La complessità della Globalizzazione
La complessità della Globalizzazione
di Laura Tussi
Nel lessico di fine millennio si fa strada questa
domanda nuova che, a causa degli abusi quotidiani, rischia di risuonare senza
un preciso significato: come si coglie la reale complessità della globalizzazione e come ci si
misura con le sue sfide?
Si evidenziano gli errori di un globalismo semplificato e si rivendica
anche una “politica della globalizzazione” capace di rispondere a emergenze
ambientali e sociali non più governabili a livello nazionale: i rischi della
globalizzazione possono mobilitare nuove energie, favorendo la nascita di una
“seconda modernità”.
Contribuenti virtuali
Uno degli aspetti della globalizzazione è la tendenza
a collocare il politico al di fuori dello Stato-Nazione.
Le imprese e le loro associazioni hanno conquistato il potere d’azione,
finora addomesticato con la politica dello Stato sociale del capitalismo. Con
la globalizzazione, le imprese sono arrivate a detenere un ruolo chiave non
solo nell’organizzazione dell’economia, ma anche in quella della società nel
suo complesso. L’economia che agisce in maniera globale sgretola i fondamenti
degli Stati-Nazione e della loro economia nazionale. Il potere delle imprese internazionali si fonda sulla
possibilità di esportare i posti di lavoro dove ciò è più conveniente. Le
imprese possono dividere prodotti e servizi e distribuire il lavoro in posti
diversi, servendosi di Stati-Nazionali piuttosto che di altri, così da trovare
le più convenienti condizioni fiscali. Le stesse possono distinguere
autonomamente tra luoghi di investimento, di produzione, sede fiscale e
servirsene l’uno contro l’altro. Tutto ciò avviene senza un dibattito in
parlamento, senza una decisione governativa o mutamenti legislativi: da qui il
concetto di sub-politica. Quello dell’imposizione fiscale, il principio
dell’autorità dello Stato-Nazione è esplicativo di come le imprese
internazionali minino l’autorità statale, potendo permettersi di fuggire alle
imposizioni fiscali, pagandole, tramite gli scorpori, dove più conviene loro: i
capitalisti sono contribuenti virtuali.
Globalismo, globalità e globalizzazione
Con il termine globalismo è indicato il punto di vista secondo cui il
mercato mondiale sostituisce l’azione politica, che riduce la
multidimensionalità della globalizzazione ed i suoi aspetti ecologici, sociali, culturali
ad una sola dimensione, quella economica. Non si vuole negare
o ridurre il significato centrale della globalizzazione economica, ma con il
termine globalismo si sottolinea l’eliminazione della differenza, fondamentale
nella prima modernità, tra politica ed economia. Il globalismo ritiene che uno
Stato proceda diretto come un’azienda. Interessante come il globalismo, così
inteso, finisca con l’attrarre anche i suoi avversari dando vita ad un
globalismo che si opponga, convinto comunque del dominio non eliminabile del
mercato mondiale che si rifugia nelle diverse forme di protezionismo. I
protezionisti neri piangono la perdita del significato di nazione, ma
sollecitano, contraddicendosi, la distruzione neoliberale dello Stato-Nazione.
I protezionisti verdi scoprono lo Stato-Nazione come difensore dell’ambiente. I
protezionisti rossi rispolverano la lotta di classe e la globalizzazione serve
per ribadire le loro ragioni.
Da tempo viviamo in una società mondiale, dove nessun
paese, nessun gruppo può isolarsi dall’altro. Per società mondiale si intende
l’insieme dei rapporti sociali che non sono integrati nella politica dello
Stato-Nazione.
La globalizzazione è intesa come il processo in seguito al quale gli Stati
nazionali e le loro sovranità vengono condizionati da attori transnazionali.
Una differenza essenziale tra la prima e la seconda modernità è la
irreversibilità della globalità e, a tal proposito, solo acquistando la
prospettiva della multidimensionalità della globalità si smentisce che il
globalismo sia nella natura delle cose; le diverse logiche particolari della
globalizzazione ecologica, culturale, politica, devono essere decifrate e
comprese nelle loro interdipendenze. La globalità risulta irreversibile per
varie ragioni come la crescente interazione del commercio internazionale, le
connessioni globali dei mercati finanziari, la crescita delle imprese
transnazionali, la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, le rivendicazioni dei diritti umani che si impongono
universalmente, i flussi di immagine dell’industria culturale globale, gli
attori transnazionali sempre più potenti, accanto ai governi, la povertà
globale, la distruzione globale dell’ambiente, i conflitti transculturali
locali.
Come un container, lo Stato simula un’unità territoriale in cui le
categorie dell’auto-osservazione statale divengono le categorie delle scienze
sociali empiriche, così che le decisioni sociologiche della realtà finiscono
per confermare la descrizione che lo Stato attribuisce a se stesso. In base a
questa teoria le società presuppongono il dominio statale dello spazio, per cui
le società sono subordinate allo Stato; la politica non risulta collegata alla
società, ma allo Stato; l’omogeneità interna delle società è una creazione del
controllo statale.
Wallerstein individua il motore della globalizzazione
nel capitalismo, sostituendo l’immagine di singola società separata con
l’immagine di un sistema-mondo nel quale tutti devono collocarsi e affermarsi
in una divisione del lavoro.
L’economia mondiale capitalistica consiste in un unico mercato dominato dal
principio della massimizzazione del profitto, dalla presenza di strutture
statali (che tendono a incrementare i guadagni di gruppi particolari) e
dall’appropriazione del plus-lavoro in virtù di uno sfruttamento che comprende
tre livelli: spazi centrali, semiperiferie e paesi periferici. Nel
sistema-mondo pensato da Wallerstein si acuiscono i conflitti perché crescono
le diseguaglianze.
