Dopo la vittoria elettorale delle destre da dove ripartire?

 Dopo la tornata elettorale del 25 settembre guardando i risultati dei partiti e delle coalizioni che si sono presentate viene da riflettere su un Paese pieno/vuoto allo stesso tempo. Pieno di voglia di fare, di produrre, di lavorare e di fare profitti e vuoto socialmente in una parte considerevole di esso: il meridione. Pare che il Risorgimento non sia mai finito.

Basti osservare il Movimento 5 stelle che ha fatto il pieno dei suoi dimezzati voti, rispetto alla tornata politica precedente del 2018, dato che è con quella che bisogna confrontarsi, nel meridione. Considerando questa parte della penisola sorprende il fatto che il M5S sia il primo partito in assoluto, in termini di voti reali, mentre nel resto dell’Italia i risultati sono stati decisamente più deludenti. Quando va bene, appena sopra il 10%, mentre in molti collegi elettorali si situa ben al di sotto questa percentuale.


Domanda: perché questa disparità di effetti? La risposta più diretta consiste nell’indicare nel reddito di cittadinanza questa discrepanza. Laddove lo si distribuisce più copiosamente il M5S prende voti, dove è meno presente ne prende decisamente meno. Il risultato finale è il largo dimezzamento quantitativo, rispetto al 2018.


Ora, poche parole per spiegare questa facilità di analisi e poi arrivare velocemente alla depressione psicologica che ne deriva. Certo il reddito di cittadinanza aiuta chi non lavora o è sottooccupato, nonché chi lavora in nero. Tipologie di lavoro così copiosamente distribuito, specialmente al Sud. È chiaro che risulta facile dire che il reddito di cittadinanza, che hanno anche in altri Paesi, definendolo con altre parole, è una necessità. Se non puoi lavorare, lo stato pensa per te. Verrebbe così facile. Ma non è così. E basta essere poco buonista per capire come soldi facili a chi non lavora investono niente sulla persona. 


Il lavoro è ciò che caratterizza l’essere umano differenziandolo dagli animali. L’uomo non è solo natura ma anche cultura, in senso lato. Poca cultura scaturisce da chi deve passare il suo tempo giornaliero a inventarsi un qualcosa da fare per non morire di noia, percependo comunque un misero stipendio o un aiuto ai soldi che riesce a mettere assieme lavorando in qualche modo. 


La cultura porta poi, logicamente, ad una presa di ruolo sociale. Non necessariamente ad una critica al potere, al governo ladro, quando piove e si allagano i campi, ma in ogni caso ad una posizione sociale di esistenza in vita. All’opposto uno scambio soldi/voti non porta a nessun risultato di presenza sociale. Si tratta in pratica di parassitismo. Anche parteggiare per il potere costituito è necessario mettere in campo qualcosa: un appoggio, una solidarietà, una partecipazione di rinforzo con il potere esistente.


 All’opposto uno scambio così crudo, si chiama appunto, voto di scambio è senza uscita. Nella storia della penisola lo abbiamo già visto altre volte accadere: una esaltazione sguaiata seguita da una passività insospettata.

La cultura, la presenza sociale dell’umano si evidenziano come una uscita dalla passività della vita. Non bastano il calcio, la droga, il lusso, il cibo ecc. ecc. per portare avanti la propria esistenza. Ed in fondo, ma neppure tanto, esistere non è sinonimo di vivere. Per questo vi sono, oltre alle piacevolezze elencate prima, anche la partecipazione, ripeto, di rinforzo o la critica. 


Bene, con il M5S siamo all’esistenza non alla vita, siamo all’inedia. Si poteva benissimo capire e sapere che in mancanza di una struttura funzionante il reddito di cittadinanza sarebbe diventato solo una elargizione di denaro senza mettere in atto altro. I 5s, Grillo, Conte ecc. non potevano non saperlo. Io credo che se anche Di Maio fosse rimasto là, nel M5S sarebbe stato votato con lo stesso entusiasmo con cui è stato votato Conte. Ma il ministro degli esteri (ancora per poco) è scomparso dal panorama politico, mentre Conte passa per essere un leader capace. Questo ci dice anche di che pasta è fatta, la ”chiamiamola così“ classe dirigente del M5S.


Ora, osservando in questo modo le elezioni, da questa angolazione non può non prodursi una depressione psicologica e politica per questo nostro Paese, lasciato nelle mani di guitti politici che lo hanno portato al vuoto in cui galleggia, difficile vero, da anni.


