Austerità: un dogma da confutare
Confutare il dogma della produttività
Politica dei sacrifici, scelte per il bene del paese,
austerità sono ormai frasi fatte per imporre scelte economiche improntate a
tagli salariali e alle spese sociali.
Ha
ragioni da vendere Clara E. Mattei nel sostenere come la crescita
economia sia costruita sui bassi salari per imporre regole e ordine del
Capitale.
E questo ordine
diventando dogma assoluto necessita volta per volta di rivedere le proprie
politiche per occultare le contraddizioni intrinseche al modo di produzione
capitalistico allontanando al contempo ogni critica radicale allo stesso e
soluzioni antagoniste o alternative.
Le
politiche di austerità e di contenimento del debito per anni
sono state funzionali alla riduzione della spesa pubblica e ai processi di
privatizzazione, con l'arrivo della crisi pandemica e poi di quella economica
sono stati parzialmente rivisti i parametri economici relativi al rapporto tra
Pil e spesa pubblica, il dogma della crescita si è legato ai processi di
ristrutturazione da raggiungere con i fondi PNRR.
L'austerità
fiscale non vale comunque per tutti, ad esempio la tassa piatta per
gli autonomi rappresenta una scelta politica del Governo Meloni come anche la
irrisoria, al cospetto di altri paesi capitalistici, tassazione per le
successioni applicata ai grandi patrimoni mentre invece gli sgravi alle imprese
e i tagli ai costi del lavoro sono una scelta dei padroni fatta propria
dai sindacati rappresentativi e realizzata dagli ultimi Governi.
L'austerità
monetaria si basa sull'aumento dei tassi di interesse che da una parte
rafforza il potere finanziario ma dall'altra aumenta il costo del denaro e gli
interessi che imprese e famiglie devono pagare dopo avere contratto prestiti.
L'austerità
industriale è forse la meno nota ma anche la più diffusa con il
disimpegno statale in economia e le politiche di privatizzazione a determinare
il progressivo indebolimento dei sindacati e la demonizzazione del conflitto
tra capitale e lavoro
La
riduzione della spesa pubblica viene oggi sostituita da
una ristrutturazione della spesa anche se confrontando i dati reali si evince
che le minori spese sono ancora vigenti seppur occultate dietro a cortine
fumogene costruite ad arte.
Innalzare
i tassi di interesse del denaro, agitare lo spauracchio dei
licenziamenti ha anche altre conseguenze, ad esempio, seminare paura e
rassegnazione, il timore di non arrivare in fondo al mese o di perdere il posto
determina politiche sindacali arretrate o concertative invece di aggredire il
capitale con il conflitto.
Negli anni della austerità i salari
sono stati spinti verso il basso, le politiche sociali (e quindi gli
investimenti per sanità, pensioni e istruzione) hanno subito forti contrazioni,
crollato il potere di acquisto e di contrattazione è avvenuta la
ridistribuzione degli utili e delle ricchezze a mero beneficio del capitale
economico e finanziario, sono cresciute le disuguaglianze allargandosi
progressivamente la forbice sociale e salariale.
Il peso
del pubblico e dello Stato si è nel tempo affievolito e sono state
costruite politiche repressive contro i salariati trasformando ogni
rivendicazione sindacale conflittuale in una sorta di minaccia all'ordine
pubblico.
Mentre
parti consistenti della popolazione si impoverisce o si indebita per arrivare a
fine mese, una parte esigua della popolazione mondiale rafforza i propri
patrimoni, potremmo fotografare in queste poche parole le conseguenze
della globalizzazione e delle politiche di austerità che per
altro non sono una novità del nostro secolo essendosi materializzate già nel
lungo secolo scorso
E
con l'austerità i profitti aumentano in termini esponenziali
alimentando il mito della crescita del Pil (per essere chiari non saremo certo
noi i cantori della decrescita come soluzione alternativa e percorribile) salvo
poi scoprire che in determinati momenti storici questa crescita ha bisogno non
di meno Stato ma di più stato, di finanziamenti pubblici oggi invocati a favore
delle imprese dal Centro Studi di Confindustria.
Perchè a smentire i cantori neoliberisti fautori dei principi di autoregolamentazione dei mercati arrivano le crescenti richieste padronali di aiuti al settore pubblico, ormai non si invoca meno stato ma la contrazione del welfare trovando alleati anche nel fronte sindacale in evidente conflitto di interessi con la sua natura e funzione storica.
Il sostegno del sindacato a
previdenza e sanità integrativa, le assicurazioni private per invogliare le
iscrizioni ai sindacati rappresentativi (ma anche ad alcuni di base ormai come
dimostra la indizione di corsi formativi in vista dei concorsi) sono parte
integrante non solo della concertazione ma di quelle politiche di austerità che
demonizzano il conflitto.
Per far
funzionare queste politiche è indispensabile una narrazione
totalizzante e a senso unico atta a costruire da una parte i demoni (i
conflittuali) e dall'altra politiche costruttive "per il bene del
paese" che poi coincidono con i desiderata delle imprese.
Una battaglia
per l'egemonia culturale dovrebbe basarsi sulla confutazione dei dogmi
capitalistici e delle sue presunte regole ferree che vengono
ritenute principi assoluti da condividere tout cort ma intanto la stragrande
maggioranza del giornalismo degli studiosi e del sindacato sono ormai piegati
alla ideologia dominante della produttività.
Veniamo
da anni di subalternità culturale e politica, di esaltazione
acritica della sacralità della proprietà privata dei mezzi di produzione ( e in
questa ottica vanno lette le campagne per il cosiddetto diritto alla
autodifesa che vorrebbe i cittadini armati per proteggere le loro case dai
ladri fino alla militarizzazione della società con militare e forze dell'ordine
chiamati nelle scuole) e delle ricette economiche di austerità , si va facendo
strada a una idea di Governo (non dello Stato) forte in nome della
governabilità per contrarre gli spazi di democrazia, libertà e partecipazione
collettiva.
E la riduzione del potere di acquisto salariale e del potere contrattuale diventano parti essenziali di questa narrazione da smontare pezzo dopo pezzo per non subire ricette e politiche finalizzate al rafforzamento del grande capitale contro il lavoro, i salariati e il welfare.
Clara E Mattei :L’economia è politica
2023
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