Il mondo presente e futuro
Il mondo
presente e futuro
di
LAURA TUSSI
Relazione
su un libro di Mario Capanna.
Presentazione del libro di Mario Capanna “Verrò da te”, presso la
CAMERA DEL LAVORO di MILANO.
Relatori: Sergio Cofferati, Padre Bartolomeo Sorge, Alessandro Dalai
Letture: Alba Parietti
Il libro propone
un’utopia realizzabile: un parlamento mondiale. Il pretesto per tale
disquisizione è il colloquio con quattro ragazzi poco più che ventenni,
militanti nei movimenti contrari alla globalizzazione, con i quali l’autore
affronta una serie di tematiche socio politiche, come la necessità di uno
strumento più efficace di democrazia ed una sede formale e sostanziale dove
affrontare le problematiche politiche, tramite il coinvolgimento di tutti i
cittadini del mondo.
Le
preoccupazioni, le angosce dei giovani, oggi, si generano, sostanzialmente, a
causa della mancanza di certezze e di punti di riferimento attendibili, stabili
ed accreditati, in un mondo in cui aumentano gli elementi di tensione, di
conflitto, di rottura. Gran parte di queste conflittualità non sono più
ricomponibili nell’odierna dimensione statuale, perché l’economia si è
organizzata per reti di rapporti che vanno oltre il singolo paese e stato: gli
stessi processi di globalizzazione hanno ormai sistematicamente assunto questa
dimensione molto più ampia che si colloca oltre le vecchie dimensioni descritte
dagli stati nazionali.
L’effetto
di una guerra è la mancanza di una stabilità e di un ordine nel mondo, che
consenta di ottenere la pace come bene acquisito e diritto fondamentale
riconosciuto e garantito e praticato tra i cittadini del pianeta.
Una
politica per la pace si otterrà partendo dalla soluzione dei contrasti e dei
conflitti contemporanei e puntando alla costruzione di una dimensione efficace
nel risolvere le garanzie e le stabilità del futuro. E’ assente una cultura
della pace e mancano gli strumenti in grado di prevenire le guerre. Lo
strumento di risoluzione dei conflitti ha preso forma nell’Organizzazione della
Nazioni Unite che in tanti episodi recenti è stata o scavalcata oppure ha
mostrato tutti i suoi limiti ed afasie, come nel caso dei conflitti nei Balcani
e a Gaza: l’incapacità di intervenire di fronte a crisi dichiarate risulta
ormai evidente. Non occorre risolvere il tema della sovranità limitata
dell’ONU, ma la prima necessità da risolvere è affrontare l’inefficacia delle
grandi organizzazioni sovranazionali che sono carenti di un’adeguata
legittimazione democratica che le renda efficaci.
Il
problema politico è che gli esclusi, al di fuori delle strategie economiche
prevalenti, legittimamente non accettano più che sia un “regime oligarchico” a
decidere come risolvere i loro contrasti e contraddizioni, scaricando gli
effetti sugli altri. L’attuale modello di organizzazione economica e
istituzionale è in crisi proprio per questi motivi. La risoluzione è
riscontrabile nella costruzione difficoltosa di un percorso al di là
dell’utopia.
Ogni
stato in Europa deve decidere cosa delegherà ad altri, cosa fare, le materie su
cui legiferare. Il principio di sovranità e lo stabilire che su alcune materie
non si legifera più a livello nazionale, ma si decide “altrove”, presuppone
un’idea di democrazia nuova che si va costruendo e anche una rivisitazione del
vecchio modello democratico che cede quote progressivamente verso l’”alto".
Nello
specifico il modello di federalismo controverso e discusso è acquisizione da
parte di esigue località, di alcuni poteri legislativi, prima afferenti allo
stato.
Nel
caso dell’Europa addirittura una nuova nazione con proprie definizioni, regole,
valori e riferimenti.
E’
però un’operazione difficilissima, perché si tratta di scegliere modelli
uniformi per poter praticare un’evoluzione. Il Parlamento Europeo ha ormai una
sua dimensione definita ed un proprio carattere. Tuttavia permane irrisolta una
grande contraddizione, perché si vota secondo lo schema classico del
proporzionale. Mentre molti Parlamenti nazionali sono invece eletti secondo il
modello, molto più recente, del maggioritario. L’Europa avrà bisogno del
parlamento che legifera, del governo e di soggetti di rappresentanza sociale
che abbiano una dimensione europea. Il sindacato europeo attualmente esiste e
si chiama confederazione europea dei sindacati ed è la somma di tutti i
sindacati nazionali.
Non
esiste una sede europea in cui si contratta nella forma a noi nota del
negoziato tra due parti distinte con una loro rappresentanza definita da atti
associativi liberamente espressi e non esistono neppure le aziende che si
iscrivono a confindustria ed i lavoratori che si tesserano ai sindacati
confederati o ad altri. Occorre pensare ad un modello europeo che presenti
queste caratteristiche, ma che risolva le contraddizioni emerse, perché in
Europa non esistono solo modelli confederati di sindacato. I sindacati italiani
nascono come confederazioni, essendo soggetti di rappresentanza generale. Nella
Camera del lavoro sono organizzati insieme le categorie e i territori. Il
primato è della confederazione. Il sindacato italiano nasce alla fine del 1800
con le camere del lavoro, ossia luoghi in cui le tante diverse attività stanno
insieme sulla base di regole stabilite, specifiche, condivise e vengono
rappresentate nella loro complessità. Il soggetto che interloquisce con il
governo è proprio la confederazione. Allora un sindacato europeo quale modello
sceglie? Quello confederativo? Che rappresenti tutte le categorie e i territori
su scala più grande? Occorre trovare una sintesi tra i vari modelli di
sindacato: quello mediterraneo, e italiano, quello inglese e tedesco.
