Trump annuncia la nuova ondata di dazi Aumenta il rischio recessione negli Usa e di rallentamento della crescita mondiale
Trump annuncia la nuova ondata di dazi
Aumenta il rischio recessione negli Usa e di rallentamento della crescita mondiale
Nell'atteso discorso del 2 aprile, Donald Trump dalla Casa Bianca ha annunciato l'elenco degli stati che verranno sottoposti alla nuova ondata di dazi dopo quelli già precedentemente introdotti ai danni dei prodotti importati da Messico e Canada nella misura del 25% e del 20% per quelli cinesi.
In questo caso si tratta di tariffe differenziate non solo per stato di provenienza delle merci, ma anche per comparto produttivo con aliquote del 10%, 15% e 20%, con l'automotive che subirà la maggior penalizzazione col 25%.
Per quanto riguarda le tariffe applicate ai singoli paesi, oltre a quella generalizzata del 10% che colpirà indistintamente tutti i partner commerciali, compreso il Regno Unito nonostante abbia un saldo commerciale passivo con Washington, la scure trumpiana si è abbattuta in modo più gravoso su Cambogia (49%), Vietnam (46%), Thailandia (36%), Cina (34%), Taiwan e Indonesia (32%), Svizzera (31%), India (26%), Sud Corea (25%), Giappone (24%) e l'Unione europea (20%). Nessuno si è salvato, nemmeno gli alleati geopolitici più stretti. Le nuove misure entreranno in vigore il 5 e il 9 aprile.
Peraltro, poco prima, il Dipartimento del commercio Usa aveva comunicato l'introduzione di dazi del 25% sull'import di birra e sulle lattine di alluminio a partire dal 5 aprile.
I principali mercati finanziari mondiali hanno subito un immediato contraccolpo a causa del crescente clima di incertezza provocato dall'annuncio, la cui portata è andata oltre le previsioni.
Nel suo discorso Trump ha dichiarato che "Questo è il giorno in cui l'industria Usa rinasce, in cui si comincia a rendere di nuovo ricca l'America dopo che per decenni Paesi sia amici che nemici hanno derubato gli Stati Uniti, rubando posti di lavoro e fabbriche", concludendo che questa 'E' una nuova dichiarazione di indipendenza economica".
In realtà, secondo gli esperti, le nuove tariffe impatteranno negativamente sulla crescita Usa, e degli altri paesi, e potrebbero innescare un rialzo dell'inflazione, costringendo la Fed a mantenere fermo il tasso di riferimento all'attuale 4,5% con conseguenze negative sull'esborso statale per gli interessi sui titoli di stato Usa che già oggi sfiorano i 1.000 miliardi di $ annui.
Inoltre, l'affermazione di Trump relativa al furto dei posti di lavoro e di fabbriche da parte degli altri paesi risulta ampiamente priva di fondamento in quanto la globalizzazione neoliberista è stato fenomeno a trazione statunitense a beneficio delle proprie multinazionali. Le quali hanno tratto enormi profitti negli ultimi decenni dal processo di delocalizzazione delle proprie filiali produttive verso paesi con inferiore costo della manodopera, per poi rivendere i prodotti finiti agli stessi prezzi nei mercati delle economie sviluppate.
In particolare, tale strategia è stata utilizzata a piene mani dalle multinazionali Usa dell'automotive, comparto nel quale, secondo il sindacato United Auto Workers (UAW), l'occupazione ha accusato una perdita netta di 350.000 posti di lavoro (1/3 degli occupati del comparto) solo negli ultimi 20 anni e una sensibile moderazione salariale sotto il ricatto della delocalizzazione estera.
Il provvedimento di Trump potrebbe rivelarsi evanescente per la reindustrializzazione a cui sostiene di mirare poiché i tempi di trasferimento degli impianti produttivi negli Usa comportano quantomeno tempi medi e ingenti investimenti di capitale.
Anticipando i tempi, pochi giorni prima, la sudcoreana Hyundai, ha annunciato un piano di investimenti da 21 miliardi negli Usa, dei quali circa 6 miliardi saranno destinati alla realizzazione di un nuovo impianto siderurgico da 3 miliardi di tonnellate annue di acciaio che sarà utilizzato per la produzione di auto del proprio marchio negli States, aggirando i dazi, e con una ricaduta occupazionale prevista di 14.000 posti di lavoro, che ovviamente saranno persi altrove.
Maggior preoccupazione serpeggia indubbiamente in Germania dove la crisi economica, con un biennio di recessione, e industriale, con 20 mesi consecutivi di contrazione della produzione, è particolarmente grave e la dipendenza dal mercato Usa per l'export automobilistico è marcata. Infatti, nel 2024, in piena crisi industriale e in particolare dell'automotive, Berlino ha esportato negli Usa quasi 450.000 auto corrispondenti ad un controvalore di 25 miliardi di $.
In conclusione, i provvedimenti di Trump, da una lato, rischiano di trasformarsi in un boomerang per la stessa economia statunitense che potrebbe soffrire di un rialzo dell'inflazione, di un rallentamento economico, con rischio recessione stimato per il 2025 da Goldman Sachs[1] nell'ordine del 35%, e del mantenimento del tasso di riferimento su valori elevati, mentre, dall'altro, l'avanzante protezionismo, anche a causa delle misure di risposta che inevitabilmente adotteranno la maggior parte dei paesi colpiti, fornirà indubbiamente un'ulteriore spinta al processo di deglobalizzazione[2] già peraltro in atto da una decina d'anni, con conseguente riduzione della crescita degli scambi commerciali e dell'economia mondiale (grafico 1).
Grafico 1: Tasso di variazione annua del commercio mondiale di beni (istogramma blu)
Tasso di variazione annua dell’economia mondiale (istogramma verde) fra 2018-2023 con previsioni 2024.
Le previsioni per il 2025 saranno sicuramente riviste al ribasso. Fonte: Wto
Andrea Vento
3 aprile 2025
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati - Giga
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