Lo stato dell’arte dell’economia mondiale I: sulle differenze tra il raffreddore e la polmonite
Lo stato dell’arte dell’economia mondiale I: sulle differenze tra il raffreddore e la polmonite
Intendo sviluppare una miniserie di 4 articoli
dedicati all’economia mondiale. Il primo, riguarda lo stato dell’arte a tre
anni dall’inizio della pandemia. Il secondo, i nuovi regali fatti alle banche
dalle banche centrali e dai governi. Il terzo, alcuni disastri di minor conto
che queste politiche provocano. Il quarto, la ripresa di alcune discussioni sul
nucleare e sull’energia da parte di onorevoli comici.
Sul bordo del precipizio
Secondo la nota istituzione specializzata
nell’arraffamento di beni e risorse dei poveri chiamata Banca Mondiale (BM),
per colpa del coronavirus e dopo decenni di indubbi progressi sono aumentate le
disuguaglianze: tre anni dopo la paralisi globale provocata dall’incertezza
dovuta ad una malattia resa nota per la prima volta in Cina – seconda economia
mondiale, responsabile di un terzo della crescita globale – “i poveri estremi
sono aumentati di 95 milioni”. Contemporaneamente, sempre secondo la BM, gli
ultraricchi, “coloro con un patrimonio che supera i 100 milioni di dollari”,
sono diventati 84.490.
Nel frattempo, non si è ancora riusciti a frenare una
inflazione relativamente alta malgrado il rincaro del denaro che ha portato sul
bordo di un “collasso da debito”, decine di paesi.
Sui cani a sei zampe ed altri animali
La pandemia e la conseguente grande chiusura di
scuole, fabbriche e spazi comuni che ha caratterizzato il 2020, ha lasciato in
eredità la maggiore recessione mondiale dopo il 1929. Nel 2021-2022, alla
ripartenza della maggior parte delle attività mondiali, ci ha portato uno shock
energetico e una rottura prolungata delle catene di approvvigionamenti.
Il 2021-2022 è stato segnato dal rincaro dei prezzi
del gas e del petrolio, che hanno portato ad un aumento quasi immediato delle
materie prime e, successivamente, dei prezzi al consumo.
La crisi si è aggravata nel febbraio 2022 con
l’invasione russa dell’Ucraina. La guerra ha incrementato la spirale inflazionista
che aveva iniziato a prendere forma a metà del 2021. Questo rimbalzo della
crisi ha un effetto particolarmente tragico dovuto agli effetti diretti su due
dei principali paesi esportatori di grano e fertilizzanti a livello mondiale,
aumentando le preoccupazioni – teoriche per i paesi arricchiti e pratiche per
intere regioni – legate alla scarsità di cibo.
Poiché le troglodite preoccupazioni teoriche sulle
norme da rispettare per i naufragi e la fame contenute nel “Regolamento
Piantedosi” non sono adatte a risolvere questi problemi, secondo diverse
agenzie dell’ONU, dalla FAO al PMA, nel 2023 circa il 10% della popolazione
mondiale patisce perennemente la fame.
In verità, poiché questi dati sono stati stimati a
metà del 2022 dall’ONU, probabilmente gli affamati sono ulteriormente
aumentati. Comunque, a metà del 2022 erano circa 828 milioni di persone,
peraltro assediate da altri 520 milioni ad un passo di addentrarci in questo
tenebroso mondo di dannati.
Per la BM, il rapporto povertà/aumento degli ultraricchi
sembra inesistente, comunque è taciuto. Tuttavia, nel febbraio 2023 un’altra
agenzia dell’ONU, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha reso noto che
il 10% più ricco della popolazione mondiale si accaparra il 52% del reddito
mondiale e il 50% più povero si arrabatta col 6,5%.
Una ONG inglese, Oxfam, ha dettagliato ulteriormente:
nei tre anni ricorrenti tra l’inizio della pandemia ed il 2022, la ricchezza
globale è aumentata di 42 miliardi di dollari. Di questi, ben 28 miliardi, e
cioè due terzi, sono finiti nelle tasche dell’1% degli ultraricchi. Ergo, per
gli altri 8 miliardi sono rimasti 14 miliardi.
Piccole dimenticanze e fasulli realismi
Nel rapporto “Povertà e prosperità condivise” (un
titolo, un programma), presentato il 6 ottobre 2022, la BM scrive:
“Il covid-19 ha segnato la fine di una fase di
progresso globale riguardo la riduzione della povertà. Durante le tre decadi
che ne hanno preceduto l’arrivo, oltre un miliardo di persone è uscito dalla
povertà estrema (…) Le difficoltà economiche provocate dal covid-19 e
successivamente dalla guerra in Ucraina, hanno rovesciato totalmente questa
fase progressiva. Ormai l’obiettivo globale, sradicare la povertà estrema entro
il 2030, non sarà raggiunto”.
Mi permetto di aggiungere due osservazioni. La prima,
per correggere una piccola dimenticanza: i poveri sono diminuiti nei 3 decenni
precedenti quasi esclusivamente grazie alla Cina che, da sola, ha tolto della
povertà estrema 800 milioni di persone.
La seconda, ed è la cosa più importante, è che
bisognerà abituarsi ulteriormente alla povertà e alle disuguaglianze assortite
(certo, esiste anche la possibilità di cambiare radicalmente le politiche
applicate).
