La barca governativa al varo....

 La metafora della barca che dopo il varo affronta il mare aperto è forse utile per descrivere il  Governo Meloni appena insediatosi.

Un governo va giudicato per quello che fa ma se le premesse sono quelle note  sarà il caso di attrezzarci a una lunga e strenua resistenza ammesso e non concesso che questo sia l'obiettivo della stragrande maggioranza degli odierni critici.

I media stanno decantando le lodi della Meloni che avrebbe imposto i suoi ministri senza cedere alle pressioni dei partiti di Maggioranza, avrebbe anche emarginato Berlusconi e messo a tacere la Lega,  una narrazione poco convincente perchè è noto che una eventuale crisi per lotte interne rafforzerebbe FdI a discapito dei suoi alleati, quindi dietro alla scelta dei Ministri si celano non solo rapporti di forza ma anche un sostanziale accordo nel centro destra.

Ci sono alcune elementi preoccupanti che riguardano la politica estera, la scelta di un Ministro vicino ai poteri forti dell'industria bellica (ne parla Il Fatto Quotidiano di sabato e domenica), ministri e cariche dello Stato attive nei movimenti tradizionalisti avversi da sempre ai diritti civili.

Altre notizie preoccupanti riguardano la continuità rispetto al passato in alcuni dicasteri come Università e istruzione.

Il Governo Meloni non si discosterà molto dall'agenda Draghi in materia di economia, per quanto se ne dica è evidente che il via libera di Washington e di Confindustria ha già dato una impronta filo atlantica e liberista all'Esecutivo.

I temi sui quali cambieranno gli spartiti sono quelli identitari, dei diritti civili, inutile cercare il rilancio dei diritti sociali perchè la loro affermazione presupporrebbe la rottura con il passato, con le regole della guerra e quelle di Maastricht.

Sui sociali leggiamo gli indignati di sinistra intenti a cercare qualche dichiarazione, vecchia o recente, per accusare di fascismo questo o quello, un esercizio inutile tanto a caro a chi ormai non si confronta da tempo con la realtà, con i diritti sociali, con le classi subalterne, con il welfare e le reali ragioni della Guerra.

Ci sono giornalisti\e progressiste che esaltano il Primo Ministro Donna criticando la politica delle quote a sinistra, forse basterebbe ricordare la vecchia democristiana, da tempo fuori dai giochi, Rosy Bindi che recentemente ha proposto lo scioglimento del Pd.

Poi ci sono le riforme istituzionali , lo stravolgimento della Costituzione, l'assetto di uno Stato che potrebbe subire modifiche per ridisegnare ruoli e competenze.

E sullo sfondo la grande assente, una politica fiscale e salariale che rimetta al centro il lavoro, l'aumento reale dei salari, una tassazione che colpisca in termini progressivi i grandi redditi e capitali. A forza di leggere gli economisti liberal ignoriamo perfino il rapporto Caritas sulla povertà a dimostrazione che i preti sono ormai più attenti della sinistra ai processi economici e sociali.

Se invece di soffermarci su fatti di costume guardassimo all'essenza delle cose, oggi sapremmo come muoverci, su quali temi costruire alleanze sociali e percorsi di lotta.

Ma con i se non si è mai fatta la storia, quindi continueremo con narrazioni apocalittiche senza mai fare i conti con una realtà in trasformazione che alla fine determinerà anche nuovi assetti politici, alleanze trasversali e processi di ristrutturazione, senza troppa fretta perchè nel frattempo le priorità atlantiste dovranno essere rispettate in piena continuità con il passato. Il vero problema è rappresentato dalla mancanza di prospettiva, dalla assenza di classi sociali di riferimento in nome delle quali, anche in termini moderati e riformatori, proporre riforme attuando percorsi di lotta. 

Perchè tutelare determinate classi sociali significherebbe oggi scontrarsi direttamente con la Ue, con gli Usa e con quell'ordoliberalismo che ormai rappresenta l'ideologica costituente a sinistra. 

E quindi? Dimenticare la sinistra e guardare alla Francia solo per fare un esempio, uscire dall'ombrello della Nato e dalla politica di austerità, non temere di risultare invisi per eccessi estremisti a una classe media ormai sempre più proletarizzata, recuperare anche una identità culturale ed ideologica ben definita, cambiare radicalmente il modo di pensare e di porsi davanti alla crisi assumendo come propri i punti di vista dei dominanti.

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