Esiste il diritto alla disconnessione ?
Esiste il diritto
alla disconnessione ?
Lo smart è un
vantaggio per la forza lavoro o strumento di controllo per guadagnare
maggiore produttività a costo zero?
La
proposta di legge n. 1961/2024 ( https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/pd-presenta-pdl-lavoro-poi-stacco-diritto-disconnessione/AGUDWLL?refresh_ce=1) propone di regolamentare il diritto alla
disconnessione per tutti i lavoratori italiani.
Per esperienza diretta conosciamo i ritardi di
tante aziende ed Enti pubblici nei processi di innovazione tecnologica che
determinano una sorta di pregiudizio verso la modalità di lavoro agile ma siamo
anche consci che numerose multinazionali hanno fatto strategicamente ampio
ricorso allo smart avendo cognizione della maggiore produttività, anche in
deroga alle mansioni e ai livelli, assicurata dalle prestazioni fuori dai
luoghi produttivi.
Alcuni
contratti nazionali sono già intervenuti per prevenire i rischi di
iperconnessione ma il diritto alla disconnessione vale solo per la forza
lavoro agile quando invece il problema riguarda la totalità della forza lavoro
"costretta" a tenere i telefoni accesi, a comunicare attraverso le
chat aziendali o via whatsapp. Non esiste alcuna inchiesta per quantificare il
tempo regalato all'azienda ma siamo certi che mediamente una ora al giorno
venga assicurata da un dipendente tipo per rispondere ad email , a telefonate e
a richieste riguardanti la sfera lavorativa.
Siamo
convinti che il diritto alla disconnessione rappresenti una minaccia per le
associazioni datoriali e la cultura diffusa che impone una sorta di
reperibilità e rintracciabilità assoluta dei salariati, numerosi paesi hanno
già affrontato il problema ma in Italia invece la discussione è solo
all'inizio.
Un mero divieto di contattare il lavoratore al
di fuori dell’orario ordinario di lavoro sarebbe in aperto contrasto con quella
flessibilità sulla quale hanno costruito per decenni la cultura del lavoro all'insegna
della mera subalternità dei salariati rispetto alla parte datoriale.
E
siamo certi che tra i detrattori di una norma così stringente potremmo trovare
anche il terzo settore e la Pubblica amministrazione nel nome di una
"moderna" organizzazione del lavoro flessibile e non improntata a
rigidità.
Nell'immaginario
collettivo il concetto di rigidità ha da tempo una accezione solo negativa e da
qui è nata una sorta di disponibilità volontaria basata sul principio di
collaborazione tra colleghi pur sapendo che confondendo i tempi di vita e di
lavoro si pone il datore in una condizione di forza.
Capita
in molte aziende private che un dipendente operi ben oltre il suo orario di
lavoro connettendosi a piattaforme di lavoro in orari svariati e sovente su
esplicita richiesta di superiori, lo abbiamo sperimentato anche nel pubblico
fin dai tempi pandemici.
La
flessibilità degli orari spinge la parte datoriali a richieste sempre maggiori
di disponibilità, abbiamo incontrato dipendenti disponibili a portarsi il
lavoro a casa per sopperire alle carenze di personale sentendosi direttamente
responsabili per il mancato raggiungimento di obiettivi imposti e calati
dall'alto.
Il
carrierismo, la cultura meritocratica rappresentano strumenti di controllo,
divisione dei salariati e anche di auto-sfruttamento.
Regaliamo
tempo libero al datore solo per compiacerlo, una regola stringente atta a
separare nettamente tempi di vita e tempi di lavoro avrebbe almeno l'effetto di
risvegliare le sopite coscienze dei salariati comprendendo che la flessibilità
è una gabbia e non un valore aggiunto, specie se assicurata senza reale
corresponsione economica, se imposta subdolamente attraverso la performance e i
premi di risultato.
Siamo consapevoli che i processi riorganizzativi
capitalistici abbatteranno sempre più la originaria distinzione tra tempi di
vita e tempi di lavoro accrescendo i tempi e le prestazioni esigibili e
trasformando la volontarietà in una sorta di valore aggiunto utile per la
futura carriera.
E'
paradossale che il senso di responsabilità dei salariati avvenga rispetto agli
obiettivi imposti dalla parte datoriale ma non da una diffusa solidarietà di
classe, la stessa tecnologia viene gestita a fini di profitto e per raggiungere
i suoi obiettivi necessita di un cambiamento culturale come quello avvenuto
negli ultimi anni con il conflitto tra capitale e lavoro demonizzato e
ridicolizzato come un ferro vecchio del passato.
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