Accordi buoni, accordi pessimi: quanto è dura la vita sindacale nel pubblico impiego



3 milioni e duecentomila dipendenti nella Pubblica amministrazione, l'Italia è al quart'ultimo posto in Europa nel rapporto tra numero dei dipendenti pubblici e totale degli occupati, pari al 14%.
Solo Olanda e Germania hanno meno dipendenti pubblici dell'Italia, meglio di noi fanno anche i paesi liberisti come la Gran Bretagna che i settori pubblici 30 e passa anni fa hanno semidistrutto a colpi di feroci privatizzazioni.

L'Italia poi ha un altro primato, quello della forza lavoro nella PA piu' vecchia in assoluto, il ricambio generazionale è ancora lungi dall'arrivare in numerosi comparti come autonomie locali e statali.
Il potere di acquisto dei salari pubblici è fermo, quasi 9 anni di blocco contrattuale, poi un contratto, scaduto da un anno, che porta meno di 80 euro al mese, tetti alla spesa di personale mantenuti nella contrattazione di secondo livello, dati eloquenti a dimostrare l'impoverimento dei dipendenti pubblici.

Abbiamo rivolto qualche domanda ad alcuni delegati Sgb  di Pisa in merito al ruolo sindacale negli enti locali, giusto per aprire un dibattito su alcuni argomenti

d Possiamo parlare di salvaguardia del potere di acquisto e di contrattazione?

In questa fase storica è difficile fare sindacato dentro la Pubblica amministrazione, i codici disciplinari degli ultimi anni, le normative sui servizi essenziali in caso di scioperi hanno prodotto i risultati sperati ossia ridurre ai minimi termini la già esigua combattività di una forza lavoro che, tranne nella scuola. non ha mai mostrato segni di grande vivacità conflittuale. E le stesse Rsu sono una arma spuntata con poco potere contrattuale e rappresentanze di settori lobbiste che non guardano mai agli interessi della totalità del personale, Su questo punto noi siamo un elemento di rottura: se vuoi fare sindacato devi guardare a tutti i settori e non al tuo orticello, non si barattano voti con logiche corporative che dividono e indeboliscono il potere contrattuale.

Negli enti locali hanno giocato un ruolo negativo i processi di esternalizzazione con tanti ruoli esecutivi affidati agli appalti, i dipendenti pubblici hanno cambiato pelle e i livelli piu' bassi sostituiti, anche se solo in minima parte, da forza lavoro laureata e diplomata con ruoli piu' elevati, con funzioni di controllo, quel controllo che poi non viene esercitato se non in termini cosiddetti gestionali. I controlli dimenticano sempre di guardare alle condizioni materiali del lavoro , se cosi' non fosse, negli appalti, non sarebbero premiate le offerte economiche piu' vantaggiose, ammessi i ribassi del 20% in fase di aggiudicazione di una gara costruita magari conteggiando il costo del personale ai livelli piu' bassi e senza includere tra gli oneri di impresa i costi previdenziali.

Gli appalti per noi restano un punto dirimente dell'azione sindacale, per anni le Rsu e i sindacati hanno dormito e ignorato quanto stava avvenendo negli appalti dei servizi esternalizzati, se non contrasti in quelle sedi l'attacco al salario e ai diritti non lo farai neppure negli enti pubblici. E il codice degli appalti subisce continui stravolgimenti per giustificare la corsa al ribasso del costo del lavoro. E su questi argomenti il silenzio sindacale è tombale.

Veniamo alla vostra domanda : il potere di acquisto ha subito forti contrazioni negli ultimi 12 anni, i salari pubblici non si sono mai ripresi dalla crisi finanziaria del 2008, se prima recuperavamo parte del salario attraverso la contrattazione decentrata, o di secondo livello, oggi è possibile solo in piccola parte. Sugli Enti il controllo del Mef e della Corte dei Conti è asfissiante, i meccanismi di verifica amministrativa e contabile avvengono nell'alveo delle politiche di austerità.

Non resta che incrementare il fondo della produttività con l'aggiunta di soldi nella cosiddetta parte variabile, soldi che poi vengono aggiunti dagli Enti dopo estenuanti e lunghe  trattative sindacali e non prima di avere certificato e giustificato ogni euro di incremento. La soluzione esisterebbe ossia sforare i tetti di spesa legati a innumerevoli materie come istruzione, sanità, sociale, manutenzione del territorio, servizi erogati alla cittadinanza.

 I sovranisti di carta hanno fatto tante parole ma non ci pare che i loro intenti fossero quelli di forzare la mano all'Ue, lo fanno solo per paura di dovere un domani gestire loro, se al governo, le manovre lacrime e sangue per rientrare nei tetti di spesa.

Ogni Ente ha una storia a sè, ci sono Enti nei quali tutta la parte fissa del fondo della produttività hai storicamente impegnato nelle Progressioni orizzontali e quindi alla fine dell'anno, con i meccanismi diseguali della performance,  vai a distribuire una parte veramente esigua di produttività. La nostra rivendicazione storica è quella di una quattordicesima per i dipendenti pubblici al posto della contrattazione di secondo livello da riportare dentro la discussione su argomenti piu' normativi che nel frattempo sono stati sottratti al confronto e alla contrattazione sindacale. 

