Andai perchè ci si crede....

riceviamo e pubblichiamo questa recensione di  Tiziano Tussi

 

Michele Battini, «Andai perché ci si crede» Il testamento dell’anarchico Serantini, Sellerio, Palermo, 2022, p. 167, € 16. Il titolo del libro in analisi ci riporta immediatamente ad un mondo e ad un sentire che è decisamente scomparso all’orizzonte sociale. “Andai perché ci si crede”.


 Lo dice Franco Serantini, ammazzato di botte dalla polizia, giusto cinquant’anni fa, a Pisa. La scomparsa di un mondo critico ed antagonista al potere, Serantini è anarchico. Mondo che prendeva parte nella dialettica sociale e politica. 


È il mondo del sessantotto, con la sua complessità militante. Il testo, scritto da un appartenente a quel mondo, anche dal punto di vista dell’età, circostanzia il contesto in cui accadde quell’uccisione. I riferimenti nelle note alle carte ed i rimandi ad altri scritti su Serantini sono ad indicarci una precisa ricostruzione del momento politico e sociale nel quale avvenne questo omicidio. Così come altri ne accaddero in quegli anni, in primis quello di Giuseppe Pinelli. 


Ora, definire quelle morti omicidi, senza una conferma giudiziaria pare una rivendicazione ostentata di superbia politica di parte. Ma, e nel libro lo si ricorda, un giudizio storico e politico si differenzia da quello giudiziario per la ricostruzione strutturale diversificata che se ne può fare, a livello di orizzonte interpretativo e di studio e conferma di campo. Il libro è utile e serve a ritornare su un punto non risolto giuridicamente, data la richiesta di non luogo a procedere che venne dalla magistratura, dopo la morte di Serantini. 


L’accostamento ad altre vittime di quel periodo è d’obbligo e la condanna e/o il sospetto per tutti coloro che si opposero, da giovani o meno giovani, al potere repressivo del centro dello stato, dei corpi deviati dello stato, del sistema di conformismo dilagante nell’Italia che era uscita a fatica dalla Seconda guerra mondiale e mettendoci molto tempo, era pratica corrente; opposizione alla cappa di piombo del grigiore degli adulti, dei fascisti, del diffuso sistema delinquenziale, fu fatto pagare caro a chi andava nelle piazze, a chi scriveva sui giornali della sinistra extra parlamentare, ma non solo, di chi organizzava una sorta di contro potere dal basso, insomma per chi voleva praticare una politica critica del potere in quanto tale. Serantini fu una di quelle vittime. 


Il libro di Battini, nelle piazze anche lui, allora, ci riporta sulla scena di ciò che successe e ci rimanda ad un periodo che pare proprio sotterrato nella memoria remota. Cinquant’anni sono tanti, troppi per potere pensare che una verità giuridica possa, ora, costituire una differenza storica. Il tempo ha un peso soffocante sulle società. Tanto più che verità giuridiche latitano. Così come per altri avvenimenti è stato: Piazza Fonttana,1969, su tutte. È utile però anche porre attenzione all’oggi: da una recensione apparsa a firma Raffaele Liucci, (il Sole 24 ore, 26 giugno 2022) veniamo a leggere che in ogni caso era quello un momento nel quale, in fondo, bande armate si facevano guerra.


 E siccome nel libro si fa riferimento ad Adriano Sofri, leader allora di Lotta Continua, molto attiva a Pisa, che l’Autore del libro ringrazia per un evidente profondo legame (p. 167), ecco che il recensore in oggetto volendo mettere una pezza appunto di sospetto e di recriminazione politica e culturale molto forte, indica in Sofri, così come dice la verità giuridica per il caso Calabresi, il mandante anche politico della morte del commissario ucciso a Milano pochi giorni dopo la morte di Serantini, ma visto come una vendetta per la morte di Giuseppe Pinelli, defenestrato nei locali della questura nel 1969. Insomma, a volere inzuppare il biscotto nella melassa di quegli anni ci si mette un poco a capirci qualcosa. Ma il recensore non ha dubbi, così come i giudici che hanno condannato Sofri ed altri per quel delitto. 


Evidentemente, ci dice tra le righe Liucci, occorreva ucciderne uno “sgherro dello stato”. Ripeto, tra le righe, che il suo dire scritto è: “Sarebbe bastato recuperare il testo (incluso negli atti, ma mai pubblicato, e pour cause) del violentissimo discorso pronunciato da Sofri a Pisa, per comprendere che quella catilinaria non era forse così incompatibile con il successivo mandato omicidiario.” Naturalmente chi crede alla verità giudiziaria dell’uccisione del commissario Calabresi potrà sposare queta tesi, altrimenti altri non lo faranno. Ma cosa c’entra questo veleno alla fine – in cauda venenum -con una recensione di un libro? 


Ecco, perciò, il permanere del sospetto, qui siamo molto oltre, veramente, su quegli anni. Il discorso si allargherebbe a dismisura e si dovrebbe anche parlare, sempre politicamente e culturalmente del fenomeno ’68 con quello che ne seguì, sino a circa la metà degli anni’80. Cosa che una recensione non può fare. Il libro è una ripresa di discorsi sotterrati, che sono stati dissepolti, una prima volta, dalla precisione e della profondità del testo di Corrado Stajano, Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini, stampato più volte negli anni, si mette di mezzo tra l’accadimento e l’oblio. Ora c’è anche questo di Battini. E ciò che disse Serantini, “Andai perché ci si crede” è veramente emozionante. 


Quanti giovani delle generazioni successive, alla fine del periodo dei torbidi, hanno potuto dire lo stesso. Quel crederci era una speranza concreta di cambiamento sociale che avrebbe dovuto dare dignità nella vita a chi non l’aveva, per mille motivi. Ci si credeva e per questo si andava in piazza.■ 

 

Antonio Gramsci oggi                                                                                                                  

 

 

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