Sciopero in un magazzino Amazon: “Non siamo robot, siamo persone”.

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“Non siamo robot, siamo persone”. Gli scioperi nel magazzino Amazon di Coventry



I ripetuti scioperi che dal 25 gennaio impegnano una parte dei lavoratori Amazon a Coventry, nelle West Midlands in Inghilterra, possono essere considerati un piccolo laboratorio per capire cosa significhi lottare nella grande multinazionale dell’e-commerce. Coventry è un deposito di sosta per le merci che vanno trattate per rifornire altre strutture Amazon che evadono direttamente gli ordini dei clienti. La crescita di Amazon nel Regno Unito è stata costante, ora è diventato il terzo mercato per importanza dopo Stati Uniti e Germania.

L’astensione dal lavoro in questo magazzino si è svolta in concomitanza con l’ondata di agitazioni che nel Paese sono cresciute come risposta alla crisi del costo della vita, nel Regno Unito più accentuata che altrove. Anche in risposta agli scioperi selvaggi dell’estate scorsa e alle proteste nelle mense, Amazon ha concesso un aumento massimo di 50 centesimi, considerato “vergognoso” e irrilevante dai dipendenti. La richiesta avanzata dal sindacato GMB e dai lavoratori è di un aumento di 4,5 sterline orarie, per portare la paga a 15 sterline, lo stesso livello dei loro colleghi degli Stati Uniti, e per recuperare quanto perso a causa dell’aumento dei prezzi.

Westwood, un lavoratore iscritto al sindacato ricorda il lungo percorso che ha portato alla protesta di gennaio: “Quando abbiamo iniziato questa protesta, penso che l’inflazione fosse al 6%. Adesso siamo al 10,5% e la gente non ce la fa. Siamo in piedi per 10 ore al giorno. E sto ancora lottando per pagare le mie bollette”. Inoltre, i dipendenti hanno lavorato a ritmi ancora più alti durante la pandemia, un periodo durante il quale Amazon ha triplicato i profitti trimestrali.

La prima fermata del 25 gennaio è stata considerata dai media un evento storico; il primo sciopero ufficiale in un magazzino britannico da quando Amazon è sbarcata nel Regno Unito. Una decisione presa da una minoranza e piena di incognite per quanto riguarda la riuscita.

Alla mezzanotte del 24 gennaio, rappresentanti sindacali e telecamere attendono alle porte del grande magazzino per rendersi conto dell’esito dello sciopero. I primi lavoratori emergono dalla nebbia, seguiti altri che escono a piccoli gruppi accolti dagli applausi della piccola folla che si è radunata all’ingresso. “Stiamo facendo la storia”.

Solo per chi non conosce l’enorme difficoltà a organizzare scioperi in Amazon, i continui tentativi del gruppo per minare la loro riuscita, può ritenere eccessivi gli entusiasmi e l’interesse suscitati da una lotta di un piccolo gruppo di lavoratori, la prima del genere in Inghilterra. La dirigenza del Gruppo non può consentire che venga intaccato il sistema di controllo e ricatto accuratamente messo in piedi e sempre più perfezionato. Il flusso delle merci non può interrompersi in nessun nodo della grande rete globale, il principio delle consegne veloci al cliente è indiscutibile.

Ogni scontro in un singolo centro assume un valore materiale e simbolico generale, Amazon ne è cosciente. Anche fra i lavoratori in lotta questa consapevolezza comincia a farsi strada, questo può essere un primo passo verso la presa di coscienza della loro forza. Gli attivisti sperano che il loro sciopero abbia un effetto domino. Sono altrettanto convinti della necessaria internazionalizzazione del movimento dei lavoratori dell’azienda. Un attivista afferma che “Poiché Amazon è un’enorme azienda globale e multinazionale, l’unico modo per avere successo è quando saremo in grado di organizzare lavoratori in ogni centro logistico di Amazon”. Aggiunge “in tanti ci stanno guardando e aspettano di vedere cosa succede, abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà da Francia, Germania e Stati Uniti”.

