Le donne e l'emancipazione in più ambiti della sfera sociale
Le donne e l'emancipazione in più ambiti della sfera
sociale: dalla Chiesa alla famiglia al lavoro
di Laura Tussi
Definizione di cultura: espressione e processo del
pensiero, della presa di coscienza attraverso le esperienze e le manifestazioni
del riflettere, agire, comunicare. Rielaborazione teorica
dell’esperienza, ma anche insieme di pensieri ed atteggiamenti dominanti e dei
relativi comportamenti singoli o collettivi. Se questa definizione è
condivisibile, il secondo passo è quello di individuare quale sia stato (se vi
è stato) il contributo delle donne alla formazione delle
linee culturali che oggi possiamo indicare come prevalenti e caratterizzanti,
in un certo modo, il nostro vivere associato.
Poniamo due punti:
1. le pari dignità
dell’uomo e della donna sono oggi formalmente fuori discussione;
2. il riconoscimento
della soggettività femminile invece manca; ciò rende soltanto formale, il
generale riconoscimento della pari dignità.
Riconoscere la soggettività della donna corrisponde a
riconoscere anche la differenza: la pari dignità non viene stabilita sulla base
di una omogeneizzazione dei due sessi, ma sulla identificazione della
differenza come valore. Non si vuole qui fare l’elogio
del pensiero della differenza sessuale (che è comunque un momento alto della
partecipazione femminile all’elaborazione culturale) ma sottolineare ancora
una volta che la rilevazione della differenza sessuale come
positività dà diritto di cittadinanza culturale a tutte le altre differenze (etnica,
culturale appunto, ma anche di età, di salute, di stato sociale eccetera). Ciò
sembra importante soprattutto in un momento in cui le differenze etniche e culturali
stanno spaccando nazioni, anche da lungo tempo costruite sull’unione di etnie
diverse, in tanti piccoli satelliti.
Significato di cultura
Quando si parla di cultura il legame che immediatamente opera
nell’immaginario delle donne comuni è con il sostantivo “insegnante”. Il
termine “Cultura”, per la maggior parte delle donne è messo in rapporto con i
paludamenti accademici. Non ci si rende conto di “fare cultura” anche nella
quotidianità della vita. Quindi “cultura” recepita genericamente sembrerebbe
tutt'altro che insensibile alla differenza come valore. Ma le donne devono
cambiare atteggiamento smettere il senso di inferiorità che ancora coglie le
più semplici, che quindi si ritengono al di fuori.
Uno dei motivi per cui la donna è anche penalizzata, è che ancora
attualmente “cultura" sembra far paio unicamente con razionalità. Nella scuola il progetto formativo dovrebbe tendere a formare la
persona, cioè un'entità complessa. In realtà ancora oggi tendiamo a formare
unicamente delle teste, dimenticandoci del cuore, cioè dell’importanza dei
sentimenti pure accanto ai ragionamenti. La diversità femminile dovrebbe
contribuire pesantemente a fare recuperare l'unità, non soltanto allora
nell’immagine, ma soprattutto nella formazione. La donna deve
esprimere la sua diversità, non annullarsi, a vantaggio anche dell'uomo dello
stesso pensiero.
Un po’ di storia a ritroso nel tempo
Dopo gli anni 60 la cultura ed il costume cambiano in
favore della donna, e la donna affronta con più serenità il confronto con le
differenze anche in campo sessuale. Era l’epoca in cui si deponeva per
sempre il grembiule nero ed il colletto bianco per indossare anche nei posti di
lavoro, pratici pantaloni. Le donne partecipano agli avvenimenti del 1968,
ma sono dedite per la maggiore alle vettovaglie ed ai ciclostili; venivano
chiamate “angeli dei ciclostili”, ma le rivoluzioni politiche
erano gestite dagli uomini.
Esce nel 1963 l'enciclica “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII° che
sottolinea “l'ingresso della donna nella vita pubblica” come uno dei “segni dei
tempi” insieme alla questione giovanile ed alla questione operaia. E' una
prima; importante indicazione della sollecitudine della Chiesa per le novità
della storia ed in essa della storia femminile.
Sempre nel 1963 la legislazione italiana emana
importanti provvedimenti a favore delle donne: il primo, datato 9 gennaio 1963,
a portata storica e la legge che impone divieto di licenziare le lavoratrici
per cause di matrimonio; è una svolta del costume. Il lavoro
professionale è messo sullo stesso piano, anziché sul piano inferiore della
famiglia. Il 9 febbraio un altro provvedimento storico: le donne sono
ammesse per legge a tutti i pubblici uffici ed a tutte le professioni con
l'abrogazione della legge di memoria fascista che impediva alle donne di
insegnare lettere e filosofia nei licei.
