La memoria come educazione

 

La memoria come educazione. Un ponte necessario tra generazioni. 

Il ruolo della scuola 

di Laura Tussi



In una fase storica segnata da guerre alle porte dell’Europa, dalla crisi della trasmissione educativa e da un crescente smarrimento delle giovani generazioni, il tema della memoria torna a essere centrale. Non come esercizio nostalgico, ma come strumento pedagogico e civile capace di ricostruire legami, restituire senso alla storia e contrastare l’oblio accelerato della società contemporanea. In questo quadro, la narrazione autobiografica e la memoria condivisa diventano pratiche fondamentali per una comunità educante che voglia ancora interrogarsi sul significato dell’essere al mondo.

Il ruolo della scuola, comunità educante

La pedagogia introspettiva rappresenta un approccio essenziale alla trasmissione dei valori storici tra generazioni. L’autobiografia, la narrazione di sé, il recupero della memoria individuale sono pratiche educative di grande valore quando vengono collocate all’interno di un contesto comunitario, storico e collettivo. È in questo intreccio tra vissuto personale e dimensione sociale che la memoria individuale si trasforma in memoria storica condivisa, contribuendo alla costruzione di una coscienza collettiva.

Ogni città, ogni quartiere, dovrebbe promuovere laboratori di narrazione autobiografica e archivi della memoria popolare, luoghi in cui custodire e valorizzare le storie delle persone che abitano o hanno abitato un territorio. Ogni individuo è parte di una rete relazionale più ampia, fatta di cerchi comunicativi concentrici che intrecciano frammenti di vita e di storia. Raccontare queste storie significa inserirle nella storia globale, riconoscendo che anche le vicende apparentemente marginali sono motore e causa propulsiva della Storia con la maiuscola.

I laboratori-archivio della memoria dovrebbero essere finalizzati al recupero biografico, perché ogni vita ha diritto di essere raccontata. Ascoltare, registrare e trascrivere le testimonianze degli anziani, soprattutto di coloro che hanno vissuto il mondo preindustriale e gli eventi bellici del Novecento, significa contrastare l’oblio imposto dalla modernità, dominata da un presente continuo, effimero e consumistico. Il racconto flebile ma denso di sacrifici, paure e povertà diventa così trasmissione di valori, monito pedagogico e strumento di prevenzione del disagio sociale e relazionale.

Nella società contemporanea le generazioni vivono una frattura profonda con il passato. La perdita del legame con la tradizione e con l’insegnamento degli eventi storici rende più difficile per gli individui dare senso alla propria formazione biografica. Ogni persona è inserita in molteplici contesti relazionali e sperimenta identità plurime, ma senza un filo di continuità rischia di smarrire il significato del proprio percorso. Recuperare la memoria storica e autobiografica diventa allora un modo per interrogarsi sul senso dell’esistenza e per comprendere il sé all’interno di un orizzonte collettivo.

La narrazione del proprio passato, inserita in una dimensione globale e storica, può diventare un metodo didattico fondamentale anche nei contesti scolastici e nelle agenzie educative. Essa permette di contrastare l’individualismo onnipotente alimentato dai mass media e di restituire valore alla relazione narrativa, in cui l’identità personale si costruisce nel confronto con l’altro, con la diversità e con l’alterità. La memoria non è chiusura nel passato, ma risorsa per una progettualità consapevole.

Il sistema formativo, inteso come comunità educante, è chiamato oggi ad affrontare un disagio intergenerazionale sempre più evidente. In passato, l’educazione di strada era rivolta soprattutto alla prevenzione delle devianze. Oggi essa si configura come un insieme articolato di interventi di aggregazione tra giovani e adulti, anche al di fuori di situazioni di emergenza. Figure adulte presenti nel territorio, come commercianti o operatori informali, possono diventare punti di riferimento educativi in una prospettiva di educazione permanente e comunitaria.

La comunità sociale non è composta solo da adolescenti, ma da gruppi di pari di ogni età che condividono esperienze comuni. Per l’adolescente, il gruppo dei coetanei riveste un ruolo centrale nello sviluppo psicoaffettivo. Esso rappresenta uno spazio di sperimentazione, di rischio e di trasgressione, necessario per il passaggio all’età adulta. Dietro atteggiamenti di spavalderia e ribellione si celano spesso fragilità emotive e insicurezze profonde, che trovano nel gruppo una forma di protezione simbolica.

La trasgressione, lungi dall’essere solo un elemento negativo, costituisce una fase inevitabile dei percorsi formativi. Esperienze come lo scoutismo dimostrano come il rischio e l’avventura possano essere incanalati in contesti educativi protetti, favorendo la crescita, l’autonomia e la responsabilità. La maturità non è una meta definitiva, ma una tensione costante che accompagna l’intero arco della vita.

Ogni gruppo umano risponde al bisogno di appartenenza e rappresenta uno strumento di emancipazione individuale. Se questa esperienza collettiva viene negata o impoverita nell’adolescenza, essa viene cercata per tutta la vita. I gruppi assumono una funzione pedagogica soprattutto quando permettono di riflettere sul vissuto, sull’esperienza e sulla capacità di trasmettere ad altri ciò che si è appreso.

La dimensione interiore, coltivata attraverso la memoria autobiografica, è una risorsa fondamentale. Essa va prima elaborata individualmente e poi condivisa, per riscoprire che l’origine della propria esistenza risiede nello sguardo consapevole rivolto al proprio mondo interiore. In questo senso, la memoria non è solo ricordo, ma luogo dell’anima, spazio di ricerca e di rinnovamento, capace di generare senso, responsabilità e speranza.

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