In questo modo eviteremmo le forche caudine della performance e torneremo a discutere di organizzazione dei servizi e del personale, argomenti ormai preclusi a ogni effettivo confronto, potremmo aggiungere la discussione sulla parte economica contrattando la destinazione di un fondo incentivante da aggiungere alla quattordicesima.

Qual'è la vostra esperienza concreta?

Al nostro interno esiste un dilemma, per esempio in alcuni Enti c'è chi ha ritienuto nel corso del tempo inutile la presenza in Rsu ma hanno commesso solo un grave errore perchè alla fine è scomparsa ogni attività sindacale. Chi giustifica ideologicamente il disimpegno sindacale con la riduzione degli spazi di agibilità, non vuole il conflitto e men che mai lo pratica nei posti di lavoro pubblici  si sottrae alla realtà e va semplicemente a casa. Siamo seri: chi fa questi discorsi sa bene che la forza lavoro nella Pa non è quella della logistica che coraggiosamente intraprende lotte lunghe e combattive. 

Sono ambiti diversi, la impossibilità di potere effettuare scioperi dalla mattina alla sera gioca un ruolo dirimente di contenimento del conflitto, chi dice di non stare nelle Rsu del pubblico impiego nulla fa fuori, sta semplicemente a casa a impartire lezioncine pedanti e inutili perchè in Italia ci saranno 5\6 realtà autorganizzate nei posti di lavoro pubblici che operano a prescindere della presenza in Rsu. Quindi nella Pa è evidente il fallimento totale delle ipotesi di autorganizzazione e lo stesso crediamo valga anche nel privato, se non ci fosse un minimo di organizzazione di base negli appalti non riusciremmo neppure ad applicare le clausole sociali.

L'Aran impone di sottoscrivere entro l'anno gli accordi decentrati, se non lo fai è impossibile retrodatare la data della firma e difficilmente avrai l'incremento della parte variabile del fondo da parte dell'Amministrazione. Diciamolo con tutta onestà: firmi un accordo per portare risorse economiche alla forza lavoro, ove possibile le progressioni orizzontali che aumentano il salario di chi ne beneficia e valgono anche a livello previdenziale, non conquisti l'Everest ma cerchi solo di non perdere soldi.

Quest' anno, al Comune di Pisa ad esempio, abbiamo incrementato le risorse complessive a disposizione del fondo aumentano quelle non assoggettate a riduzione e cosi' riesci ad avere oltre 100 mila euro. Ma in cambio resti fermo sulle progressioni economiche per un anno perchè negli anni passati hai impegnato buona parte della parte stabile del fondo e eventuali controlli potrebbero anche inficiare il contratto di secondo livello. Ti muovi sul filo del rasoio insomma

Dove nascono le disuguaglianze allora nella Pa?

Dai contratti nazionali che stabiliscono per alcune figure professionali alcune indennità precluse a tutti gli altri. Poi dalla diseguale distribuzione degli istituti contrattuali, dal potere dirigenziale di decidere la esclusione di alcuni dipendenti dalla indennità condizione di lavoro, dal fatto che l'ultimo contratto nazionale ha acuito le differenze tra i vari profili professionali. 

I contratti nazionali vanno quindi riscritti ma con questi sindacati maggiormente rappresentativi la situazione è destinata solo a peggiorare. Il limite del sindacalismo di base sta proprio nella incapacità di ragionare nell'ottica di rovesciare i rapporti di forza sui contratti nazionali. Poi c 'è il problema della performance e della ideologia del merito che poggia su alcuni pilastri quali la valutazione standardizzata, il capitale umano e le cosiddette competenze. 

Ma i pilastri sono poi risultato di una idea sbagliata secondo la quale il Pubblico ha un futuro se si mette sul mercato, a ideologia del falso merito parte dall'idea che conti solo la uguaglianza delle opportunità. Guardiamo al contratto nazionale degli enti locali: esistono opportunità uguali per tutti? No perchè se sei un impiegato non prendi delle indennità spettanti a vigili e maestre, magari non hai i loro ritmi lavorativi. 

Non esistono sistemi di valutazione oggettivi e super partes, la valutazione  lasciata ai tecnocrati o ai dirigenti, è un atto non tecnico ma politico basato su gerarchie e piramidi. Interroghiamoci allora sulla ideologia del merito , facciamolo per confutare la meritrocrazia e i sistemi di valutazione utili poi a dividere i lavoratori e le lavoratrici destinando loro piu' o meno soldi, interroghiamoci sul fatto che una cattiva valutazione di un dirigente possa ripercuotersi negativamente sulla forza lavoro alle sue dipendenze.

Merito è una parola seducente ma un concetto pieno di contraddizioni, il mercato dentro la Pa ha sancito l'inizio della crisi e decadenza dei servizi pubblici e per noi perdita di acquisto e del potere contrattuale. E sapere smontare le narrazioni tossiche dovrebbe essere uno dei nostri obiettivi per non subire anche l'egemonia culturale dei nostri avversari


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