Milano: una riflessione sulla città con affitti e acquisti di case proibitivi

 

di Tiziano Tussi

Come si fa a non commentare un ennesimo articolo su Milano? Questa città. La città in cui abito. È l’epifenomeno della tendenza d’orizzonte sociale della città in Italia. Naturalmente con una sua specificità, che non è più quella di “Milan col coeur in man”, ma diventa sempre più Milano con il tasso di profitto immobiliare più alto d’Italia. Con un sindaco a cui evidentemente non importa poi molto delle reali difficoltà di buona parte dei suoi abitanti per poter rimare all’interno del perimetro cittadino. 


foto da Abitare

Affitti, acquisti di case proibitivi. Ricorso ai mutui per pagarle sempre più alti. Certo a Milano si lavora, si trova lavoro. La ricerca è, in più occasioni, risolta positivamente, ma per il livello dei prezzi a volte non vale la pena viverci ed arrivare qui. Infatti, già si sono verificati casi di insegnanti che hanno rinunciato a supplenze annuali in città, oppure che insegnano qui e vivono nell’hinterland, a volte molto scomodamente. Ma per la “michetta “altra parola milanese, questo ed altro.

 La città si riempie di yuppies che “se la tirano” con il bicchiere dell’aperitivo in mano e poi via a ballare o simili divertimenti, la sera, specialmente il week end. Per il resto, sotto con il lavoro durante la settimana. La casa in fondo serve solo come base d’appoggio, infatti i turni di lavoro sono sovente molto oltre le otto ore giornaliere, e naturalmente senza corresponsione di denaro per gli straordinari. Basti guardare alle società di consulenza nelle quali si lavora oltre l’orario del contratto nazionale, ed è meglio non chiedere la copertura in denaro.  Ma insomma, Milano è sempre attrattiva.

 Un “bell’articolo” de Il foglio, del 23 novembre u.s. ci informa che tale attrattività sarà attiva per molto tempo. E partendo da una serie di numeri, non si sa bene dove presi, si intende una città in crescita, da qui al 2039. Basterebbe scorrere i dati reali, in rete, sul fenomeno demografico per capire come questa pretesa sia assurda. Milano ha da tempo una popolazione che, ad essere generosi, si aggira sul milione e mezzo. Altro non c’è e ben poco si può paragonare con le megalopoli a livello mondiale che in pochi anni si sono moltiplicate. Basti dare un’occhiata a Città del Messico o a Pechino

Ma fermiamoci qui con gli esempi attrattivi. Queste città si sono moltiplicate nei loro abitanti, così come molte altre a livello mondiale, non Milano che rimane comunque attorno al suo massimo. Il suolo della città è decisamente costruito ed ora si comincerà a distruggere per ricostruire. O a inventarsi agglomerati terribili usando il riutilizzo dell’archeologia industriale in città e al limite della cinta cittadina.

 Infatti, l’articolo, autore Maurizio Crippa, cita il quartiere Merlata, una estensione rigurgitante di palazzoni con un nuovo e terrificante centro commerciale, che attrae per ora, moltissimi curiosi e compratori. Ricordo che Marc Augé ha individuato nei centri commerciali dei non-luoghi, anche se poi ha ammesso che «qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo». Ciò non contraddice l’affermazione centrale. Anche gli escrementi possono essere utili a qualche cosa. 

La disumanità dei centri commerciali è palese, così come l’ottundimento di fronte al cellulare, che naturalmente può avere anche ricadute positive. In questa analisi ovviamente includiamo la dialettica taoista. L’articolo e l’articolista esaltano il privato, che naturalmente persegue il suo profitto. Ma la disumanizzazione in questi grandi agglomerati si individua da subito. Certo non metto a confronto con l’esaltazione del Piccolo è bello, titolo di un libro di Ernst Friedrich Schumacher (1973). 

Siamo in relativamente tanti, relativamente data la curva negativa della natalità in Italia, e avere grandi spazi può essere utile. Ma appunto grandi spazi, non grandi costruzioni immobiliari che perseguono sviluppi sociali di distacco della coscienza. 

Del resto, la biografia dell’articolista, evidentemente scritta da lui stesso, è lo specchio di una società che perde i riferimenti al concetto di “critica” per mettere assieme il sacro ed il profano. Scrive Crippa che lui ama, l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Inutile sottolineare la disparità di senso di tali attrattive. Gli piace sia papa Francesco che Benedetto, come sopra.

Il succo dell’articolo è: viva il privato che fa grandi sforzi per guadagnare di più dalle proprie attività in grande, e con esso tutti ne guadagniamo. E ritorniamo così alla fanciullezza della visione capitalistica già distrutta da decine di economisti e politici. Comunque, tanto per riferirci all’oggi, e basta con gli anni ’70, ecco indicato un bel libro da poco uscito: Lucia Tozzi, L'invenzione di Milano, Cronopio, Napoli, 2023. 

La critica alla tesi dell’espansione di Milano grazie al privato, che ci fa guadagnare tutti, si ferma dove cominciano a scorrere sui marciapiedi della città le acque del Seveso, che ad ogni temporale più o meno grande, inondano strade e piazze, compreso l’esclusivo quartiere dell’Isola, luogo natio di Silvio berlusconi e di Fedele Confalonieri, dove svetta il post-moderno grattacielo, sono due per la verità, chiamato “bosco verticale”.

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