato sia fondamentale verso la costruzione di un mondo senza armi
nucleari, un obiettivo che, sebbene lontano, resta imprescindibile per
garantire l’impegno per il disarmo.
Nel
1987, l'accordo fra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov aveva rappresentato un
simbolo di speranza e una concreta apertura al disarmo. E adesso?
Tuttavia, guardando alla
realtà geopolitica contemporanea, è difficile non constatare come i progressi
in questa direzione siano oggi ostacolati da politiche che sembrano andare in
direzione opposta. La recente proposta della Presidente della Commissione
Europea, Ursula von der Leyen, di potenziare la spesa per la difesa e il riarmo
europeo, solleva interrogativi sulla coerenza di tale approccio con gli impegni
presi a livello internazionale in materia di disarmo.
Se la sicurezza si riduce
all'accumulo di armi, il rischio di conflitti devastanti cresce
esponenzialmente, portando con sé un costo in vite umane che abbiamo
tristemente visto in tutta la sua tragicità, assistendo ad una sorta di
paralisi delle politiche internazionali.
La
pace che vogliamo realizzare non è statica, ma un processo continuo, un impegno
quotidiano che deve coinvolgere tutti: dai governi alle organizzazioni
internazionali, dalla società civile ai singoli individui. Come vivi da professionista questa
esperienza?
Come psicologa e membro
del Comitato Pagoda per la Pace, credo che l’impegno per la pace non debba
limitarsi a parole o gesti simbolici, ma debba tradursi in azioni concrete, che
implichino ogni individuo, ogni comunità e ogni nazione. Questo impegno si fonde
profondamente con la mia attività professionale a tutela del benessere dei
minori. Ogni giorno continuo a 'studiare le istruzioni per la rivoluzione,
laddove il futuro è svanito prima di iniziare', parafrasando la canzone di Luca
Loizzi, 'I miei migliori anni'.
Anche su Italia che
cambia
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