Anche Rosenau rompe con il pensiero nazional-statale,
ma non si avvicina al concetto di sistema-mondo, bensì distingue due fasi della
politica internazionale e individua la globalizzazione come il superamento
della politica internazionale.
Adesso è cominciata la politica postinternazionale nella quale gli Stati
devono dividersi il potere con organizzazioni internazionali, gruppi
industriali, nonché con movimenti politici trans-nazionali. Con Rosenau si
può parlare di politica mondiale policentrica nella quale tutti gli attori (il
capitale, i governi, la Banca Mondiale) lottano gli uni contro gli altri per
imporre i propri interessi. Nel quadro di questa politica mondiale policentrica
si distinguono le organizzazioni transnazionali che
agiscono in collaborazione o scontrandosi, i problemi transnazionali (clima,
AIDS, denutrizione) che determinano l’ordine politico attuale, gli eventi transnazionali (mondiali di calcio, guerra
nel Golfo, in Iraq, in Siria eccetera) che provocano turbolenze nei diversi
continenti e le comunità transnazionali, basate
sulla religione, sul sapere, sugli orientamenti politici.
Lo sviluppo del mercato mondiale ha profonde
conseguenze sulle culture e sugli stili di vita.
Questa globalizzazione culturale consiste nella fabbricazione di simboli
culturali e in una loro sempre più estesa convergenza: sembra sorgere un unico
mondo di merci nel quale gli unici simboli sono quelli del capitalismo e del
consumismo. Il locale e il globale non si escludono, al contrario il locale
deve essere appreso come un aspetto del globale. Globalizzazione significa
anche unirsi, l’incontrarsi di culture locali e perciò Robertson propone il
termine glocalizzazione. Secondo Smith il concetto di “nazionalismo
metodologico” ben caratterizza il modo di intendere la società e lo Stato nella
prima modernità: essi vengono pensati, organizzati, vissuti come
sovrapponibili. Lo Stato territoriale diviene il container della società.
Queste società nazional-statali conservano nella vita quotidiana identità
fondamentali, la cui ovvietà sembra formarsi su formulazioni tautologiche di
normale disordine mondiale, viene recepito in questo orizzonte come una vera
minaccia. Questa architettura di pensiero degli spazi e delle identità
nazionali si infrange contro la spinta della globalizzazione economica,
culturale nel rapporto fra la prima e la seconda modernità in cui non abbiamo
più un’etica che detta le regole, ma che le muta; una politica caratterizzata
dalla nuova disputa del potere fra attori nazionali e attori
transnazionali. Uno degli aspetti interessanti di questa seconda modernità
è il modello coalizzativo di politica diretta globale, che porta a formare
alleanze tra coloro che normalmente erano opposti.
I gruppi industriali mondiali e i governi nazionali sono sottoposti
all’opinione pubblica mondiale e il cittadino scopre che l’atto d’acquisto può
essere un atto politico.
La globalizzazione biografica
La poligamia di luogo porta a essere legati a più luoghi che appartengono a
mondi diversi; questa sorta di globalizzazione biografica significa che i
contrasti del mondo non hanno luogo solo là fuori, ma al centro della nostra
vita, in famiglie multiculturali, in azienda o nella cerchia degli
amici. Il passaggio dalla prima alla seconda modernità è segnato anche da
questo passaggio dalla monogamia alla poligamia di luogo.
Viviamo in una società mondiale multidimensionale
nella quale non vi è però uno Stato mondiale e un governo mondiale e dove è
sorto un capitalismo globale disorganizzato.
Il globalismo ha prodotto vari errori quali la metafisica del mercato mondiale, ossia la riduzione
della complessità del fenomeno alla sola dimensione economica ridotta a società
mondiale del mercato.
Il libero mercato mondiale, a cui il globalismo leva
un inno, sostiene che l’economia globalizzata porterà benessere a tutti. Si
trascura intenzionalmente il fatto che viviamo lontano da un modello di libero
mercato: affermare che il mercato mondiale rafforza la competizione e
comporta un abbassamento dei costi è una affermazione cinica la quale non tiene
conto che l’abbassamento dei costi viene ottenuto tramite l’abbassamento degli
standard di produzione e di lavoro umano.
Con l’internazionalizzazione e la non globalizzazione si
può notare un rafforzamento dei rapporti commerciali transnazionali fra
determinate regioni del mondo, America, Asia, Europa, per cui più che di
globalizzazione si può parlare di triadizzazione dell’economia.
Il globalismo trae il suo potere solo in piccola parte dal suo effettivo
verificarsi e perlopiù dalla messa in scena della minaccia, ciò da cui le
imprese transnazionali traggono il loro potere è una specie di società del
rischio. Il globalismo neoliberale è una manifestazione politica che però si
esprime in modo impolitico, non si agisce, ma si ubbidisce alle leggi del
mercato mondiale.
La globalizzazione economica non è un meccanismo, non è qualcosa che va da
sé, ma è un progetto politico di attori, istituzioni, coalizioni
transnazionali. I più credono che se alla società dei consumi viene a
mancare il lavoro salariato, si ha una catastrofe. D’altronde la sostituzione
della forza-lavoro con la produzione totalmente automatica, compiuta nel modo
giusto, potrebbe offrire possibilità finora inimmaginabili: esse però devono
essere colte e realizzate politicamente. Il globalismo neoliberale però
diffonde paura e paralizza politicamente, per cui se non si può far nulla
allora almeno bisogna proteggersi, con reazioni protezionistiche.
Le risposte alla globalizzazione possono essere
la cooperazione internazionale, lo stato transnazionale, il
riorientamento della politica della formazione, e l’alleanza per il lavoro
d’impegno civile.
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