Se la motivazione principale dello sciopero è stata la necessità di recuperare quanto perso per effetto dell’inflazione, le ragioni dello scontento si estendono alla gestione del personale da parte della gerarchia aziendale, alla cultura manageriale di Amazon. Il tempo per prelevare ogni pacco viene cronometrato. I lavoratori sono perseguitati da un numero, il rate, il tasso di produttività personale, comunicato giornalmente, calcolato in rapporto alle prestazioni dei suoi colleghi. Se questo si colloca nel 25% più basso il lavoratore riceverà un avvertimento verbale dalla direzione; ogni tre richiami verrà convocato dai dirigenti e questo per il lavoratore non è un bel segnale.

La seconda fermata del magazzino si è verificata il 28 febbraio, quindi il 2 marzo. Il numero degli scioperanti è salito da 300 a 400-450 lavoratori. Sono cresciute anche le adesioni al sindacato. Gli scioperi più recenti rappresentano un altro momento storico, una apparente forzatura della situazione. Viene dichiarato lo sciopero per una intera settimana, dal 13 al 17 marzo.

Si tratta di una settimana che consente ai lavoratori più attivi di conversare fra di loro e confrontare le loro opinioni ai picchetti davanti ai cancelli. Durante il lavoro viene impedita la discussione, la stessa semplice vicinanza fra lavoratori viene ritenuta sospetta e registrata dalla tecnologia che non serve solo a monitorare il procedimento lavorativo.

Ci sono attivisti sindacali che da anni sono impegnati per creare coscienza e conflitto, si può affermare che in questo tempo abbiano fatto un’attività di inchiesta, “Ci siamo organizzati nei centri logistici di Amazon da quando sono comparsi. Ci lavoriamo da dieci anni e abbiamo imparato molto non solo sull’azienda, ma anche sulla stessa forza lavoro” (Rachel).

I lavoratori hanno scoperto la lotta facendola: “Il primo giorno di sciopero era nuovo per tutti. Molti lavoratori non avevano mai scioperato e non sapevano cosa fare. oggi sono nel loro elemento”. Allo stesso modo è cresciuto il loro protagonismo, la gestione della lotta in prima persona.

I rapporti sono cambiati anche all’interno del magazzino, i lavoratori chiedono di essere informati sui loro diritti, vogliono essere affiancati da qualcuno del sindacato quando sono chiamati dalla direzione per un ‘avvertimento’, che è la prima fase di un processo disciplinare. Si rendono conto che essere soli di fronte ai capi, una situazione usuale per l’azienda, li pone in una situazione di debolezza, dovuta anche all’inesperienza in pratiche di legalità del lavoro.

Le possibilità che Amazon possa cedere sulle richieste di aumenti salariali sono scarse. Prima ancora dell’incidenza sui profitti, l’azienda teme l’estendersi delle proteste in altri magazzini e il rafforzamento del sindacato che peraltro non riconosce. Per questo ha avviato una serie di sondaggi che dovrebbero valutare la soddisfazione del personale. Soprattutto, quando altri magazzini hanno iniziato a votare per lo sciopero, Amazon ha concesso un bonus di 500 sterline a tutti i lavoratori del Paese.

La consapevolezza dei limiti dell’agitazione in un solo magazzino è presente anche fra gli attivisti sindacali che si stanno attivando per creare gruppi di lavoratori in altri magazzini disposti a mobilitarsi. Sono consapevoli che la partita si possa giocare solo diffondendo gli scioperi ad altri centri logistici del gruppo. Ritengono che il magazzino di Tilbury, nell’Essex, possa essere il prossimo sito a impegnarsi in un’azione di sciopero. Questo è stato il primo magazzino in cui si sono verificati scioperi selvaggi nella scorsa estate per protestare contro il misero aumento di 35 centesimi.

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