Se i beni comuni vanno in borsa....la Multiutility toscana

 

Cronaca di una morte annunciata, quella stagione nella quale si pensava che i beni comuni dovessero essere difesi, pubblicizzati e sottratti alle speculazioni finanziarie. In Toscana governa il centro sinistra che ha deciso di fondere le società che gestiscono  i servizi idrico,  rifiuti, vendita e distribuzione di gas e luce, tutte insieme dentro  una multiutility da quotare in borsa.

L’operazione, fortemente voluta dal Pd, riguarda 66 comuni della Toscana centrale, al di là della opposizione di qualche sindacato o associazione, è stata per lo più sottovalutata o ignorata dall'opinione pubblica e perfino dalla forza lavoro di queste aziende, non si comprende la pericolosità di una scelta del genere che di fatto trasforma le società in vere e proprie spa che dovranno rendere conto agli azionisti e non ai cittadini, privilegiare gli andamenti del titolo in borsa piuttosto che calmierare i prezzi, fatto sta che la finanziarizzazione dei beni comuni ha prevalso su ogni altra logica  e solo qualche piccolo Ente locale che si è sottratto alla intera operazione

Non ci rincuora la promessa del Sindaco di Firenze di mantenere in quota pubblica il 51 per cento della  futura società, per esperienza diretta sappiamo  che numerose società pubbliche nel recente passato sono state gestite in un certo modo da azionisti di minoranza privati, fatto sta che al pari di quanto accade in molti paesi europei stanno nascendo dei colossi economici, con soldi pubblici ricordiamolo ancora una volta, per lo sfruttamento e la gestione di beni comuni che in teoria dovrebbero essere fuori da ogni logica speculativa.

E ricordiamo che esisteva già una spa mista pubblico (51%) privata (49%) ossia Toscana Energia, finita nelle mani dei privati di Italgas dopo che alcuni comuni hanno venduto le loro quote, una volta intrapresa questa strada insomma l'ipotesi di finire con una maggioranza azionista privata è tutt'altro che scongiurata come leggiamo anche sul quotidiano Il Manifesto in un articolo a firma di Riccardo Chiari da sempre attento osservatore dei beni comuni. 

E allo stesso tempo è indubbio che i piccoli comuni saranno, per l'irrisorietà delle loro quote azionarie, mangiate dal capoluogo di Regione , insomma si arriva all'atto finale di un lungo percorso, iniziato 30 e passa anni fa, che  porterà alla privatizzazione dei beni comuni senza dimenticare che la stessa valutazione delle azioni tra vecchia e nuova società dovrebbe essere vigilata e verificata perchè presenta non poche insidie.

E, nonostante il 51 per cento, i soci pubblici saranno sempre meno coinvolti nella gestione societaria e prevarranno, come già verificatosi, logiche di profitto e di mercato e nel cda i membri pubblici dovranno sottostare alle logiche aziendali.



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