Gli interessi economici dietro alla guerra
Non è azzardato asserire che dietro ad ogni guerra si celano interessi economici e speculazioni finanziarie di vario genere oltre ad altre motivazioni, legate alla moneta e all'economia capitalistica, al controllo delle viene energetiche e alla necessità di sbarazzarsi di pericolosi concorrenti rappresentati da stati nazionali.
Non è quindi casuale che le multinazionali delle materie abbiano approfittato della crisi pandemica prima e poi di quella causata dalla guerra in Ucraina per accumulare enormi profitti ottenendo al contempo vantaggi di vario genere, dal trattamento fiscale loro riservato fino alla riduzione del costo del lavoro e a quell'insieme di deroghe ai contratti nazionali che rappresenta l'altra faccia della guerra, quella interna condodatta contro la forza lavoro e le classi sociali meno abbienti.
Un paese di cui si parla poco è la Svizzera , sede di importanti banche, paese che ha visto incrementare i profitti delle multinazionali che operano con le materie prime. Poco sappiamo delle rinnovate pratiche commerciali delle grandi multinazionali delle materie prime , dovremmo invece indagare il fenomeno che rappresenta uno dei grandi risvolti della guerra in corso come anche i processi speculativi finanziari di fine estate sui prezzi delle materie prime stesse.
Sono proprio i combustibili fossili, le nuove vie di approvigionamento, i processi speculativi a determinare l'aumento esponenziale del fatturato e dei profitti e i dati relativi all'economia Usa ne sono la lampante dimostrazione. Se poi pensiamo che questi scambi avvengono per lo più in dollari la valuta Usa acquista sempre maggiore forza allontanando lo spettro della concorrenza di altre monete come Euro e Yuan.
I gruppi monopolisti in ambito economico e finanziario hanno guadagnato posizioni proprio negli ultimi anni, per loro la guerra è un autentico toccasana, poco importa se poi sia proprio il carbone, causa del cambiamento climatico, a rappresentare una delle principali fonti di profitto.
Al contempo prosegue la spinta degli Usa verso la cosiddetta transizione economica utilizzando la tecnologia e l'innovazione in chiave anti cinese e anti europea. Una sorta di Giano Bifronte che fa affari con le vecchie energie non rinnovabili, alimentando i disastri ambientali e le ricadute negative sulla nostra salute, e al contempo si erge a paladino di un modello di sviluppo innovativo.
Anche il commercio agricolo è stato una fonte di reddito non indifferente soprattutto con il calo delle esportazioni da Russia ed Ucraina, il più grande fornitore agricolo del mondo, Cargill, ha accresciuto i profitti del 141% rispetto al 2019.
Il business della guerra ha rafforzato anche le multinazionali che operano nella logistica, nel trasporto marittimo e nel trasporto anche se oggi la nuova tendenza è quella di produrre in loco quanto fino a pochissimi anni or sono conveniva delocalizzare nei paesi ove il costo della forza lavoro era decisamente irrisorio e nei paesi che non si facevano troppi scrupoli in materia di diritti dei lavoratori e rispetto dell'ambiente.
Non è casuale che gli Usa stiano allertando le aziende nazionali e quelle nei paesi vicini per la produzione di microprocessori e al contempo vanno stringendo accordi commerciali e militari con paesi che tradizionalmente producono queste merci ad alto valore tecnologico come Taiwan e Corea del Sud. E di conseguenza puntano sulla narrazione tossica dell'espansionismo militare cinese contro questi paesi. Molte multinazionali poi hanno diversificato i loro ambiti di interesse dedicandosi anche alla gestione di miniere, raffinerie o reti di servizio tanto che i principali fornitori agricoli risultano gestori di flotte imponenti di navi e di servizi della logistica.
Chiudiamo su due aspetti, da una parte i privilegi fiscali e dall'altra la guerra interna scatenata contro la forza lavoro per renderla sempre più ricattata e sfruttata.
La riforma proposta dall’OCSE e dal G20 mira direttamente a trovare accordi tra gli Stati per una tassazione non diseguale funzionale ai mega profitti delle multinazionali e di conseguenza mirano a costruire sistemi fiscali ad appannaggio dei redditi elevati e dei grandi capitali. Si parla insistentemente di risparmi fiscali per i gruppi commerciali con grandi flotte mentre proseguono in alcuni paesi le privatizzazioni dei porti e delle attività connesse favorendo al contempo l'utilizzo degli stessi a fini militari.
E in questa ottica stanno muovendo lobby economiche e parlamentari per raggiungere i risultati sperati mentre il potere di acquisto dei salari risulta in caduta libera e numerosi paesi operano per limitare ai minimi termini le libertà sindacali
Exxon Mobil: 56 miliardi di dollari;
Shell: 40 miliardi di dollari;
Chevron: 36 miliardi di dollari;
Total: 36 miliardi di dollari;
BP: 28 miliardi di dollari. Si tratta del profitto più alto nei 114 anni di storia della società;
Aramco: 42 miliardi (solo nel secondo trimestre del 2022);
Gazprom: circa 40 miliardi di dollari (solo nella prima metà del 2022)
Fonti:
NZZ dell’8/2/2023
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