Il ritorno in pompa magna della guerra

 Se permettete, parliamo di donne"

(Titolo rubato al film di esordio di Ettore Scola, 1964)

Più in là della congiuntura caratterizzata dal ritorno in pompa magna
della guerra che, traducendosi in inverno nucleare renderebbe inutile
ogni altra discussione, i tempi lunghi disegnano due grandi problemi coi
quali bisogna confrontarsi.


Il primo riguarda la ridefinizione del tipo di società che conosciamo e
sulle quali hanno provato ad agire i grandi progetti storici. La società
capitalistica industriale organizzata attorno allo Stato nazionale
diventata società globalizzata, è in via di trasformazioni strutturali
dovute alla crisi climatica e ad una nuova rivoluzione scientifica e
tecnologica che include la cosiddetta intelligenza artificiale.
Il secondo è che la società umana si ritrova sulla via di una profonda
diversificazione culturale indotta, fondamentalmente, dalla convergenza
di tre fenomeni: le migrazioni, i processi di emancipazione dei popoli
indigeni ed il femminismo.

Autoritarismo, Disuguaglianze, Maschilismo e Razzismo sono i tratti
politici fondamentali attorno ai quali il capitalismo si organizza e dà
forma alle nostre vite.
I 4 costituiscono la cartina di tornasole per giudicare i nostri
progressi e arretramenti, la nostra incidenza e/o insignificanza nei
tempi lunghi, la misura degli sforzi fatti per modificare lo status quo.

Questo il contesto in cui mi permetto poche parole sul femminismo e
sulle donne - so bene che non sono necessariamente la stessa cosa -
questioni che malgrado la loro trascendentale importanza, sono
scarsamente presenti (salvo per il giusto richiamo ai buoni sentimenti).

Ai "facitori" di notizie e ai dirigenti politici nulla dicono sul
presente caratterizzato dal quotidiano orrore di Gaza, Libano, Kiev e
dintorni. Sono "fatti intrascendenti" come i genocidi in corso, nel
Congo, nel sud Sudan eccetera.

Disse Claudia Scheinbaum, il 2 giugno 2024, subito dopo essere stata
eletta col 60% dei voti quale presidentessa del Messico:
"Per la prima volta da oltre 500 anni le donne arrivano a guidare il
destino della nostra nazione”.
Ha aggiunto domenica 29 settembre assumendo l'incarico: "Il popolo del
Messico, in modo democratico e pacifico, ha detto forte e chiaro: è
tempo di trasformazione, è tempo di donne.
“Contando I 200 anni della Repubblica ed i 300 di colonia, e
considerando che prima non si hanno dati certi, dopo almeno 503 anni noi
donne siamo arrivate a guidare il destino della nostra bella nazione”.
“Dico siamo arrivate perché non sono arrivata da sola”.
In seguito, dopo esporre le 100 misure che si è impegnata ad applicare
nei suoi 6 anni di presidenza, ha dedicato i 9 minuti finali del suo
discorso alle donne messicane.
Il Messico, 140 milioni di abitanti, è il più importante paese di lingua
spagnola e la seconda economia dell'America latina.
Avrà qualche importanza?

Bülent Arinç, allora vice primo ministro turco, affermava il 28 luglio
2014 intervenendo alla festa di Id al-fitr (chiusura del Ramadan), una
delle più importanti ricorrenze musulmane:
"Dove sono le nostre ragazze, che arrossiscono, abbassano la testa e
volgono lo sguardo lontano, quando guardiamo il loro viso, diventando un simbolo di castità? (…) La castità è molto importante. Non è solo una
parola, per le donne è un ornamento. Una donna dovrebbe essere casta.
Dovrebbe conoscere la differenza tra pubblico e privato. E non dovrebbe
mai ridere in pubblico".

Scomparsa pubblica del sorriso delle donne turche? Neanche per sogno.
Ma, Bülent Arinç, caduto in disgrazia col sultano Erdogan per robe di
scarsa importanza, è invece ritornato a casa. Spero che lo lascino
parlare, poco.