Ognuno
di questi modelli è un’organizzazione sindacale in senso compiuto e racchiude
in sé gli elementi della democrazia sindacale, con regole sperimentate per
oltre un secolo, ma sono tre ipotesi di sindacato ben distinte.
I
temi riguardanti gli effetti della globalizzazione necessitano, per essere
discussi, di luoghi di rappresentanza, dove comporre conflitti per dare
progressivamente maggiore estensione alla democrazia. Se non si crea un’Europa
che, allargando i suoi confini, stabilisce, attraverso regole, che la
costituzione è la conferma degli antichi valori europei e se invece nasce
un’Europa che somiglia all’idea propugnata dalle destre, ossia un mercato più
largo, con il permanere di un ruolo forte, addirittura sul monito degli stati
nazionali con diritto di veto, non ci si fermerà al punto apparentemente
intermedio attuale. In Italia, i sindacati hanno battuto l’idea del partito
della lega di dividere in due il Paese, praticando l’obiettivo dell’Europa.
Dove non esiste il concetto di avanzamento con fatica e gradualità, il pericolo
di retrocedere a dimensioni che producono rotture pesanti sul piano dei
rapporti sociali e della rappresentanza stessa, è un rischio molto concreto.
Se
l’Europa non avesse avuto il vincolo di Maastricht probabilmente non saremmo
riusciti a produrre il risanamento degli anni passati, che attualmente le
destre stanno fagocitando. Sarebbe stato anche più forte il modello leghista di
scissione, senza una dimensione territoriale secondo il modello federale, con
una solidarietà riconosciuta e praticata. Quindi occorre procedere verso il
progresso anche con il contributo dell’utopia. Da una chiara direzione di
intenti provengono gli elementi di valore che determinano la coesione. La
coesione sociale è determinata da molti fattori, per esempio, il miglioramento
delle condizioni materiali di vita delle persone, ma anche dai valori
condivisi.
Nella
storia del movimento progressista, sia politico che sociale, si trovano sempre
gli elementi di equità e giustizia, per far star meglio le persone, con valori
e diritti, perché solo attraverso il rispetto di questi ultimi si può
raggiungere davvero un’emancipazione efficace dell’umanità. Nella storia del
movimento operaio la connessione “miglioramento e diritti” è una costante,
produce emancipazione. Non si può immaginare che le persone siano emancipate
quando stanno meglio materialmente, ma non hanno diritti riconosciuti. Ed è
vero anche l’opposto. Il riconoscimento di un diritto deve essere funzionale ad
un miglioramento delle condizioni di vita delle persone, diversamente, non si
traduce in elementi apprezzabili dalle stesse. Alle persone occorre indicare
realisticamente obiettivi praticabili in una direzione condivisa e connetterli
a dei valori di riferimento.
In
Europa non si tratta di creare un superstato unico e mondiale che peraltro si
sta quasi sedimentando spontaneamente e rischia di far esplodere delle
contraddizioni planetarie, come il pericolo nucleare, l’emergenza ecologica, la
manipolazione genetica, le forniture di armi, la guerra, il terrorismo.
Ma occorre un’Europa di
culture in cui ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. Finora sono
state le “élites” a guidare il mondo: è giunto il momento che i popoli si
assumano la loro responsabilità. Risulta necessario eleggere un parlamento mondiale,
come sostiene e propone Mario Capanna. Le difficoltà sono certo enormi per
avere, ad esempio, un parlamentare ogni sei milioni di abitanti e un’assemblea
di mille persone che rappresenti il mondo
La
cultura laica più dinamica e il pensiero religioso più stabile sono in grado di
costruire punti cruciali di convergenza sulle grandi questioni che investono il
presente ed il futuro dell’umanità. Giovanni XXIII[1]
scriveva: “Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali
che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti se non ad opera di
poteri pubblici, aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni,
ossia mondiali. Occorrono poteri pubblici che siano in grado di operare in modo
efficiente sul piano mondiale. E’ lo stesso ordine morale che domanda che tali
poteri vengano istituiti”.
Non
si tratta di creare un superstato! Perché poteri pubblici sovranazionali o
mondiali imposti dalle comunità politiche più potenti, non siano strumento di
interessi particolaristici: è difficile che siano immuni da ogni sospetto di
imparzialità. Si tratta quindi di fissare bene i limiti delle competenze dei
singoli stati e delle unioni di stati verso la comunità mondiale e viceversa.
Il mondo ormai si sta unificando: stiamo divenendo tutti una unica famiglia. La
maturità dell’umanità, come la maturità di una persona, di un popolo, di una
città consiste nel vivere uniti nelle diversità e nella pluralità, senza
omologare le culture nazionali. La cultura neoliberista che è poi
disumanizzante, veicolando con i suoi “diabolici” strumenti un pensiero unico
piatto ed omologante, non può essere l’univoca cultura dell’umanità! E allora
ecco l’importanza di dare un’anima etica all’umanità del parlamento mondiale.
Ma occorre andare oltre l’ONU? I limiti dell’Onu non si possono negare.
Ma
allora questa unità mondiale come è possibile?
“Non
viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma , al contrario, vi è una
logica morale che illumina l’esistenza umana e rende così possibile il dialogo
tra tutti gli uomini e tutti i popoli. Se vogliamo che il ‘900, secolo di
costruzione, lasci il passo ad un secolo innovativo, dobbiamo trovare la strada
per discutere con un linguaggio comprensibile e comune circa il futuro
dell’uomo”.
Laura
Tussi
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