Spiega la BM: soltanto nel 2020, il primo anno di
confinamento, le persone che vivono sotto la soglia dell’estrema povertà sono
aumentate di oltre 70 milioni (e, a conferma della diafana innocenza dei
governi, ricordo che neppure pioveva). Poi, quantifica alcune dimensioni: alla
fine del primo semestre del 2022 circa 676 milioni di persone sussistevano con
meno di 2,15 dollari al giorno (circa 2 euro) ... E quasi la metà della
popolazione mondiale viveva con meno dei 6,85 dollari al giorno (circa 6,5
euro).
Questi 6,5 euro sono la media delle soglie nazionali
di povertà nei paesi a reddito medio alto. Secondo
la BM, tra i paesi a reddito medio alto, che cioè dispongono di un reddito pro
capite tra i 3.976 ed i 12.275 dollari, ci sono il Sudafrica,
il Perù, il Gabon e il Botswana. Dal punto di vista
numerico ha ragione, ma i peruviani direbbero che ha più senso la media di
Trilussa: se tu mangi 1 pollo intero e io nulla, la media pro capite sarà
uguale a mezzo pollo a testa.
Sempre se le matematiche non sono cambiate, 6,5 euro
per 30 giorni fa una disponibilità mensile di poco inferiore ai 200 euro.
Ricordo: la BM parla di paesi a reddito medio alto dove, afferma sempre la BM,
il 37,5% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Comunque, in un’altra sezione del rapporto, la BM
annota un po’ alla chetichella: i mercati finanziari hanno guadagnato miliardi,
sopratutto nei settori beneficiati dalla crisi: petrolifero, bancario e
farmaceutico.
Mi permetto di precisare che nel solo 2022, 95 aziende
che si occupano di energia e di alimentazione hanno duplicato i loro profitti
(dichiarati): hanno guadagnato 306 miliardi di dollari nell’anno solare in
questione.
Naturalmente, li hanno impiegato in modo altamente
produttivo e in attività di beneficenza: 257 miliardi – l’84% - sono stati
destinati a remunerare il capitale, ossia destinati ai dividendi degli
azionisti.
La pandemia e la povertà
La pandemia è l’inizio di una crisi sanitaria che
dispiega pienamente la sua forza in ambito economico.
Ha liquidato mezzi di sussistenza - posti di lavoro,
aziende e risparmio - e ha provato oltre ogni dubbio che la povertà è (è stata)
tra le maggiori cause di co-morbilità letale.
I fatti sono talmente evidenti che persino il club dei
paesi arricchiti, e cioè l’OCSE, ha dovuto ammettere che, a livello mondiale,
la povertà, la disoccupazione e gli svantaggi socioeconomici hanno un rapporto
privilegiato con i cattivi indici di salute.
Ad esempio, durante il primo anno di pandemia il
rischio di morte per coronavirus si è duplicato tra coloro che vivevano nelle
zone più povere e tra le popolazioni formate da minoranze discriminate “per
ragioni etniche”.
Prima i mercati. Poi … i mercati
I mercati internazionali hanno risentito la crisi
assai prima che la OMS dichiarasse la pandemia l’11 marzo 2020. A quella data,
i prezzi del petrolio erano già calati di oltre il 30% per la diminuzione della
domanda – in alcune regioni della Cina era stata dichiarata la quarantena alla
fine gennaio – e perché i paesi produttori non arrivavano ad un accordo sui tagli
alla produzione. Forse ci si ricorderà che in quella fase della crisi, il 20
aprile 2020, per la prima volta nella storia la quotazione del greggio arrivò
sotto zero.
Il 9 marzo 2020 i principali indici di Wall Street
vivevano la loro peggiore giornata dopo la Grande recessione del 2008. Il 12
marzo, il giorno dopo che l’OMS aveva dichiarato ufficialmente la pandemia,
Donald Trump annunciava una serie di misure di emergenza, tra cui la chiusura
dei confini per i viaggiatori provenienti dall’Europa, e gli indici di Wall
Street registravano la peggiore caduta in oltre 32 anni (dal “lunedì nero” del
1987): -22%. La volatilità durava oltre tre settimane caratterizzate
dall’intervento delle banche centrali che compravano azioni e buoni dei governi
a man bassa per ammortizzare le perdite. Per l’Italia sono stati i giorni in
cui “il bazooka di Draghi” ha raggiunto la sua massima potenza.
Tre anni dopo, si può constatare – lo fanno persino la
BM, il FMI e l’OCSE - che le condizioni di vita di milioni di persone in Italia
e di miliardi di persone nel mondo, sono molto peggiorate e che i mercati hanno
solo subito un piccolo soprasalto. Come a dire che la popolazione si è presa la
polmonite ed i mercati il raffreddore.
Salvo eccezioni relativamente trascurabili, i mercati
godono oggi di ottima salute: a fine febbraio 2023 il Dow Jones – l’indice che
riflette la performance delle 30 maggiori aziende statunitensi – segnava un
+78% sul punto più basso del marzo 2020 e un +54% sul suo valore precedente
alla pandemia.
Polmonite e raffreddore, mercati su, popolazione giù.
Colpa (o merito) del “destino cinico e baro”?
Rodrigo Rivas
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