Per le altre considerazioni tutto appare più lineare. Enzo Forcella partecipando ad una trasmissione televisiva post-elettorale negli anni ’80, vado a memoria, disse candidamente, più o meno, commentando i risultati elettorali, con una Democrazia Cristiana attorno al 40%, che l’Italia era riconoscibile in quella percentuale, allora votavano tantissime persone, come un Paese di destra. Anche oggi potremmo dire lo stesso. Non ci siamo mai liberati dal fascismo strisciante che lo ha sostenuto per circa vent’anni nel 1900, dalla voglia d’ordine, dal conformismo, dalla smania per l’ordine e dal rifiuto del pericolo rosso e dal pericolo della modernità. Salvo poi esaltarli, le ultime due tenenze quando le cose si fanno spesse: una per tutte, la Resistenza armata al nazifascismo. Vaticano, Democrazia cristiana, partiti fascisti: un cemento di reazione che ci ha rivestiti dal periodo risorgimentale sino ad oggi.


Quindi non fa meraviglia che vi sia una parte di destra che prende quelle percentuali, ma, attenzione, non quei voti che prendeva nel secolo scorso. Ora siamo ad una disaffezione elettorale impensabile qualche decennio fa. Nonostante tutto, le percentuali dei risultati raggiunti parlano chiaro. Quindi, questo ci dice che la parte amante dell’ordine e del conformismo va a votare, gli altri, i delusi, la sinistra, i delusi dalla sinistra, i disimpegnati, non ci vanno.


Perciò quel che manca è una alternativa alla destra. Non contano le sporadiche presenze o scoppi di ultra-modernità o similari, anche irrazionali   – LGBT, diritti civili per tutti, no-vax, contro tutti e tutti, se vayan todos. Lo si è visto anche in queste elezioni. Le liste che volevano interpretare una o più delle opzioni che ho messo in fila hanno miseramente fallito. Ma lo si poteva immaginare.


La politica e l’attività politica sono pensieri e comportamenti seri e continui. Non si costruiscono sull’argilla del giorno, non si palesano in un attimo, se non come vuoto a perdere. Ma allora vi sono già le destre che li portano avanti così, come vuoto a perdere. E lo fanno bene. In questo non siamo il solo Paese al mondo così messi. Loro, le destre, variamente intese, sì che possono essere vuote tanto da abbaiare a destra e scodinzolare, al capitalismo, a manca. Altro non serve. Basti osservare il fenomeno Berlusconi. Un vuoto assoluto che riesce a stare a galla da ben più di venti anni.  Stesse parole, stessi comportamenti, stesse, insulse idee, e poi non spendibili, per raggranellare un risultato sempre al di sopra della linea di galleggiamento.


 Un amico, che abita nell’entroterra sardo, mi disse nel 1994 che nel suo povero paese, tutti avevano votato in massa Berlusconi, appena sceso in campo. In quelle zone, e non erano neppure le più povere, nell’entroterra cagliaritano, il lavoro mancava. Ed in assenza di possibilità ci si aggrappa a tutto, anche alle favole: un milione di posti di lavoro. Promesso e mai realizzato. Fare come lui, in termini estetici, non paga. Occorre avere a disposizione un potere, in modalità di soldi, per poterselo permettere.


Insomma, un Paese nel quale manca la capacità di lavoro politico, è avviato, e lo si vede benissimo, verso un destino simil statunitense: un 50% vota, altri cercano di sopravvivere.


Si può fare qualcosa per ovviare a queste brutture? Per cercare di veder il pensiero razionale ritornare sulla scena sociale? Sempre si può fare qualcosa, ma il difficile è dire cosa.


Io penso che si debba mettere in campo comportamenti intelligentemente critici allo stato attuale delle cose. Bella frase! Occorre dotarsi di strumenti validi e utili per intervenire a livello sociale: giornali, radio, televisioni. Certo poi si può giocare anche con i social, giocare, intendo. Mettere la testa sulle modalità di presenza sociale con grande impegno e tempo da spendere per questa attività. Ci vogliono soldi? Ci vogliono soldi, ma ci vogliono anche idee. Un tempo le idee c’erano e vi erano anche intellettuali che lavoravano per queste pratiche; vi erano anche lavoratori che volevano avere il “suo”, vi erano sindacati che erano decisamente al servizio della difesa della dignità del lavoro. Posti osservare le litanie ad ogni morto sul lavoro. Litanie e nulla più. Cosa è mancato? La paura di essere additati come pervicaci critici senza essere altro ha spaventato troppi partiti, troppi singoli, troppi leader, troppi.


Ripartire non è solo difficile è sempre più impossibile. Viene in mente, e cerco di ripeterlo quando posso, una citazione di Louis Althusser: siamo in ritardo sul ritardo. Ed allora chi potrebbe essere della partita? Chi potrebbe organizzare? Nomi è difficile farne. Soggetti sociali difficilissimo indicarne.


Logicamente più passa il tempo e più ci si scardina. Un inizio è sempre possibile, anche ora. Ricordo che il Presidente Mao Zedong diceva che prima di costruire occorre distruggere.


La distruzione mi pare essere giunta ad un buon punto finale. Allora ricominciamo a ricostruire!

 

Tiziano Tussi 

 

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