La messianica attesa di un rinnovo contrattuale….dopo quasi 10 anni


Chiunque puo’ fare due conti e scoprirà che alla fine di ogni anno perdiamo centinaia di euro, del resto il potere di acquisto dei salari pubblici è calato ai minimi storici.
Anni di blocco della contrattazione, e non solo quella nazionale, mancato incremento , anzi riduzione, dei fondi della produttività, non cumulabili alcune indennità, una forza lavoro che ogni anno perde migliaia di unità e cio’ nonostante anche il budget per gli straordinari subisce forti contrazioni.
 
Il dipendente pubblico ha subito una mutazione genetica, è ormai vittima della sua stessa inerzia, non sa piu’ rivendicare diritti e attende la pensione che arriverà, per effetto delle ultime “riforme previdenziali” con anni di ritardo.

La pubblica amministrazione normalizzata è cosi' diventata il banco di prova di codici disciplinari e applicazione di norme miranti a dividere e contrapporre tra di loro lavoratori e lavoratrici rendendoli piu' deboli.
 
Gli impiegati piu’ vecchi d’Europa hanno rinunciato a far valere i loro diritti, almeno sembrerebbe a guardare l’assenza di proteste e mobilitazioni contro il mancato rinnovo di un contratto prima del quale dovrebbe arrivare l’ennesimo e rituale  “decreto enti locali” .
 
Da anni ormai assistiamo passivi a cambiamenti legislativi anzi le prerogative contrattuali per anni sono state sostituite da leggi e leggine con l’obiettivo di ridurre il potere di acquisto e di contrattazione e sedersi, i governanti, ai tavoli di Bruxelles vantandosi dei tagli imposti alla spesa pubblica.
 
Sono passati quasi 30 anni da quando, era il 1990,  venne varata la prima riforma degli enti locali con la legge 142 .
Sarebbe auspicabile e ragionevole un serio bilancio di quanto è stato fatto, e non, negli ultimi 27 anni, capire per esempio con quali risorse gli enti locali potranno finanziare la loro spesa e programmare interventi di manutenzione di scuole, strade ed edifici pubblici, come riqualificare i centri urbani e le periferie.
In questi giorni c’è stata una polemica tra il sindaco di Torino e la ministra Boschi proprio sui trasferimenti statali  che arrivano con grave ritardo e in misura inadeguata alle reali necessità
 
L’abolizione della tassa sulla prima casa ha avuto ripercussioni soprattutto sulle finanze locali perché il Governo non ha mai garantito una copertura economica per i minori introiti destinati agli enti locali  che restano il bancomat del Governo.
Anche i sindaci non sono immuni da colpe perché le manovre economiche degli ultimi lustri le hanno sempre avallate e sottoscritte nelle conferenze Stato Regioni, una logica subalterna a cui seguono sempre lamenti tardivi e alla insegna della ipocrisia.
 
Il pareggio di bilancio imposto agli enti locali, i mancati introiti da parte statale hanno conseguenze nefaste sui  servizi alla cittadinanza, basterebbe guardare allo stato in cui versano scuole ed asili, strade, mezzi pubblici,  alla mancanza di interventi manutentivi e alla incuria che caratterizza la gestione del territorio e dell’ambiente.

L’impressione di tanti, anzi dei piu', è che le tasse non siano diminuite al contrario dei servizi erogati.
 
Il “decreto enti locali”  2017 riuscirà ad invertire rotta? Noi pensiamo di no.
 
 Dati alla mano non si sa se verranno stanziati i 651 milioni  per le  province che hanno subito tagli superiori al 30%.
Tra i prossimi interventi dovrebbe esserci anche la stabilizzazione dei precari previsti comunque in numero inferiore alle reali necessità. Gran parte degli enti non hanno ancora predisposto una anagrafe dei precari, si danno numeri senza costrutto, uno dei primi obiettivi della Madia, la cosiddetta staffetta generazionale,  si è persa per strada tanto è vero che nessuno ricorda i propositi del Governo Renzi che tra il 2014 e il 2015 aveva annunciato un turn over del 60% per arrrivare al 100% nel 2018.

Invece , nell’Aprile 2017, il turn over è ancora al 25% (al 75% per i comuni sotto 10 mila abitanti spinti a processi di fusione) e si sta parlando di aumentare la facoltà assunzionale per gli enti ma vincolandola a tetti di spesa che rischiano di vanificare anche le poche e nuove assunzioni.
 
Qualcuno obietterà che la mancata rimozione del turn over è causata dalla ricollocazione del personale delle Province, una boutade se pensiamo ai danni della Del Rio e ad un solo dato: la spesa di personale in pochi anni è calata di 13 miliardi di euro, cifra sufficiente a dimostrare che il mancato investimento e rinnovamento della Pa resta uno dei grandi problemi del paese.
 
Se a tutto cio’ poi aggiungiamo la promessa degli 85 euro a regime in busta paga con il prossimo contratto, la spesa per la stabilizzazione dei precari, il budget richiesto dalle province per la manutenzione di scuole, strade e territorio, la domanda sorge spontanea: dove troveranno questi soldi e a discapito di chi? Perché è ormai risaputo che, un paese con economia stagnante e propenso a costruire continui sgravi per le imprese , i soldi necessari potrebbero arrivare dai tagli al welfare, ai servizi, agli appalti pubblici, insomma tutt’altro che una manovra economica destinata ad incoraggiare potere di acquisto dei salari e delle pensioni che mai hanno vissuto condizioni peggiori di quelle attuali.

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