Se la critica deve essere radicale, si ricade sempre nell'alternativa comunista

Se la critica deve essere radicale, si ricade sempre nell'alternativa comunista


Tiziano Tussi 

da www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 30-09-24 - n. 909
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L'ultimo scritto di Slavoj Žižek in Internazionale, 27 settembre / 3 ottobre, si lascia leggere come un vademecum verso…verso non si sa cosa. L'inizio è la consueta analisi di tutte le brutture della sinistra - leggi Stalin, Mao - e poi delle illusioni della stessa a meno che non si metta sulle orme della destra, come, sostiene Žižek, quella tedesca denominata BSW (Alleanza Sahra Wagenknecht -Bündnis Sahra Wagenknecht). Sicura in questo caso di raccogliere adesioni.

Si dichiara poi di considerare come coscienti e perciò concreti i pensieri degli elettori di destra, non certo i discorsi dei loro rappresentanti, che sanno benissimo, tranne i fanatici, che quello che dicono non rappresenta in alcun modo i dati reali - e qui si potrebbe aprire un'infinita questione su che cosa sia REALE, ma tralasciamo -, appare un po' forzato. Infatti, occorrerebbe svolgere un discorso pacato con chi crede alle fanfaluche della destra estrema - immigrati che portano via il lavoro agli italiani, tedeschi, austriaci ecc., ad esempio - che pur di arrivare al risultato, vittoria politica alle elezioni con conseguente presa del potere "democratico", ne inventano di ogni. Ma questo lo vediamo dopo.

Žižek ci dice che le società si sono individualizzate - La società degli individui, titolo di una rivista universitaria - e per lui è così ed in effetti lo è in grande parte. Partiamo dall'assunto che ognuno di noi si crede il centro del mondo, che ognuno vive nella sua bolla di relazioni, lavoro, interessi vari, che ognuno fa resistenza a cambiare veramente qualcosa di sé - questo è un grosso guaio. Di fronte allo slogan marxista Proletari di tutto il mondo unitevi! non rimane altro che la difesa del proprio particulare (Guicciardini). Questa difesa resiste finché al potere vi sono leader che debbono ingraziarsi gli umili. Un tipico rapporto medioevale tra nobile al comando a popolino vociante, oppure tra imperatore all'epoca dell'Impero Romano e la plebe.

La borghesia - classe sommamente rivoluzionaria (Marx) - fece molta fatica ad emergere, nel tempo, ma rappresentava la modernità. Questa era vissuta nel senso che un livello diverso e superiore di vista dovesse portare benessere ai più, gradito anche ai rozzi sottoproletari delle campagne. Ma ora? Dire che chi vota a destra e reclama la purezza di spirito, di lavoro e di lingua è cosciente di stare chiedendo diritti e valori solo per la sua gente, che devono essere esempio di fulgidi modelli di umanità, pare veramente azzardato. Insomma, fatti non foste a viver come bruti…

L'ignoranza regna sovrana e Žižek la prende in giro, nobilitandola, nella bocca dei partiti di sinistra, che non capiscono che gli elettori, indistintamente, sanno quel che fanno, visto che lo fanno per difendere i propri interessi. Sarebbe così se anche gli autoctoni poi accettassero di lavorare alla raccolta dei pomodori per pochi euro al giorno, oppure di lavorare nei cantieri edili senza nessun tipo di assicurazione e sempre per pochi soldi al mese. Infine, se anche i ben pasciuti indigeni si mettessero al livello degli immigrati, a vivere come topi, allora sì, ci sarebbe concorrenza. Chi sarebbe più sorcio dell'altro?

Ma Žižek ci dice ancora che il razzista ha bisogno della presenza degli emarginati per poterlo essere. Chiaramente è così, ma un razzista, in senso lato, trova sempre qualcosa o qualcuno su cui sputare. L'inumanità delle masse contemporanee si misura sull'ignoranza diffusa nelle stesse. Più ignoranti sono e più acclamanti il razzista di turno, che vuole il mondo ad immagine del suo Paese, che in fondo neppure lui sa cosa sia ora veramente. Certo però le differenze tra umani sono ancestrali. Chi abita nel mio villaggio è mio amico, almeno alcuni, chi è di un altro villaggio non lo è. Mio padre mi raccontava che appena dopo la Seconda guerra mondiale, quando andava a ballare, al suo paese, sovente vi erano scontri con ragazzi, giovani come lui, provenienti dai paesi vicini. Questi erano vissuti come chi veniva per portare via le loro donne. Ed il paesello era in provincia di Cremona. Non certo nel Burundi. Insomma, chi mi assomiglia mi è anche, sovente, amico.

Ma dopo queste notazioni sociologiche la cultura riuscirebbe a farci capire che chi ragiona è mio amico, che gli ignoranti non possono esserlo, immediatamente; che occorre un lavoro di scavo culturale nelle scuole e serve che le scuole facciano il loro dovere e gli insegnanti dovrebbero essere gli artefici delle aperture mentali dei loro discenti. Aprire significa mettere gli studenti in grado di cambiare sé stessi ed il mondo che gli sta attorno. Le divisioni e l'individualismo sono portati dal profitto. L'unità invece è un afflato che può arrivare a risultati edificanti. Esempio, la resistenza al nazifascismo. Perciò l'assunto finale di Žižek è da rifiutare, al di là della sua voglia di scuotere. Scrive: "divisi siamo forti - l'individuo perciò - uniti cadiamo." Non mi pare proprio un bell'esempio di critica radicale marxista, dato che lui si dichiara tale.

Ma perché insistere su questi tasti del pensiero teorico? Già il capitalismo ha tanta forza per imporre le proprie regole, i propri comportamenti, la propria cultura, il profitto a suo vantaggio. Non è veramente necessario andargli dietro. Non è necessario suonare le trombe per fargli strada. Se non si vuole fare questo, se la critica deve essere radicale ma anche strategica, si ricade sempre nell'alternativa comunista. Compresi Stalin e Mao.

Citazione da un articolo di J. M. Keynes, L'information, Parigi, 15 marzo 1931, dal titolo Il paradosso dell'economia britannica: "La disoccupazione, ripetiamolo, esiste perché i datori di lavoro si sono trovati privi di utili. A meno di ricorrere al comunismo, non vi è altro rimedio alla disoccupazione che quello di restituire ai datori di lavoro la possibilità di lavorare con un equo margine di utili".[1]

Note:

[1] La si trova in Franco Catalano, la grande crisi del 1929. Conseguenze politiche ed economiche, Dall'Oglio editore, 1976, p. 160. Il corsivo è mio. Il libro è reperibile in rete.

 

 

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