Afghanistan, agosto 2024:
Un decreto composto da 35 articoli riepiloga ciò che rende le donne
prigioniere nelle proprie case e nel proprio corpo:

Alle donne è vietato cantare,
è vietato recitare,
è vietato parlare con toni alti,
è vietato far uscire il rumore della propria esistenza dalle mura
domestiche,
è vietato cantare la ninna nanna a un neonato irrequieto durante una
passeggiata,
è vietato ridere con le amiche al mercato,
è vietato pronunciare parole d’amore a un fidanzato al parco,
è vietato protestare per un sopruso …
Insomma, alle donne afghane è vietato parlare.
Togliere la voce a qualcuno è l’atto supremo della volontà di
cancellarlo: non puoi parlare, quindi non puoi esprimere i tuoi
pensieri, quindi non hai volontà, quindi devi obbedire a tutti tranne
che ai tuoi desideri.
È meglio che tu non abbia alcun desiderio ma, se purtroppo ne hai,
devono rimanere chiusi nella tua mente. Nel tuo silenzio.
Tuttavia negli ultimi tre anni, e cioè dal 15 agosto 2021 quando i
talebani si ripresero il potere dopo la fuga dei soldati occidentali,
le donne afghane hanno dimostrato, almeno a chi non gira la testa
dall’altra parte, che c’è sempre un modo per resistere.
Dopo la chiusura degli istituti scolastici femminili hanno frequentato
lezioni online o proseguito gli studi nelle scuole segrete.
Al divieto di lavorare fuori casa hanno messo in funzione le macchine
per cucire e gli attrezzi da parrucchiere nei salotti o i forni nei
cortili di casa.
Davanti alla proibizione di spostarsi da sole si sono procurate un
mahram, un accompagnatore, per continuare a lavorare in quei pochi
impieghi ancora permessi.
Certo: se sei donna, per vivere in Afghanistan ci vuole coraggio.
Certo: se sei uomo, per vivere in Afghanistan ci vuole una quota
straordinaria di fanatismo e/o di viltà.

Donald Trump, né turco né afghano, urlava il 26 agosto 2024 in Pensylvannia:
"Voglio fare questa dichiarazione per le grandi donne del nostro Paese.
Sfortunatamente le donne sono… più stressate e depresse, e tristi in
comparazione a quattro anni fa…
Risolverò questo problema immediatamente…
Sono il vostro protettore. Voglio essere il vostro protettore”.
Protettore è un termine leggermente equivoco. O forse no, se sei Donald
Trump che, nel 2016, in un video del programma televisivo "Hollywood
Access", dichiara:
"Sono attratto dalle donne e non mi devo frenare perché alle star è
tutto permesso e io sono una star ... Tutto mi è permesso, anche
ispezionarne le parti intime”.
Il 12 settembre 2024, dopo  presentare la hit prodotta a Miami da un
verme latino "Kamala, la mala" (non discuto sulla cattiveria di Kamala),
è stato ancora tradito dalla lingua.
A domanda precisa ha risposto: "Si, sono una star. E posso far quel mi
pare".

Viaggio a ritroso con la mente fino al 411 a.C.
Approdo al Teatro di Dionisio, ad Atene. Va in scena l'ultima opera di
Aristofane, "Lisistrata".

Quando  gli animi erano ancora prostrati dall'orrendo lutto di Sicilia,
è ripartita la guerra del Peloponneso.
Sciagure succedono a sciagure.
Aristofane affida la causa della pace a Lisistrata (la
"Scioglieserciti", in greco antico).
Lisistrata si appella a tutte le donne di Grecia.
Le raduna di buon mattino.
Parla del ristabilimento della pace.
Basta, dice, una semplice cosa: che ci rifiutiamo di avere rapporti coi
nostri mariti finché non depongano le armi.
Le convince.
Quindi, le donne occupano l'Acropoli e danno inizio alla loro guerra di
secessione.
Gli uomini cercano di scacciarle, ma hanno la peggio.
Inutili quanto qualsiasi soldato, man mano si trovano in condizioni tali
da dover implorare la pace.
Arriva per primo Cinesia, un ateniese che rappresentava tutta la
cittadinanza.
Poi tocca agli spartani.
Prima un araldo, poi dei plenipotenziarî.
Tutti costretti dall'intransigenza delle loro donne a domare gli umori
bellicosi.
La riconciliazione si celebra con bellissimi canti spartani e ateniesi.

Quando ho letto la prima volta "Lisistrata" mi sono mancati Asterix,
Obelix e Assurancetourix, il bardo stonato del villaggio gallo.
Col tempo ho capito: non conoscendo il francese, il buon Aristofane non
poteva parlarne.
Ho un dubbio: secondo voi, Ursula von der Leyen, Elly Schlein e
compagnia cantante, leggono il greco antico?

Rodrigo Rivas

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