Gli anni '70 segnano uno spartiacque nella vita delle
donne. Continua la strategia della tensione; sul fronte femminile sono anni di
grande risveglio e vedono il nascere dei primi gruppi di autogestione
caratterizzati da un rigido separatismo degli uomini. Nel 1975 vanno al
varo le leggi di tutela della famiglia e del lavoro nonché quelle in materia di
divorzio ed aborto. Tina Anselmi, deputata veneta e
promotrice della legge 903, diventa ministro del lavoro ed è la prima donna che
si occupa della parità tra uomini e donne in materia di lavoro. E’
voglia di carriera, non più segretaria del capo. Con l'emancipazione concessa dal voto, il riconoscimento della
parità è da considerarsi conquistato a tutti gli effetti.
Parte un ponte fra il femminismo di matrice
laico-marxista e la novità del Vangelo e ci si pone una domanda: il vangelo,
il cristianesimo, non hanno nulla da dire a proposito del movimento delle
donne? La Chiesa è davvero la nemica numero due delle donne? Così era
emersa all'epoca un’inchiesta eseguita dalla DOXA per conto
della SKELL. Il rapporto Chiesa-donne in quegli anni è
molto importante. La Santa sede istituisce una commissione di studio circa la
funzione della donna nella società e nella Chiesa. Paolo VI fa un’esortazione
apostolica: “marialis cultus”, con riferimenti significativi a Maria in
rapporto alla condizione della donna in contesti e culture diverse.
Il 1975 è pure l'anno internazionale della donna
decretata dall’ONU.
Si apre ufficialmente a Città del Messico il decennio dedicato alla donna,
una delegazione vaticana ufficialmente ne prende parte. Ma il terrorismo imperversa viene ucciso Aldo
Moro. Nelle file delle Brigate Rosse militano anche donne e le donne sono
vittime anche indirette, come Giorgiana Masi, della lotta armata.
Le donne negli anni '80 sono cambiate, profondi
cambiamenti emergono nella condizione della donna. Basta con gli slogan. “le
streghe son tornate” del primo femminismo che minacciava gli uomini. Pare che il
neofemminismo sia destinato al tramonto, ma non è così: un fuoco nuovo cova
sotto la cenere, alcune donne in carriera vestono abiti del divino Armani e
frequentano sempre più facoltà di economia e commercio. Nel 1985 a Nairobi si tiene la chiusura della conferenze mondiale
del decennio dedicato alla donna.
Proposte di riflessione e impegno
Bisogna tradurre nel linguaggio vitale dell’esperienza quotidiana la
coscienza che ciascuno, uomo o donna che sia, è un
“valore”. Una coscienza che deve cominciare da sé: senza autostima non è
possibile stimare g1i altri. Rapporti interpersonali soddisfacenti non si
costruiscono dal nulla, vanno “voluti”, se desideriamo evitare la negatività
del conflitto. La mancanza di coscienza di sé e di autostima non permettono di
volere questi rapporti. Occorre che noi donne codifichiamo la nostra
identità. Per le donne che non hanno ancora una propria identità storica, ossia
una genealogia femminile, che è tutta ancora da scoprire, la semplice
contrapposizione, inevitabilmente conflittuale tra maschile e femminile,
piuttosto che creativa appare paralizzante perché sproporzionalmente
asimmetrica. Come uscirne? Una soluzione atipica è, ancora una volta
assolutamente non prevista dalla storia della filosofia tradizionale, è quella
che dà Luisa Muraro nel “recupero del senso di appartenenza alla propria
genealogia e nella riconquista della gratitudine esistenziale verso chi ci ha
dato la vita: la madre. La presa di coscienza di se si gioca, così nel
riconoscimento e nell'amore”.
Occorre anche tenere a portata di mano uno strumento delicato potente:
l’ironia nella forma soprattutto dell’autoironia. L’ironia come forma indiretta
ed obliqua di comunicazione e di parziale soluzione creativa del conflitto;
l’autoironia non come resa apparente, come apparente accettazione parziale del
dominio dell’altro, ma in realtà come risposta libera e riaffermazione della
padronanza di sé. L’ironia come esperienza ludica, soluzione gioiosa del conflitto. Un lungo cammino ci attende,
uomini e donne finalmente insieme in novità di vita: ed a giudicarlo è la
speranza.
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